Iperdenti. Episodio 7. Il portafortuna.

Romanzo suddiviso in tre parti: Altrove, Huper Vision e Iperdenti.

Genere: Fantascienza di Borgata

Il romanzo, ambientato a Roma Est, all’interno di un centro di scommesse sportive in prossimità di borgate periferiche, e scritto in prevalente accento romanesco, nel titolo allude a un gioco virtuale, nel quale vengono risucchiati i personaggi. Tean, Aida, Juri e Tim non sanno tuttavia di essere intrappolati all’interno di quel gioco, in cui accadono eventi incomprensibili. Nel gioco si sviluppa infatti la misura stessa della tridimensionalità, che gli è connaturata, per abbracciare altre dimensioni: mondi filiformi, in grado di generare altre realtà, tutte distorte. Così, nei pensieri e nelle azioni i personaggi saltano da uno stato all’altro, senza rispetto delle regole temporali. L’incomprensibilità delle azioni è frutto della logica del gioco, che invade la loro coscienza; e proietta il presente, che i personaggi vivono o credono di vivere, verso una deriva onirica e ferocemente surreale. Si tratta di un romanzo ciclico che nella sua struttura riproduce le gabbie virtuali che sono parte della condizione odierna.

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Immagini da: (H)earth di Sante Simone, collage digitale, 2020 

H2

Il portafortuna

Tim si sente incastrato in una faccenda complicata. Oki ha un interesse nei suoi riguardi e a lui fa comodo, ma sfortunatamente una collega si innamora di lui. La ragazza fa di tutto per attirare la sua attenzione, ma Tim la ignora, soprattutto quando finge di svenire. Oki la soccorre. La collega rischia di essere licenziata un bel po’ di volte, ma il destino vuole lei dalla sua parte. Nel frattempo, le altre colleghe cercano di capire l’intreccio che si è creato in agenzia. Oltre loro, c’è il supervisore, sempre donna che tiene sotto braccio Tim, lo vuole alzare di grado. Si affeziona a lui in maniera morbosa. La collega ogni tanto si sveglia dal suo finto svenimento e grida: “Sono io la prescelta! Tim, tu sei mio!” e poi ri-sviene. Tim è disperato, non sa più come salvarsi dal cerchio-vagina. Si guarda intorno, ma vede solo una grande vagina in 3D. Diversamente dall’inizio, quando c’era l’idillio, ora è l’inferno. Non sa come liberarsene. L’unica persona a cui può affidarsi è Tean. Lei, però, oltre a essere una sportellista distratta, è una giocatrice accanita, inaffidabile, si lascia trascinare dalle cose, le persone, le parole, il gioco. Quell’aspetto da sciatta: i capelli neri ribelli legati in cima alla testa, i ricci neri cadono a caso sul viso, bianca come la panna da cucina, è in completo contrasto con lo stile impeccabile di Tim, pessimo giocatore ma curato all’inverosimile, sempre in camicia, i pantaloni rigati, ben stirati, il gel sui capelli. Non sa come e perché, ma Tim sente che Tean è il suo portafortuna, da quella volta quando lei gli disse: “ E’ inutile che ce butti quelle monete su quella macchina, c’ho già provato io e ho perso.” Tim obbedì. La mattina dopo, ha tentato il destino sulla stessa macchina vincendo 2000 euro. Da allora la segue. Ovunque lei va, c’è anche lui, come un’ombra. Tean va un po’ a caso, non è attenta all’esterno. Tante volte la chiamano, ma non risponde. Per puro caso, una volta si sono trovati dal fruttarolo. Tim guardava le pere e Tean le zucchine, insieme guardavano fissi senza muoversi fino a quando il fruttarolo li ha scossi, spazientito: “Ao, che volemo fa’ notte?” E loro si son svegliati e poi guardati, incantati. Tim, preso da un momento riflessivo di stampo filosofico, disse:

– Pensa, io sto riscattandomi in una specie di forma nuova, e ho dovuto sbudellare il mio modo di essere in mezzo agli altri, ma il filo rosso a cui sono legato sei tu.

Tean lo guarda con stupore cercando di capire il senso di quelle parole. Pensa un po’ dentro di sé e risponde anche lei, ma un po’ assonnata: – Io, invece, ho paura che il mio filo si sia spezzato.

Anche se un po’ turbato da questo strano scambio, Tim propone a Tean di andare al bar per un aperitivo.

Il bar dove siedono ha una bella terrazza dove si può godere la vista di un quartiere fuori luogo. Si trova all’attico di un palazzo sorretto da murales di cinque cariatidi, nel quartiere di Torpignattara. Tean si fa trascinare da quest’aria di classicità, dalla monumentalità dell’aria, si sente un po’ Elisabeth Bennet in Orgoglio e pregiudizio, manca solo il costume d’epoca.

Infatti, si cala volentieri nei panni di Elisabeth e comincia a entrare nel suo personaggio. Tim rimane un po’ sbalordito da questa trasformazione, ma Tean non si preoccupa di Tim, si perde volentieri in un monologo delirante dove le parole perdono il filo della ragione. A un certo punto lo invita a ballare, anche se la musica non c’è. Tim accetta e la prende per mano.

– Potremmo fare un po’ di conversazione. Voi potreste forse dire qualcosa riguardo il ballo e io parlerei dei ballerini.

– Cosa dici? Non ci sono ballerini e tantomeno la musica. Stai delirando, Tean.

– A volte è l’occasione migliore. Si gode del vantaggio di poter parlare il meno possibile.

– Stai facendo sul serio?

– Sia te che io siamo scontrosi e nemici del parlare, almeno di non poter dire qualcosa atta meravigliare l’intera sala.

– Ma quando?

– L’altro giorno ho fatto una nuova conoscenza.

– Chi?

– Ha perduto la vostra amicizia in circostanze tali che soffrirà tutta la vita.

– Io non ho perso nessun amico. Sono fedele!

– E non vi lasciate mai accecare dal pregiudizio?

– Ma no! Come parli?

– Sto semplicemente cercando di capire com’è il tuo carattere.

– E ci stai riuscendo?

– Non faccio alcun progresso. Ascolto tante cose diverse su di te che sono molto perplessa.

– Che devi capì? Manco io me capisco.

– Ma se non capisco ora come sei fatto non potrei averne più l’opportunità.

– Tean! La smetti?!

– Oh mio dio. Tim, guarda lassù! Ci sono delle luci strane nel cielo. Sembrano denti.

Dodici luci in forma ovale, fuoco rosso, nel buio del cielo, roteano come per formare una parola. Questa immagine pietrifica Tean, che non riesce a immortalare con il cellulare.

Cosa saranno mai questi denti volanti?

– Sono lanterne cinesi, Tean!

– È impossibile. Queste luci sono diverse. Hai visto, si sono spente nello stesso momento roteando su se stesse.. È impossibile. Devo chiamare il centro Ufologia e testimoniare l’accaduto. Mannaggia, non sono riuscita a fare nessuna foto. Come faccio a testimoniare?

– Smettila! Svegliati, porca miseria! Ma cosa ti prende? Prima deliri e mi pari posseduta, poi credi di avere visto i denti nel cielo! Assurdo! Ma insomma, guarda in faccia la realtà!

– Non sai altro che essere razionale! Lasciati andare…


Jonida Prifti, poeta/performer e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva) etc. Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt”. Insieme organizzano, dal 2010, il festival annuale romano di poesia sonora “Poesia Carnosa”.  www.jonidaprifti.com