Certame. Nonno VS Demonio metallico.

Vigilo, nel sonno vigilo
Sentinella, che vedi?

Sussurri, quasi liberi, quasi nudi di fronte all’estate.

Le mie braccia attraversano i muri e il busto, la testa e le gambe seguono a ruota. Esco fuori, a piedi, e accarezzo uno degli alberi che troneggiano nel giardino, e le sue foglie verdi chiare. Mi rotolo nell’erba diseguale tra le margherite e un piscialletto – uno solo, giallo fortissimo – che mi si infila nel naso. Mi agito e piango lacrime atlantiche e dolci.

«Non piangere non piangere non piangere», un pigolio interminabile.

«Chi sei», penso, «e soprattutto che vuoi».

«Sono io guardami ci siamo è il momento».

Straripo, sono lo sbuffo di crema sopra al croissant alla crema.

Sono le 8.30 del mattino e ascolto una gallina rossa e spumosa che starnazza ininterrottamente da almeno venti minuti. Decido che sarà la colonna sonora di oggi e, intanto, mi saluta la luce tiepida che filtra dalla finestra: «svegliati», mi dice.

«Guarda che sono già sveglio», dico io, «ho solo gli occhi appicciati».

Mi stropiccio gli occhi e li libero dalle catene di secrezioni lacrimali essiccate. Sono felice.

Mezz’ora dopo sono già nell’orto.

Il nonno, ieri, mi aveva preventivato gli ultimi preparativi prima di mettere giù i pomodori. «Ti aiuto io nonno, tranquillo», avevo risposto animato da una vena agricola pulsante. Ora sono qui, zappa in mano, a fianco del nonno che rastrella amabilmente come fa l’adepto della mindfulness col giardino zen. Godiamo del momento bucolico e spirituale al contempo, e stiamo fondamentalmente zitti nello zittio del qui e ora.

Poi un rombo futurista, di macchina e di motore a gasolio. È il nemico, di là, il demonio metallico con tanto di cane che abbaia di continuo e francamente ci avrebbe anche rotto le palle. Entra in scena tronfio, gradasso, grasso, con l’aria di sfida.

È una faida di stampo antico, polverosa come una strada acciottolata di campagna. Ci scambiamo un’occhiata sbilenca, il nonno ed io, come per dire “ma questo che vuole ora?”. Poi non ci parliamo, abbassiamo la testa e continuiamo il lavorio: io zappo lui rastrella io zappo lui rastrella io zappo lui rastrella io zappo… finché il rastrello cade. Il nonno alza il volto, fiero dell’acquetta che gocciola dal suo mento gentile, e mira oltre la recinzione. Il macchinario del diavolo, di là, fresa la terra senza fatica, senza cuore, e ne restituisce una brunoise marrone condita di sudore meccanico che non esiste.

Il nonno si gira e mi guarda: «Mah…» – (mi sembra di scorgere una punta di invidia) – «…che gusto c’è in codesta maniera?».

Io gli restituisco il mio sguardo complice, compiaciuto, dopo aver a mia volta esaminato e giudicato la vista davanti ai miei occhi: «Ma che ne so nonno».

Di là ridono tutti, seduti con le loro pance gonfie dove poter appoggiare le braccia conserti e inoperose.

Il nonno recupera il rastrello e ricomincia indomito e senza sosta la sua faccenda primordiale. Io prendo il mio cappello, mi riaggiusto la tesa e poi ripianto la zappa nella terra che è dura.

Di là ridono e il nonno ed io, ridiamo anche noi.


Niccolò Protti non dimostra l’età che ha. Gli piace scrivere e cucinare. Suo nonno fa l’orto.