Iperdenti. Episodio 17. Senza elmi o corone.

Romanzo suddiviso in tre parti: Altrove, Huper Vision e Iperdenti.

Genere: Fantascienza di Borgata

Il romanzo, ambientato a Roma Est, all’interno di un centro di scommesse sportive in prossimità di borgate periferiche, e scritto in prevalente accento romanesco, nel titolo allude a un gioco virtuale, nel quale vengono risucchiati i personaggi. Tean, Aida, Juri e Tim non sanno tuttavia di essere intrappolati all’interno di quel gioco, in cui accadono eventi incomprensibili. Nel gioco si sviluppa infatti la misura stessa della tridimensionalità, che gli è connaturata, per abbracciare altre dimensioni: mondi filiformi, in grado di generare altre realtà, tutte distorte. Così, nei pensieri e nelle azioni i personaggi saltano da uno stato all’altro, senza rispetto delle regole temporali. L’incomprensibilità delle azioni è frutto della logica del gioco, che invade la loro coscienza; e proietta il presente, che i personaggi vivono o credono di vivere, verso una deriva onirica e ferocemente surreale. Si tratta di un romanzo ciclico che nella sua struttura riproduce le gabbie virtuali che sono parte della condizione odierna.

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Immagini da: (H)earth di Sante Simone, collage digitale, 2020 

RV7- Senza elmi o corone. – episodio 17

– Sei la mia vita, Aida!

– Ora devo lasciarti perché devo andare al lavoro.

– Prima rispondimi!

– Quando pensi di tornare?

– A fine mese. Mi ami?

– Lo sai che ti amo, non c’è bisogno che te lo dica.

Aida attacca il telefono con fretta, si pettina al volo i fini biondi capelli, disegna le labbra con il rossetto arancione, passa la matita verde sugli occhi azzurri, prende la borsa rossa con i brillantini ed esce di casa. Fissa i suoi piedi mentre percorrono i sanpietrini della via. Conta i passi. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette, otto, nove, dieci, undici, dodici, tredici, quattordici, quindici, sedici, diciasette, diciotto, dicianove, venti, ventuno, ventidue, ventitré, ventiquattro, venticinque, ventisei, ventisette, ventotto, ventinove, trenta, trentuno, trentadue, trentatré, trentaquattro, trentacinque, trentasei. Oggi sono trentasei passi, ieri erano trentadue. Si arresta di fronte alla porta di vetro, come fosse telecomandata da qualcuno, rimane immobile. Osserva da fuori lo spazio che vive tutti i giorni. A quest’ora ieri c’era Franz e Alfredo, oggi solo il signor Culo che controlla le corse, e Michelle intento a fare piroette al centro della sala. Non se la sente di entrare e si accende una sigaretta. Sono ormai sette anni che lavora per quest’azienda e sente addosso la stanchezza, non ha più forze per andare avanti. Giusto dopo aver buttato la sigaretta, appare lui dal profondo del tunnel di quel portico che ha percorso per anni e che ora sembra abbia un senso. Si avvicina a lei lentamente.

– Ciao, stronza.

– Ciao, bugiardo, come va?

– Mah.

– Qualcosa non va?

– Sto passando un periodo di angoscia. Sento di voler evadere.

– Non sai quante volte succede a me. Una gran confusione.

– Sì, è vero, c’è un po’ di confusione generale. Voglio scappare.

– Dove vorresti andare?

– Altrove!

– Allora vai!

– Sì, lo vorrei tanto ma, mi sento come un’onda di forte frequenza che incontra ostacoli prima di riconnettersi a un oltre.

– Io a volte vorrei farla finita con me, e me ne vado così, a camminare senza obiettivi, per lasciare scorrere il nero. Magari ti può aiutare.

– Quel nero di cui parli, io lo sento sopra la testa, come un pezzo di cielo che si è staccato dal suo dove. Non vorrei angosciare anche te, ora che mi sembri in uno stato d’animo buono, senza elmi o corone.

– Non so. Tu mi conosci bene. Sai che sono matto. Ho la sensazione di avere un meno quando parlo con te, mi sento diviso in due mondi, ma nello stesso momento mi sei necessaria, anche se non sei a mio fianco, io ti sento nel momento giusto. Quella telepatia di cui mi hai parlato tempo fa, ora la sento viva, nonostante i miei sforzi di schivarla.

– Juri. Non farti ingannare dai raggi che ti manda quel gioco in testa. Lo sai che io non sono Tean.

– Lo so. Cosa credi?

– È passato troppo tempo da quando è iniziato tutto. Ora è tempo di cambiare.

– Cosa vuoi cambiare? Ci sei dentro ormai.

– Voglio mollare! Non perde nessuno.

–    È questa la ragione per cui dobbiamo continuare, anche se perdi, lei non può tornare.


–   Sì, ma posso viverla intanto, attraverso te.


–   Non puoi viverla, perché io voglio vivere lei.


Jonida Prifti, poeta/performer e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva) etc. Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt”. Insieme organizzano, dal 2010, il festival annuale romano di poesia sonora “Poesia Carnosa”.  www.jonidaprifti.com