Non metteremo mai la testa a posto. Su «Altri libertini» di Tondelli messo in scena da Licia Lanera

C’è sempre un po’ di apprensione quando un/a artista “mette le mani” su un libro che ti ha segnata, che fa affiorare immediatamente ricordi, situazioni, persone. Cosa ne verrà fuori? Brucerà la delusione, si compirà un tradimento? La domanda se la deve essere posta anche Licia Lanera scegliendo di mettere per la prima volta in scena Altri libertini di Pier Vittorio Tondelli. E la risposta che ha trovato è stata questa: farlo proprio. Un’appropriazione, quella dello spettacolo che ha debuttato a Romaeuropa festival e che sarà presto a Milano, Bologna e Ravenna, che prende la forma di un omaggio personale ad un libro dirompente, libro che può essere preso solo come un manifesto, un vestito, un’identità. Se non ci si riconosce almeno un po’, meglio lasciar perdere.

Si comincia svestiti, in ogni caso. Sul palco ci sono Giandomenico Cupaiuolo, Danilo Giuva, Roberto Magnani e la stessa Licia Lanera. Giuva è un membro fisso della compagnia, Copaiuolo e Magnani sono stati scelti per l’occasione e quest’ultimo, storico attore di Teatro delle Albe, rappresenta quel territorio, quelle strade, quell’accento, quell’inedia emiliana così presenti nel romanzo di Tondelli. La scena è fumosa, le sigarette vengono consumate a ripetizione, ci scappano le bestemmie. È la fase dell’esaltazione, del rimorchio, della passione, della partenza. Ad ognuno dei tre attori è affidato un diverso racconto di Altri libertini (ma con la duttilità di poter intervenire nelle storie degli altri): a Cupaiolo Autobahn, a Giuva Altri libertini, a Magnani Viaggio. Le tre linee narrative procedono quindi in parallelo, e quando si intrecciano è un dialogo tra sordi, come in un sincopato apice tra Cupaiolo e Giuva (restituire il ritmo del flusso di coscienza tondelliano era una grande sfida), dove il primo elenca gli innumerevoli soggetti che il cinematografaro biondo incontrato all’autogrill vuole riprendere (freak, beatnik, precari assistenti e supplenti, femministe, autocoscienti, lacaniani junghiani e profondi, bambini di Dio, nipotini di Marx, i macrobiotici gli integrali i situazionali gli edipici…) mentre il secondo si spertica nelle dichiarazioni d’amore totale nei confronti del recalcitrante Andrea.

Licia Lanera in scena interpreta se stessa, la regista, colei che tiene i fili e che tende la corda tra il 1980 e oggi. Dov’eri allora, quando usciva Altri libertini, e veniva sequestrato per oscenità (per essere poi assolto dall’accusa)? Lanera sarebbe nata due anni dopo, in una Bari che ancora non sapeva cosa significasse la parola “brand”; io invece dodici anni dopo, ma i miei già frequentavano a Roma l’università dove si sarebbero conosciuti e poi lasciati. Questo avanti e indietro serve a intessere Altri libertini nelle maglie della propria vita, al di là della distanza temporale: in scena c’è un letto, una cyclette regalata dalla nonna e un tavolo lasciato dall’ex. Lanera fa del minimalismo la sua virtù, come ha dimostrato anche col recente Con la carabina, col quale ha vinto il premio Ubu alla regia. D’altronde in Altri libertini la parola è già ricchissima, Lanera rispetta il lessico-mondo di Tondelli prendendosi pochissime licenze e scegliendo piuttosto di operare dei “salti”. Interessante poi il rapporto tra maschile e femminile che fa da sottotraccia allo spettacolo: da una parte il ribaltamento della usuale dinamica teatrale dove quasi sempre sono uomini alla regia a dirigere donne attrici; dall’altra un libro dove l’omosessualità maschile è spesso al centro della narrazione. Lanera con la grande personalità a cui ci ha abituato si prende tutte le responsabilità del caso, senza sentire il bisogno di farne teoria.

“Sono un ribelle mamma” degli Skiantos e “Siamo solo noi” di Vasco Rossi sono le due canzoni-simbolo scelte per rappresentare quella forma di vita fatta di sesso, marchette, sbronze, buchi, entusiasmo, esistenza collettiva, ribellione alle convenzioni. Canzoni che ci parlano di eroi e falliti allo stesso tempo, e non potrebbe essere altrimenti; possiamo essere eroi, ma solo per un giorno. Dopo una breve pausa, in cui gli attori si vestono, c’è infatti la china discendente. Non c’è esaltazione senza depressione, la vita insegna che la libertà si paga e soprattutto Viaggio prende una svolta tragica. Non si esce vivi dagli anni ’80, cantava qualcuno. Nei lunghi applausi finali si stempera una tensione che mostra come quello di Altri libertini sia stato effettivamente un viaggio per tutti gli attori, ci sembra persino che siano state toccate corde profonde, che sia stato necessario affrontare limiti personali per non fare torto al carattere dinamitardo di quel testo che Lanera è riuscita a non annacquare (il rischio c’era eccome).

In conclusione, questo revival anni ’80 che va avanti da diverso tempo, almeno dall’esordio di Stranger Things del 2016, ci dice forse qualcosa di più del passaggio ciclico delle mode. Abbiamo tanto in comune con quell’epoca cupa, difficile, senza speranze. Dal nostro nichilismo però non sta venendo fuori una seconda ondata punk, né sta per nascere l’heavy metal, né ci sono nuovi fenomeni dark all’orizzonte (stiamo ancora aspettando il nuovo disco dei Cure…) e persino le discoteche sono decadute. In cima alle priorità e alle preoccupazioni, c’è l’intelligenza artificiale. Che sarà utilissima, ma non si capisce perché a noi che siamo fatti di carne dovrebbe farci provare piacere, disgusto o qualsiasi altra cosa. E forse la forza delle emozioni è proprio ciò che quest’epoca anestetizza e rimuove. Troppa la paura, troppo il rischio. Ma con Tondelli e Lanera, ci piace illuderci e pensare che sia ancora possibile sfuggire dalla morsa della vita borghese, che ci si possa mettere in macchina senza una destinazione precisa, attraversare gallerie, fiumi, pianure e andare finché ce n’è. Che poi il problema è sempre lo stesso, quei vuoti da riempire con pacchetti di patatine o altro, quegli “scoramenti” che si attaccano alle budella, e che contagiano, ostia se contagiano. E anche nel 2024 il vino è farmaco, che le “scoglionature” bisogna necessariamente tenerle al caldo.


Lucrezia Ercolani si muove tra teatro musica e filosofia. È una punk.