Svegliare il mondo dalla mestizia di Embiid.

Joel si sveglia e scivola giù dal letto.

Rimane un attimo in piedi, poi si precipita nella stanza dei suoi genitori e s’infila dentro accucciandosi sotto le coperte in mezzo a loro. A questo punto i suoi genitori sono svegli e dopo qualche istante il papà gli dice: “Ogni giorno la stessa storia, quand’è che potremmo dormire in pace sapendo che anche tu saprai fare altrettanto?!”.

Cambiare questa abitudine non è assolutamente semplice; spesso diventa un momento molto stressante. Il bambino non vuole saperne di dormire da solo nella sua cameretta, nonostante i numerosi e ripetuti tentativi, i genitori sono stremati e stanchi, l’impegno e la fatica possono diventare frustranti.

La mia stanza è tanto quieta e io sono solo. Voglio andare da mamma e papà. Altrimenti dovrò restarmene qui da solo, zitto zitto. Così vado nella loro stanza e mi infilo tra loro, in quella valle. Là mi lascio avvolgere dal tepore che sale e che scende. Mi immergo nelle calde correnti di odori, nei suoni dell’aria che fluisce fuori e dentro di loro, mentre la valle si riempie e si svuota. Affondo nel flusso intenso del nostro mondo mattutino.

Poi papà emette un segnale famigliare tutto per me. La sua musica risveglia un caldo senso. Per la prima volta noto che quel suono ha una forma speciale, che si distacca dalla musica. Questa forma è dolce, viva e indugia anche quando la musica è finita. Ha una sua forza e vitalità. Era celata nel flusso della musica ma ora è uscita allo scoperto. Posso giocare con questa nuova forma. Ha delle curve e delle piccole esplosioni. Mi sforzo di imitarla e la invio a papà. Lui me la rimanda chiara e distinta. Adesso ci sono. Gliela rinvio.

La nuova forma mi attira dentro di me. Là si dipana e al tempo stesso emerge dal profondo. Cresce e si espande. Lascio che mi avvolga e la stringo attorno alle mie emozioni come un mantello.

Adesso sono pronto. Mi alzo avvolto nella mia nuova forma. Quel mantello soffice e vivido mi trasforma. Emergo di scatto dalla valle e proclamo: “You know you can’t guard me right?!”.

Il senso di solitudine che prova Joel al momento del risveglio mattutino è diverso dall’ansia profonda provata l’anno precedente. Si sente isolato e ha la sensazione di essere tagliato fuori da ogni contatto umano. Gli manca la presenza di altre persone vicine e sa che tutta l’attività è concentrata altrove. A turbarlo è soprattutto l’aspetto inanimato, non umano, della stanza: “E’ tanto quieta, così calma”. Per giunta è ormai cosciente del passato e dell’immediato futuro, ed è in grado di fare delle previsioni: “Altrimenti dovrò restarmene da solo zitto zitto. Così vado nella loro stanza”. Afferra i concetti, ma non ancora il significato verbale di “altrimenti”, “così”, e “perché”.

Qui, nella “valle”, Joel ha un incontro importante col linguaggio. Dal momento in cui ha scoperto che una parola o una frase possono stare al posto di qualcos’altro, si è impadronito della chiave del linguaggio. Joel ha già svelato il segreto di molte parole e il fatto di saperle usare, farle riferire a cose, persone e animali gli permette di applicare lo stesso metodo per individuare nuove Geolocalizzazioni. Ogni volta questo rappresenta una scoperta ed ogni giorno Joel strappa qualcosa di nuovo al flusso non verbale.

Più tardi nella stessa mattina, quando tutti si sono ormai alzati, Joel è in piedi nella sua stanza e attende di essere vestito dalla mamma, che arriverà da un momento all’altro. All’improvviso nota un raggio di sole giocare per terra e sulla parete, si dirige verso la chiazza di luce sul pavimento di legno scuro. Affascinato si butta carponi e la osserva, la tocca con la mano… poi abbassa il viso e vi appoggia le labbra. In quel momento entra la mamma e lo vede; è sorpresa e al tempo stesso vagamente divertita. Gli grida: “Smettila subito! Cosa stai facendo Joel?”. Lui tira su la testa di scatto, fissa la macchia di sole, poi alza lo sguardo sulla mamma. Lei gli si avvicina, si piega, lo abbraccia e poi dice sorridendo: “Quello è un raggio di sole tesoro e devi limitarti a guardarlo. E’ solo un riflesso sul pavimento, non si può mangiare. E’ sporco”. Joel si libera del suo abbraccio ed esce dalla stanza.

La luminosità del mattino è di nuovo là e danza lentamente sul muro. Sul pavimento c’è una pozza bellissima, brillante e profonda. E’ come guardare giù da una profonda scalinata. E’ calda come una coperta. Vibra come musica, risplende come il miele. E ha un sapore di boato, di ovazione.

“Quello era un raggio di sole.” Ma era il mio laghetto, la mia arena speciale!

“Devi limitarti a guardarlo.” Ma io l’ho sentito, l’ho toccato!

“E’ solo un riflesso sul pavimento.” Cosa vuol dire?

“E’ sporco.” Io c’ero dentro.

Quando ha finito i frammenti giacciono tutt’intorno. Quel momento magico è scomparso, mi sento nudo e triste. Sono solo.

Dopo due anni Joel non vive più in un eterno presente ma inizia ad assorbire le esperienze passate. E’ aumentata infatti la sua capacità di richiamare alla mente i ricordi dietro allo stimolo di un semplice particolare. Ma sarà poi davvero in grado di percepire il presente in questo modo?

In questo periodo particolare del suo sviluppo Joel lotta per apprendere un nuovo codice in base al quale catalogare le vecchie esperienze. Ed è ancor più importante quando le incrinature sono impercettibili ed è difficile capire cosa è andato storto, o perché. Un genitore sensibile può aiutare il piccolo a collegare questi due mondi.

https://youtu.be/LKaPvNJyoGs

Qualche sera dopo Ben Simmons, il suo compagno, gli aveva chiesto come mai era così silenzioso e mentre rispondeva che non c’era niente si era reso conto di essere infelice a Philly, dove la vita per lui era superficiale e complicata. Le più comuni sedute di allenamento diventavano una cosa impossibile. Le esercitazioni si trasformavano spesso in sedute terapeutiche con nevrotici infelici che andavano sottoposti ad una rozza psicanalisi. All’ordine del giorno disquisizioni irreali per determinare il valore di un orologio da polso o di una pelliccia, rubati da un ladro del ghetto che il più delle volte, risultava nevrotico quanto la sua vittima. Triple dall’angolo che scomparivano dagli archivi e patacche d’unto di ciambella appuntate come medaglie sulle cravatte delle reclute al primo anno.

Quella sera, alle nove e dieci, Joel e Ben ricevettero una chiamata da un appartamento in Southwest Philly non lontano dal Comando di polizia.

“E’ una chiamata a cui non possiamo sottrarci, si tratta di uno stabile molto vivace.”

“Faremo tutto quello che va fatto per mettere ogni cosa al proprio posto”, disse Joel Embiid.

Dopo lo sweep con Miami Joel se ne stava in piedi sotto il sole, immobile. Era vero che non aveva età: portava una casacca sporca di un blu scolorito, e delle espadrille con la suola di corda. Teneva lo sguardo sulla massa dei curiosi che lo attorniavano, e probabilmente vedeva tutto. Non dava segno di impazienza, né si meravigliava di vedere che coach Brown lo abbandonava lì per andare a confabulare con un gruppo di uomini del posto.

Proprio come un detenuto. Con la stessa indifferenza di quelli che il Dottore Rivers aveva visto un giorno schierati su un rimorchiatore che li avrebbe portati al piano di sopra, in alto in alto, quasi a sentire l’estasi del trionfo finale. 

Doveva essergli capitato spesso di venir messo su un treno o su un battello per una destinazione ignota, di esser sceso in una stazione desolata, di venir rinchiuso in una caserma o in un ospedale, contrassegnato con un numero.

Ma il più forte era lui. Di questo il Dottore Rivers, anche se forse un po’ indispettito, non dubitava: Joel li dominava tutti.

Gli altri si agitavano, andavano di qua e di là, chiacchieravano, ridevano, mentre lui se ne stava in disparte, sotto il sole, isolato da una temibile barriera trasparente, immobile e perfettamente calmo.

“Lo sapevo” spiegava coach Brown “che lo avrei trovato dalle parti della stazione. Strano però… I gabinetti pubblici sono ancora chiusi al pubblico a quest’ora.

Il Dottore Rivers ascoltava senza unirsi al gruppo.




(G) Squaderna è una porta, (R) un pomello o un vicolo. (I) Viaggiatore del tempo e blah blah blah (P) – binocolo, lente, (C) telescopio che osserva la spocchia da realtà aumentata corrente e diffusa. (ASINO)