Schizofrenia e biscotti.

Sono immensamente grata alla psicoanalisi perché mi ha aiutata a capire un sacco di cose del mio modo di percepire il mondo, e sono immensamente grata agli psichedelici  di cui ho fatto esperienza nella mia vita che, diversamente, hanno avuto la stessa funzione.

Quando dico psicoanalisi faccio riferimento nello specifico al modello di funzionamento bi-logico della mente formulato da Matte Blanco, che io ho conosciuto tramite docenti de La Sapienza di Roma nel corso di Psicologia Clinica. In sostanza -dicono- la mente funziona secondo due modalità che sono sempre in rapporto tra loro, due “modi di essere” che seguono logiche diverse:
1) riconoscendo le differenze tra le cose; esempio: io sono io e non sono un’altra cosa, riconosco la differenza tra il mio mondo interno e il mondo esterno, mi riconosco come me stessa, ho dei limiti e uno spazio finito costituito dal mio pensiero e dal mio corpo;
2) fondendo le cose tra loro, azzerando le differenze e creando associazioni e fusioni tra le cose, tra il mondo interno e il mondo esterno; questa modalità viene definita “modo d’essere inconscio”; esempio: io sono un’infinità di cose oltre me stessa e posso confondere le mie sensazioni ed emozioni con quelle degli altri.
Insieme queste due modalità di funzionamento organizzano la relazione con gli altri e la percezione della realtà attraverso la simbolizzazione emozionale, che è il processo per cui si producono i significati che orientano il nostro rapporto con il mondo; la produzione linguistica è un indizio di questo funzionamento bi-logico perché allo stesso tempo crea differenze e associa significati tra loro. Questa teoria psicoanalitica della mente sostiene che riconoscere le differenze tra le cose, integrando le due modalità di funzionamento, costituisce un motore di scambio e di conflitto, che sono le risorse a partire dalle quali si realizza il cambiamento personale e sociale insieme. 

Qualche tempo fa, inaspettatamente, mi sono ritrovata piuttosto alterata a seguito dell’ingestione di dei biscotti a base di burro e thc abilmente cucinati da una mia amica, che aveva invitato varie persone a stare un po’ insieme mangiando questi biscotti con thc, appunto; a me i biscotti al burro piacciono moltissimo quindi ne ho mangiati tre. Mi ero immaginata di passare una serata carina e tranquilla con gli amici e invece, tac, viaggione psichedelico. Inoltre, fumo solo cbd per dormire e tendenzialmente il thc è una sostanza a cui non sono più abituata, le esperienze drogherecce sono finite da un pezzo per me e mi va benissimo così. Comunque, siccome sono alta quanto uno dei sette nani, mi sono ritrovata inaspettatamente in un viaggione estremo. 
La cosa per me affascinante è che quando stai dentro esperienze del genere pensi come lo fa una persona che riceverebbe una bella diagnosi di schizofrenia (o comunque di disturbo psicotico) dalla moderna (e antica) psichiatria, ovvero crei diverse relazioni tra le cose che pensi.
Questo perchè, in ipotesi, la sostanza psichedelica coinvolge fortemente la modalità inconscia della mente e quindi sei in grado di associare cose tra loro in modo nuovo, super creativo, di una creatività che può essere inquietante. Io, per esempio, grazie a quei biscotti, ho fatto un viaggio nel tempo della mia mente e mi sono convinta di aver recuperato il mio primo pensiero: la prima volta che la mia mente si è resa conto di star pensando attraverso una categoria; era qualcosa che aveva a che fare con un telefono pubblico arancione (quelli in cui si mettevano le schede telefoniche o i centesimi di lire) che evidentemente ha avuto una funzione nello sviluppo del mio modo di produrre pensiero. Stupendo. 
Georges Lapassade ci dice che gli stati di trance estatica, la schizofrenia, la preghiera hanno qualcosa in comune, e cioè riguardano l’alterazione della coscienza così come siamo abituati a considerarla normalmente. Seguendo il modello bi-logico della mente, questo significa che queste condizioni hanno similmente a che fare con il coinvolgimento di quella modalità di sentire le cose che ha a che fare con l’infinito, la modalità inconscia, appunto. Se non riconosco differenze tra le cose, allora tutto è uguale a tutto, non conosco i limiti di spazio (qui-altrove) e tempo (prima-dopo) e quindi tutte le cose assumono un altro colore, un altro suono, un’altra forma, e quindi un altro significato. Per me è prezioso aver fatto esperienze di questo tipo, e ho avuto la fortuna di poterne sempre parlare integrandole nella mia vita quotidiana.

Quando ho studiato psichiatria all’università trovavo inquietante il modo in cui si descriveva la fenomenologia della schizofrenia esattamente come io avrei potuto descrivere la mia prima esperienza psichedelica, fatta qualche anno prima: fuga delle idee, insalata di parole (eloquio disorganizzato), deliri di persecuzione, allucinazioni eccetera.

Il punto è che con quei miei amici ci siamo divertiti con i biscotti al thc perché eravamo nel privato di una casa, nella sicurezza data dai rapporti amicali; e nonostante questo mentre scrivo penso che sto dicendo un segreto ad alta voce, penso che forse mi dovrei vergognare perché qualcuno leggerà che io ero fuori di me. Con la schizofrenia invece sicuramente non ci si può divertire manco nel privato delle case perché questa condizione viene subito diagnosticata in quanto deviante dalla normalità, in quanto sofferenza a tutti i costi, una condizione che sembra possa generare solo paura. Sarebbe interessante pensarla come un ulteriore indizio della compresenza delle due modalità di funzionamento della mente, un’espressione di differenza più che di anormalità. Non nego, ovviamente, la sofferenza di chi ha incontrato questi problemi nella propria vita; tuttavia penso che l’atto di diagnosticare (ricondurre cioè quella condizione entro categorie mediche note, quindi il contrario di esplorare) diventi un pretesto per isolare dei soggetti dentro la convinzione di essere anormali, troppo diversi dagli altri e non in grado di comunicare e scambiare, che quindi la sofferenza non sia necessariamente da ricercare nel contenuto del pensiero cosiddetto schizofrenico, quanto più negli effetti sociali della diagnosi. Nella società del capitalismo realista la diversità è contesto su cui esercitare controllo e questo si realizza definendo una norma da cui quella condizione si discosta, norma che non corrisponde a una categoria ontologica ma che ha a che fare con le differenti distribuzioni di potere che caratterizzano le diverse epoche. Non ci si vuole permettere di divertirsi con i significati, con i desideri, con i conflitti, con il piacere; il realismo capitalista resiste al cambiamento, diagnosticando, o divorando e incorporando frammenti di diversità definendoli improvvisamente normali, annullandone il conflitto e la potenziale spinta al cambiamento (penso ai movimenti del “normalize” rivolto ai corpi “normali”, alla sessualità o ai disturbi mentali, appunto). Penso così: lo stato alterato di coscienza e la cosiddetta schizofrenia hanno a che fare con un modo di pensare che crea relazioni tra cose producendo significati nuovi, conflittuali. Il controllo politico e sociale si esercita sui corpi e sui pensieri attraverso la definizione della normalità che ingloba sempre nuove definizioni annullandone il conflitto utile e necessario per il cambiamento sociale, conflitto che potrebbe altrimenti essere costituito proprio da questo modo diverso di attribuire significati. La norma definisce cosa sia la malattia mentale e condanna gli stati alterati di coscienza prescrivendo un sentimento di paura rivolto verso questi. Associare diversamente e creare significati vuol dire creare conflitto, produrre differenze e contraddizioni, sviluppare desideri e quindi promuovere cambiamento sociale e politico. E con il cambiamento abbiamo un problema come società se l’unico obiettivo della convivenza è promuovere normalità e conformismo. 


Cecilia Vecchio è psicologa, psiconauta e disagiata.