Progetto #11

Qualcosa si ruppe e il Pigneto non fu più come lo conobbe Lorenzo. Non aveva abboccato agli esegeti di Pasolini e quindi non lo aveva mai visto come una quinta colonna del Paradiso relegata nell’Inferno. Era semplicemente un quartiere di coatti e di operai che stava SanLorenzizzandosi. Venivano ad abitarci rampolli di famiglie ricche, aprivano bar e ristoranti fighetti e gli antichi abitanti, cioè quei fuori sede che stavano lì da due o tre anni, neppure romani, si arrogavano il diritto di non cedere territorio, come se quella parte di Roma, la gran puttana, fosse roba da custodire gelosamente come le loro mogli o fidanzate. Usavano la parola Gentrificazione, una delle tante cazzate inventate da chi voleva fare commercio protetto, vendendo birette e tapas all’ombra di una bandiera rossa e approfittando di un’ideologia che non apparteneva loro, ma che sapevano sfruttare a suon di parole d’ordine e slogan. Il Forte Fanfulla aveva chiuso e fu come se un’ampolla di diossina si fosse rotta e i suoi effluvi venefici si fossero sparsi nell’aria. Zizzanie e piccole vendette si rincorsero confondendosi tra rancori di appartenenza politica o regionale, tra sospetti di soldi trafugati dalla cassa o bottiglie di vino che sparivano per cenette romantiche. La malafede di provincia si era impadronita di quel quartiere. Era meglio fare come al paesello: fatti i cazzi tuoi che campi cent’anni. Quella mentalità si propagò e si perse lo spirito di appartenenza che aveva accomunato le tante anime del Forte Fanfulla. Si era creato uno spartiacque temporale. Da una parte l’epoca felice della condivisione e le  vaghe idee di socialismo libertario, da quest’altra la cattiveria opportunista e le varie chiusure mentali dettate dal concetto di gentrificazione. A poco a poco tutto si miscelò, i gentrificatori avevano la manica larga e pagavano senza troppe storie le loro sbornie serali, le cenette bio ed erano diventati i finanziatori più convinti di tutto il mercato “alternativo”. Fu così che il Pigneto diventò il quartierino chic che andò di moda fino agli anni 30. In quel bailamme, Lorenzo prese la via più facile, quella del paesano: si fece i cazzi suoi. La malafede ebbe il sopravvento e schifato da sé stesso si ritirò in Claudia. Si sposarono in maggio e c’erano quattro gatti.

Parte seconda

 

CAPITOLO I

Rapporto n° 386

Roma 13/09/2037, h 07.30

Operatore: Epicuro Tre

Software utilizzati: Wavetranslator 4.0

Eccola qui la tua felicità naturale, senza aiuti. Sotto di te gli alberi scen­dono teneramente verso Piazza del Po­polo insieme alle costruzioni che formano una sorta di grande scala verso il basso. Vedi l’obeli­sco al centro della piazza, greve, immobile, vedi Roma. È una bella giornata.

Sei libero e i desideri che ti animavano non han­no più alcun senso. Sono andati. Franati sotto il peso della loro realizzazione. Sei ancora giovane e potre­sti volere molte cose, potresti tentare nuo­vamente di cercare un nuovo anelito alla felicità. Ma dovresti ri­cominciare. Sei qui, al Pincio, hai soldi e pretese or­mai ottenute eppure solo adesso ti rendi conto che Clau­dia era un salvagente, forse l’unico mezzo per proteggerti dalle tue paure e dal tuo disgusto per la vita. Ma è tutto finito, il pas­sato è passato e Claudia non è più “Claudia”. Sei solo in questa strada di sampietrini fiancheggiata da mortella e alloro. Solo e libero come la morte. Senti che oggi finisce la tua vita. Do­mani non sa­rai più a Roma, la tua città, la tua fabbrica di ricordi. Si trasformerà in un luogo come un altro, scivolerà senza appigli nel passato, come tutte le altre città in cui hai suonato. Anche di quelle in cui hai vissuto, poco rimane. Cos’è rimasto dell’anno passato a Malmoe? Sì, il viso di Birgitta, coi suoi occhi sognanti color nocciola e i peli biondi, le distese di neve sulle spiagge sconfinate e tristi, il palazzo di Calatrava, il sapore dell’aneto, il ponte che  congiunge la città a Copenhagen, la piazza del mercato, l’estate triste con la vita che muore alle sei del pomeriggio, le ampie vetrate delle case di legno all’interno delle quali giocano bambini biondissimi, i sentieri nel parco deserti, le dieci di sera ed è ancora giorno e tu scoppi di malinconia senza sapere il perché… Che altro? Niente. Il vuoto più assurdo. Come se non ci fossi mai stato, o come se fossero i ricordi di qualcun altro. Ricordi senza sapore, né odore, neanche un filmato, una fotografia…

Cos’è rimasto dell’anno passato a New York? Il Peer 17 e il caffè maxi, sorseggiato guardando il passaggio delle barche, le bistecche di Kristo’s in Astoria, gli occhi bellissimi di Pam, i beagles che ti annusano i bagagli al JFK airport, i bagles al salmone, gli hot dogs con salsa di cetriolo mangiati in strada, la pizza coi maccaroni e polpettine, l’hamburgheria vicino all’aeroporto La Guardia in cui hanno girato una scena di Good Fellas… che altro? Ah sì, i palazzoni a mattoncini affumicati di Brooklin, i busti di Mussolini e i tricolori nei negozietti di Little Italy… “Betcha gotta only wow”, cantata dagli Stylistics…

Non è la tua vita questa qui. Sono i ricordi di un turista e confondi addirittura le architetture… quel palazzo che immagini nel Queens forse è a Madrid…

A Roma toccherà la stessa ingrata sorte, probabilmente. Ti dirai: Ma quando sta­vo a Roma come passavo il tempo? Niente ri­marrà di questo pomeriggio assolato e di questi tuoi pensieri.

La tua vita ormai è solo un passato. Riesci anche a vederla intera e proteiforme, assemblata con gli  eventi e ac­cadimenti che ti hanno portato ad oggi. Eri tutto fiero e tronfio quando hai cominciato a mettere su la tua band, quando hai in­contrato sulla tua strada Alex, quando hai conosciuto Claudia, quando hai inci­so il tuo primo disco da solista. Vittorie cadmee. Alla fin fine si perde sem­pre, questo hai impara­to. Soltanto i cretini, le perso­ne in malafede, for­se i politici, credono che si possa vincere. Vitto­ria è guardare il bicchiere mezzo pie­no, tutto qui.

Questa città è cambiata tantissimo. La tecnologia ha inva­so le piazze barocche, è entrata nelle chie­se, si è ino­culata nelle ex baracchette del Pigneto dove i ragaz­zini ora scivolano sui cuscinetti d’a­ria, come nei tempi andati si faceva con gli skate­board. L’unica cosa che non è riuscita a fare, la rivolu­zione tecnologica, è togliere di mezzo l’u­mano che c’è in te. O meglio, quel pregiudizio naturali­sta che hai tanto odiato.  Basterebbe farsi fare un impianto e il tuo metabolismo diventereb­be effi­ciente, la tua memoria si potenzierebbe e potresti riportare a coscienza le cose che hai sep­pellito e quelle che si sono semplicemente sfalda­te in sco­rie neuronali. Il tuo umore sarebbe sicu­ramente diverso da questa depressione che tu chiami natu­rale. Eppure la tua superstizione ti impe­disce di esse­re migliore. Hai paura di diventare qualcos’altro da te. Perciò, questa noia brutale che ti violenta tutto il giorno, questo respira­re, que­sto camminare, questo pensare contro la tua volontà, è rimasto purtroppo senza soluzione. Por­terai que­sta condanna fino alla fine dei tuoi giorni. Tutto ciò che fai è soltanto consuetudine, una serie di atti pa­vloviani, tic  sinaptici reificati. Non sai nep­pure come sei arrivato quassù, se da piazza del Po­polo o da via Sistina ma è certo che fra un po’ sarai nuovamente giù, forse in via del Corso e di questo momento esatto, se tenterai di riportarlo alla memo­ria, non riemergerà altro che un’accozzaglia di luci confuse. L’unica cosa che non ti ha mai ab­bandonato è il ricordo della pri­ma volta che hai schiacciato il tasto “#”. Quattordici anni fa esatti, o quasi. Ricordi tutto di quel mo­mento. Ogni respiro e ogni pensiero che ti è pas­sato per la testa. Quattordici anni. Mai una volta hai visto in faccia i tuoi benefattori. Sai che vivono, che esistono da qualche parte, ma tu non li cono­scerai mai. Hai sfruttato poco quel maledetto tasto, la tua mania di persecuzione ti ha impedito di farlo di­verse volte. Hai sempre pensato a noi come a della gente vestita di nero con gli occhiali scuri, che un giorno o l’altro ti avrebbe chiesto un pagamento per le cose positive che ti sono accadute. Non c’è nessun pagamento però,  nessuna cosa positiva, se non la vita stessa, e, soprattutto nessun “noi”. Noi non esistiamo e domani saprai il perché.

 Sei sceso finalmente in città. Il sole è stato in­ghiottito nella notte arancione di Roma e Via del babbui­no si è popolata di teste bionde straniere. Qualche imbe­cille fa uso dell’ antigravitazionali­tà, rotea nel­l’aria per ricadere a terra in perfetto equilibrio. Sei rimasto un uomo del secolo scor­so di quelli che an­cora si sposta coi suoi piedi, senza un esascheletro ad alleviarti la fatica, tanto meno il vimana, che or­mai hanno tutti. Sei  nove­centesco, non sai neppure perché, tu che sei stato uno dei primi entusiasti del Bitcoin, il pri­mo a possedere un vimana. Costavano un sacco di sol­di a quei tempi, ma non volevi man­care quell’ap­puntamento. Spostarsi, volando, su un semplice parallelepipedo di carbonio, – sì, i primi modelli erano in carbonio, prima del teflon idri­co- che meravi­glia!  Da lì a tre anni sarebbe cam­biato tutto. Ti fa piacere non vedere più gente che ser­ve ai tavo­li dei bar. Questi vassoi che svolaz­zano dolcemente nel­l’aria ti parlano di libertà. Non c’è  mai stata in tutta la storia dell’umanità tanta gente sorridente per le strade. Nessuno è più condanna­to a fare lavori che a lui non piac­ciano e questa libertà ha un nome: tecnologia. Se pensi che sol­tanto dieci anni fa tutto questo era fantascien­za! Chissà se Claudia ne ha approfittat­o e si è fat­ta cambiare l’alluce? Probabil­mente no, lei non aveva la percezione che ne avevi tu. E non ha mai neppure sospettato quel tuo pen­siero meschi­no. Ora guardi questi ragazzi bellissi­mi, aggra­ziati, sorridenti. Nessuno ha la smorfia feroc­e sul viso e la violenza la conoscono solo at­traverso le lezioni di storia. Chissà se la capisco­no. È bello questo mondo e non te ne vorresti an­dare ma la mancanza di desideri è, per te, uomo del nove­cento, la mancanza di vita. Domani mi presenterò a te.

#3


Fabio Biondalzati nasce su Facebook nel 2005 ma nella vita ha tutt’altro nome e un sacco di anni. Punk in adolescenza e in senilità, è stato nel corso della vita, falegname, cuoco e straccivendolo. Ha scritto e diretto 12 spettacoli teatrali e 3 lungometraggi digitali e abusivi. È un gentiluomo coatto e libertarian.