Umori di bottega: la playlist col sole a strisce.

Diciamo che di tempo da buttare per ascoltare un po’ di musica ne avete tutti un bel po’; la galera, i domiciliari, la libertà vigilata vuoi o non vuoi ti portano alla riflessione… Ma era troppo facile buttarla sul pandemico o sull’apocalittico “a gratis”; vero che io con la fine del mondo ci ho sguazzato parecchio, un concept album antiutopistico nel 2005 e poi vabbé Giorno Del Giudizio nel 2012, diciamo che ero preparato psicologicamente, a occhio e croce. Però fare finta che oltre a questo, al momento, non ci sia dell’ altro in ballo sarebbe pure poco corretto intellettualmente. Io direi, 10 brani di vari generi e 3 album del mondo Hip Hop da ascoltare per intero, per capire che questa storia è iniziata più o meno nel ’68, che per qualcuno forse non è mai arrivato, che è stata cavalcata più o meno onestamente nella seconda metà dei 90 e che a occhio e croce le ultime cose da dire sono uscite poco prima del famoso 11 settembre. Che se il film poteva essere più interessante di sicuro la colonna sonora è di altissimo livello.
Iniziamo.

TRIANGOLO DELLE BERMUDE URBANE

1. ALL WE GOT IZ US – ONYX

(Def Jam – 1995)

Era l’ ormai lontanissimo in tutti i sensi 1995, imperversava il sound della West Coast e c’ era la famosa faida tra le due coste. Gli Onyx avevano esordito tre anni prima sotto la protezione illustre di Jam Master Jay con un singolo, Throw Ya Gunz, che è universalmente riconosciuto come l’ apripista del Gangsta Rap a New York seguito nel 93 dal buon album di esordio platino Bacdafucup, contraddistinti dal Grimy Style a livello voce e da beat e testi ferocissimi; il punto è che di li a poco l’ asse sonoro del rap, che fino al 92 specie ad est era legato al Rock sin dai giorni dei beats di Rick Rubin, prima col G Funk di LA e poi con l’ esplosione della Bad Boy Records di P. Diddy con Notorius BIG a NY stava virando verso un funk più o meno elettronico, ma decisamente musicale e radiofonicamente malleabile, Wu Tang Clan a parte che fu un eccezione da subito… A Sticky Fingazz, Fredro Starr e Sonsee non gliene fregava un cazzo. Peggio, decisero di portare il discorso su un piano che passava dal teppismo di strada del primo album a scenari futuristici antiutopistici, le prime critiche al Nuovo Ordine Mondiale di quegli anni, un discorso più esistenziale che politico costellato di video notturni, codici a barre tatuati sulla nuca, polizia e cani ovunque, microcriminalità e tendenze suicide. All We Got Iz Us arrivò a malapena all’ oro e fu un mezzo flop commerciale salvato in corner dal singolo Last Dayz, fu la prima avvisaglia riguardante un pubblico di ragazzi bianchi, quelli che facevano i numeri del mainstream, sempre più orientato a un immaginario che qualche anno dopo sarà definito “Bling Bling” piuttosto che a quella disperazione legata al G Rap più maturo da Ice T a Scarface che iniziava a segnare il passo. A parte questo, uno dei dischi più “neri” della storia del rap, senza un barlume di speranza, crudo, rabbioso, endemicamente rivoluzionario per ripiego più che per scelta

Singolo consigliato: Last Dayz

2. DON KILLUMINATI – MAKAVELI (2PAC)

(Death Row – 1996)

Su Tupac è stato detto tanto anche qui in Italia, ma non sarà mai abbastanza. Ha raccolto le istanze rivoluzionarie delle Pantere Nere di cui faceva parte la sua famiglia, era un Original Gangster, come si dice, è stato una Star mondiale in qualità di rapper e di attore, amava la bella vita e l’ alta moda, è morto assassinato in circostanze ancora oggi oscure. Don Killuminati uscì nel natale del 96, postumo, con una copertina che nessuno ebbe il coraggio di censurare o contestare, il disco meno commerciale di Tupac con un sound solo apparentemente involuto rispetto al successo mondiale All Eyez On Me dell’ anno precedente così curato dal punto di vista della produzione da risultare quasi un lavoro di Michael Jackson versione rap (paragone non casuale visto che a supervisionare tutto c’ era il nipote di Quincy Jones, “Jhonny J”). In realtà il sound è sporco, opaco, alcuni beat sono al limite della sperimentazione, siamo distanti anni luce dal G Funk che ancora imperversava; l’ atmosfera è funerea, parliamo di un disco fatto da un artista che sapeva che avrebbe vissuto ancora per poco, i testi mischiano qualche inno alla vita alla malavita più feroce, con richiami, e forse questa è la vera novità, ad una guerra neanche troppo sotterranea ai poteri occulti dietro alle lobbies dell’ occidente e ai rappers che si sono piegati a certe logiche. Da ascoltare per intero, più di una volta, una eredità pesantissima ancora non raccolta appieno. Da guardare con attenzione il booklet (o la cover se avete fra le mani il vinile)

Singolo consigliato: Hail Mary

3. PITY THE FOOL – MR. LEN

(Matador – 2001)

Questo è underground allo stato puro, lo conoscono in pochi e lo hanno sentito in pochissimi per intero, parlando di Italia… Ma c’ è una ragione per cui lo ho inserito in questa tris. Innanzitutto Mr. Len era il DJ dei famigerati Company Flow, la crew che diede un senso, alla fine degli anni 90, al concetto di “underground” inteso come scelta precisa, in un genere, il rap, dove i soldi sono il motore essenziale di tutto. Precisiamo però che underground negli usa vuol dire un giro di affari indipendente e remunerativo, almeno fino al crollo del mercato discografico con annessi e connessi. Quindi, dopo lo scioglimento della crew, dovuto anche a problemi contrattuali con la Rawkus, l’ etichetta che ha appunto incarnato l’ underground hip hop in uno spicchio temporale brevissimo, ma intensissimo, El Producto, mente del gruppo, si diede a una fortunata carriera solista in assoluta libertà creativa con la propria label Def Jux, negli ultimi anni culminata nel progetto a 4 mani con Killer Mike “Run The Jewels”, Bigg Jus pubblicò alcuni lavori interessanti negli anni 00 e Mr. Lif, a parte la sua attività di DJ ha pubblicato solo questo lavoro, che è un album con tutti ospiti differenti al microfono ma che non è da considerarsi compilation perché segue un chiaro concept, nel maggio 2001. Il nodo è tutto qui. Perché questo, magari involontariamente, è proprio il lavoro che incarna la fine di una ricerca e di una esigenza di crescita culturale per il movimento hip hop, i presupposti sono scritti a chiare note nella cover e nel booklet, “20 years from now it’s easy listening”, la stessa idea di svecchiamento dei Company Flow, eppure qualcosa non torna stavolta, quel bisogno di andare avanti e sempre dei b – boys del mondo hip hop subirà una battuta di arresto che non subì neanche con la morte di Pac e Biggie. Saranno quei corvi in This Morning con i Juggaknots, boh. Ma quando senti Taco Day di Jean Grae raccontare le sensazioni più profonde di chi ha generato una strage sul modello di Columbine non basta Straight di Q – Unique che è una bomba a riportarti a quell’ immaginario hip hop di rivoluzione continua che vivevamo tutti a spron battuto sicuri che non sarebbe mai finito. L’ 11 settembre era dietro l’ angolo e da li sarebbe iniziata una curva discendente che forse proprio in questi giorni sta toccando il fondo. Riascoltando questo disco, che peraltro è un gran disco sia chiaro, a distanza di anni senti che forse c’ era già qualcosa nell’ aria, un attimo prima.

Singolo consigliato: Taco Day – Jean Grae feat. The Melon Bayside High Drama Club 

LA TOP TEN DEFINITIVA

Da ascoltare rigorosamente in questa precisa sequenza cronologica.

1. A LA RENELLA (ANONIMO)

Io direi che il classico senza tempo va ascoltato da subito, all’ inizio. Ancora si dibatte sull’ origine temporale, quel “i Turchi so arivati a la marina” lo fa addirittura ricollocare alla Battaglia di Lepanto, c’ è chi lo ricollega all’ assedio di Vienna del 1683 (ma Vienna non sta sul mare), chi dice sia stato scritto nel XVIIImo secolo. Ci sono infinite versioni, ma resto particolarmente affezionato a una delle più filologiche, quella di Sergio Centi dell’ Antologia Romana del 1966. Forse il canto dei carcerati più intenso di sempre.

2. NON SONO MATTO O LA CAPRA ELISABETTA – LUCIO DALLA

Beh, lo campionai in tempi non sospetti, di sicuro sono stato il primo nel 2002. Era il 70, un attimo prima di 4 marzo che fece diventare Dalla un fenomeno nazional – popolare, Terra di Gaibola era un lavoro ancora sostanzialmente senza compromessi (fermo restando che di capolavori Dalla ce ne ha regalati parecchi) dopo l’ esordio bomba 1999. Il primo testo scritto da Dalla, una narrazione legata anche essa a un universo contadino senza tempo dove in fondo era tutto molto più precario di adesso. Da riascoltare e riscoprire

3. VIECCHIE, MUGLIERE, MUORT’ I CRIATUR’ – NAPOLI CENTRALE

Il funerale di quel mondo contadino. La morte de “o paese”, perché i giovani stanchi di quel mondo povero e precario “vanno in fabbrica a faticà”; chissà che non si torni tutti in campagna grazie al crollo di quelle poche certezze del mondo urbano e industrializzato dovute alla globalizzazione e al suo atto finale che si sta consumando ora… Ma qui era il 1975, gli emuli nostrani dei Weather Report erano al loro esordio sfavillante, quel piano Fender assassino uccide l’ intera traccia e vale più di mille parole

4. HARD TIMES – BABY HUEY

Un talentaccio di quelli straordinari, ma il tempo è inflessibile oltre che galantuomo, Baby Huey è stato una voce carica di Soul esplosa fuori tempo massimo, quando nel 1971 si era già a piè pari nell’ era del Funk, in questo senso il padrino Donnie Hataway non fu certamente foriero di una carriera luminosa, di Huey ci resta un unico strepitoso album Psycho Soul già postumo di cui questa è la traccia forse più rappresentativa, testo graffiante di Curtis Mayfield dove l’ atmosfera di cambiamento dei 60 si scontra fatalmente con un universo urbano altrettanto fatalmente vicino a una giungla. Quel cambiamento che non è arrivato neanche fuori tempo massimo, stroncato dall’ eroina.

5. BY THE TIME I GET TO ARIZONA – PUBLIC ENEMY

Era il lontanissimo 1991, i Public Enemy sparavano quello che è forse stato il loro ultimo grande lavoro Apocalypse 91 – The Enemy Strikes Black, dopo quello non avrebbero mai più avuto lo stesso peso politico all’ interno della comunità. Questo pezzo in particolare fu un inno al boicottaggio delle elezioni che ci furono all’ epoca per il governatore dello Stato dell’ Arizona, data la natura tendenzialmente razzista o quantomeno distante dalla “black community” di entrambi i candidati, sia DEM che GOP, condito da un video che alternava attentati a immagini di repertorio di MLK. Se per gli USA di allora era troppo oggi sarebbe buono per una accusa di terrorismo… Giusto per ricordarci cosa erano il Rap e la Black America anni luce prima di Obama, quando si era tutti dalla stessa parte, quella giusta. Oggi non esiste più nessuna parte, a occhio e croce

6. IL GIUDIZIO – IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA

Per qualcuno l’ esordio del 1971 del Rovescio Della Medaglia fu pretenzioso negli intenti, musicare “La Bibbia” riallacciandosi ad alcuni episodi cardine non era certo un giochetto, ma il fatto dell’ incisione in presa diretta anziché minare una roba così complessa fa guadagnare punti anziché passare da spavalderia. Un esito da rivalutare degli anni d’ oro del Rock Italiano, quelli della Prog, avanti sui tempi proprio nel tema scelto. Una fine del mondo in tempi non sospetti questo “giudizio”

7. NUNG RIVER – APOCALYPSE NOW OST

Poteva mancare la colonna sonora più apocalittica di sempre? No. Partiture classiche di Carmine Coppola, padre di Francis, genialmente riadattate alla psichedelia e ai synth analogici anni 70, una scelta rivelatasi vincente anche in altri casi (Profondo Rosso in testa). Ma permettetemi un breve spaccato di vita personale: ho aspettato più di dieci anni per fare un beat con questo brano strumentale epico e decadente nel contempo, servivano le mani giuste e le trovai ai tempi di Giorno del Giudizio nel 2012; quel moog aveva delle frequenze terribilmente vicine ad alcune sonorità utilizzate dai Dervisci in fase di rotazione, un occasione troppo ghiotta per il Terremoto, con la T maiuscola, definitivo, ora a un passo da noi

8. HOLD ON TO YOUR MIND – ANDWELLA

Per apprezzarlo meglio questo brano, specifichiamo che il gruppo è originario di Belfast e che il brano è dentro World’ s End del 1970, con una bella foto stile Sacra Sindone in copertina. Il brano è un cazzo di inno alla vita, di vitalità disperata, con un testo estremamente semplice, ma di una intensità abissale tenendo conto dei presupposti di cui sopra; un pezzo di Rock Psichedelico da ballare disperatamente, fra bombe, sparatorie o anche dentro una cella. Ma da vivere

9. TIME HAS COME TODAY – THE CHAMBERS BROTHERS

Chi un classico di Hendrix, chi di Janis Joplin, qualcuno dice di Morrison. E’ un po’ come il gioco del lotto, ognuno ha la sua visione sul pezzo che è colonna sonora del 68. Io faccio una scelta maledettamente underground e squisitamente consapevole… Perché sembra di stare a guardare una sommossa quando senti questa traccia lunghissima, con i suoi cambi ritmici e le sue variazioni, tra cariche e assalti, il testo ha la consapevolezza di chi ha già innervato l’ esperienza psichedelica e adesso non sa dove sbatterla, la testa. Woodstock, Wight, in realtà era già stato detto tutto a metà degli anni 60, ma non era mainstream. Il pezzo uscì addirittura a Gennaio del 67, prima dell’ esplosione. Un gran finale in larghissimo anticipo

10. QUANDO VERRA’ NATALE – ANTONELLO VENDITTI

Quando non contano le parole, ma il modo in cui le dici, l’ interpretazione. Il Venditti dei primi 70, il migliore, ci regala la sua Aspettando Godot in 5 minuti e mezzo in cui il suo piano parla e fa da contrappunto alla sua voce. Un Venditti astralmente lontano da quello degli ultimi 20 se non addirittura 30 anni, quello processato per vilipendio alla religione per la sua A Cristo contenuta proprio in questo album. Quando essere cantautore in Italia poteva rappresentare un problema, da recuperare assolutamente

BONUS TRACK: FUNKY NASSAU – THE BEGINNING OF THE END

E se invece… Fossimo davvero davanti al preludio che scardina tutto e ci farà ripartire in modo diametralmente opposto alle grigie retoriche con cui ci stanno massacrando i media? In barba a questa macabra idea cino – papalina di condivisione, un bel “vaffa” rigenerante? Sta a vedere che sti cinque disgraziati (più gli ottoni) avevano capito tutto in tempi non sospetti, nel 71. Beginning Of The End è il nome del gruppo e ed erano i maestri del funk delle Bahamas; una presa a bene infinita, un pezzo che ancora oggi tiro fuori per far ballare la gente quando si tratta di tirare fuori i breakbeats delle origini. Nell’ attesa di tornare a fare festa, più pronti di prima se saranno loro a non voler cambiare





Simone Balsano, al secolo “Profeta Matto”, MC pioniere del rap di strada in Italia, riciclato come DJ, pubblicista a tempo perso, opinionista con la coccarda, Gran Maestro di vita senza cappuccio e grembiule, organizzatore di eventi insensati, guastafeste di professione. Ex membro de “Gli Inquilini”, storico gruppo rap italiano, 4 album all’ attivo dove mostra la sua abilità di cantastorie cazzaro, come qui sopra.