Son tutto spettinato.

Agiscono gli agenti atmosferici. Ma che è sta roba che tira un vento cane. Poi piove un po’, anche.



«17 verticale… questa la sapevo, un tempo…»

L’attività legata ai cruciverba è da sempre il preludio al pasto, l’aperitivo di parole incastonate in quei quadrati perfetti, bianchi-neri a intervalli. Quando è vento forte e quando piove, il trastullo tende a infinito, finché c’è luce che filtra, dalla porta a vetri opaca.

Sì ok, si mangia, «vieni a mangiare nonno!». Il nonno posa la sua rivista con la penna nera a far da segnalibro e viene a cibarsi. Inforchetta la pasta alla pomarola in porzioni esagerate e mastica silenziosamente e mi chiedo come sia possibile infilarsi tra i denti quella quantità di roba e non creare molestie sonore.

Poi mangia il secondo, che alla sua tavola non può mancare. Mi ricordo quando, quella volta, qualche anno fa, sua moglie esclamò: «oggi il secondo non l’ho fatto, non ne avevo voglia». E il marito, ovvero il nonno: «che è successo oggi, è morto qualcuno che non c’è il secondo?». Da che ricordo, poi il secondo non è mai più mancato, sulla tavola del nonno.

«Mi mangio mezza mela va’». Il nonno, per mangiare mezza mela, adotta una tecnica tutta sua: si munisce di coltello seghettato e nero, e taglia la mela a metà; la prima metà – la prescelta – verrà dunque momentaneamente lasciata pochi secondi accanto al piatto, sulla tovaglia, mentre l’altra metà andrà a finire nel cesto della frutta, pronta magari per essere consumata a cena o chissà, forse domani. Bene, la parte prescelta verrà a sua volta ridotta in due mezzi perfetti tramite un’altra coltellata e poi, da qui in avanti, avviene la magia: se le persone, in generale, optano per un taglio di grandi falde di buccia in modo tale da far veloce, il nonno si adopera in modo diametralmente opposto. Può sembrare infantile e sintomo di incapacità vederlo fare tutte quelle microincisioni sulla superficie innocente della mela golden (qualità che predilige), tuttavia ci sono tecnica e strategia da vendere: i minuscoli lembi d’oro zuccherosi sfioriscono sul piatto, come una cascata di cadaveri in una fossa comune, e si accumulano morbidi e vaporosi.

Poi è la via crucis. Si alza calmo – il nonno – afferra il piatto, gira sui tacchi e dalla sua postazione capotavola fronteggia l’uscio. Lo apre, discende uno scalino, curva a destra e via sul rettilineo. Taglia il giardino con brevi falcate e copre la distanza in 27.9 secondi; giunge nei pressi del vialetto ghiaioso che separa il suo casottino con gli attrezzi – a sinistra – e l’orto – a destra.

Ma non è importante, oggi, cosa sta dove. PERCHE’ OGGI È IL FUTURO.  

I sassi, piccoli e infami, ciottolano sotto le calzature del nonno. In fondo al passaggio si erge, in tutta la sua imponenza, la compostiera. Il nonno apre il vaso di Pandora e ne esce un nugolo di minuscoli insetti neonati ed errabondi: volano le nuove creature e si mischiano alla gestualità rituale, gli arti consapevoli, lo scaraventare il contenuto del piatto nella terra primordiale, nella vita.

Verranno giorni migliori, la semina, irrigare, raccogliere i frutti del sudore. Ma oggi è vento.

Rientra in casa, il nonno.

«Son tutto spettinato», dice.


Niccolò Protti non dimostra l’età che ha. Gli piace scrivere e cucinare. Suo nonno fa l’orto.