Luigi Malabrocca: omaggio in netto ritardo all’anti-campione vincente.

Scena 1: anni ’30, Tortona. Ci sono due ciclisti dilettanti a Tortona, uno interessante e uno decisamente promettente… Il primo è un ragazzo alto e dinoccolato, con un fisico più da scalatore che da ciclista, che proprio per questo viene dileggiato bonariamente dal secondo che lo chiama “el dardèla” o “lo strafuso”, colleziona tempi buoni, ma non esaltanti dato anche il fisico; il suo nome è Fausto Coppi. L’ altro ciclista invece, dall’aspetto un po’ inquietante dato il suo sguardo da asiatico con gli occhi a mandorla che gli vale il soprannome di “el cinès” accanto a “el mala” e “luisìn”, fa tempi decisamente ottimi, solitamente migliori di quello spilungone Coppi; il suo nome è Luigi Malabrocca.

Scena 2: immediato dopoguerra. L’ Italia devastata, tutti, specie fra la massa contadina e operaia, hanno bisogno di eroi a cui aggrapparsi in quella fase di disperata ricostruzione, il Giro d’ Italia scalda gli animi più della politica, tra tracciati che vengono ridisegnati continuamente per impraticabilità dei percorsi e uno scenario più da gara campestre che da pista. Coppi era già entrato nel mito nel giro del ’40, Bartali era l’ eterno rivale, tra loro era un derby di portata nazionale; accanto a loro altri 77 corridori che più che alla medaglia pensano alla pagnotta, nel 1946. Per Malabrocca, sposo novello, è più importante bruciare energie negli sprint delle tappe iniziali per collezionare piccoli premi che rischiare per arrivare primo di fronte a due fenomeni assoluti nel ciclismo, e portare un po’ di soldi a casa. Una tappa troppo faticosa a metà giro lo fa arrivare ultimo e da lì l’illuminazione che segnerà la sua vita e la sua carriera creando un anti–mito che io mi prendo il fardello di rievocare in queste righe: l’ ultimo classificato riceve puntualmente collette in denaro tra pubblico e sponsor, contadini che regalano prosciutti, salsicce, bottiglie d’olio, uno addirittura una pecora intera: è la vera rivincita degli ultimi, parlando di premi che rischiano di essere superiori a quelli dei vincitori. Da quei giorni Malabrocca non correrà più per la maglia rosa, ma per la famigerata maglia nera dell’ultimo in classifica.

Malabrocca diventa puntualmente un anti–mito, perché è tutto fuorché un brocco, ma un ciclista di talento capace anche di vincere: alla Parigi–Nantes del ’47 arriva primo sbaragliando i francesi, con disappunto e netta frustrazione della stampa parigina, mentre nei ’50 è per due volte campione italiano di Ciclocross. Ma al giro d’ Italia l’ ultimo posto è il suo: attento a non farsi fregare dai brocchi, pedalate lente, stratagemmi, soste nei bar a firmare autografi ( perché il “mala” era amato quanto Bartali e Coppi tanto dal pubblico che dai media), brindisi nelle osterie, una volta rischiò di venire infilzato col forcone da un contadino per un pisolo nel fienile dopo essere stato scambiato per un ladro. Non tutto filava liscio, ma niente poteva fermarlo nel suo obbiettivo perseguito stoicamente, portando a casa un ammontare di premi pari a quello dei vincitori da podio: il vero asso pigliatutto del giro era il “luisìn”.

Eppure nel ’49 apparve la sua nemesi: il brocco totale Sante Carollo, un manovale che la bicicletta la usava per andare al cantiere da casa in tutta calma, uno di quelli che dopo 5 minuti in bici aveva già il fiatone. Per battere questo mostro di lentezza l’ unica opzione era nascondersi in un fienile per qualche ora, ma l’ arrivo fuori tempo massimo senza cronometrista, che era già andato a cena a casa, alla penultima tappa lo fa arrivare sì ultimo, ma al tempo del gruppo misto; un disastro che segnò l’inizio del declino dell’ anti–mito delle maglie nere, che comunque resistette ancora per una buona metà degli anni ’50.

Luigi Malabrocca si ritirò nel 1956 portando comunque a casa 138 vittorie di cui 15 da professionista, le più rilevanti, oltre la Parigi-Nantes del ’47, furono la Coppa Agostoni del ’48 e il Kroz Jogoslaviju del ’49, oltre al ciclocross nel ’51 e nel ’53. Ma noi, a 100 anni dalla nascita il 22 giugno ricordiamo ovviamente in netto ritardo una di quelle che, vuoi o non vuoi, è una delle icone dell’Italia affamata del dopoguerra, e che ci ha insegnato una lezione fondamentale: non è vero, come spesso si dice, che tutti vogliono essere campioni, perché esserlo richiede una fatica pari se non superiore al diventarlo e non è per tutti, indipendentemente dal talento. Ma tutti, proprio tutti, vogliono tornare a casa con un premio per i propri sforzi, si tratti di una colletta, una pecora, un prosciutto o almeno due salsicce. Per rendere finalmente giustizia all’ antico adagio: “L’ importante è partecipare”.



Balsano Simone, al secolo “Profeta Matto”, MC pioniere del rap di strada in Italia, riciclato come DJ, pubblicista a tempo perso, opinionista con la coccarda, Gran Maestro di vita senza cappuccio e grembiule, organizzatore di eventi insensati, guastafeste di professione. Ex membro de “Gli Inquilini”, storico gruppo rap italiano, 4 album all’ attivo dove mostra la sua abilità di cantastorie cazzaro, come qui sopra.