La fissità di una porta rotta.

La prima sensazione che ho avuto leggendo “Zoologia abitativa” (Arcipelago Itaca ed., 2023) di Teodora Mastrototaro, è stata quella di una proiezione nel futuro, dentro il quale si può ricorrere all’utilizzo di un codice linguistico capace di far dialogare gli animali umani e gli animali non umani attraverso un filo invisibile. Mi sono immaginata un portale con le sembianze dello zerbino, dal quale si sente da lontano “il rimbombo” del suono di qualcuno che bussa “facendo forza fino ad inciampare”. 

Sono piedi umani le prime giunture in visione. Trovo ci sia una connessione con il libro precedente di Teodora, “Legati i maiali” (Marco Saya Edizioni 2020), sin dal primo verso che recita così: “La fissità di una porta rotta” con una soluzione di continuità nell’incipit di Zoologia dove  “Potranno i piedi restare”
. Una sorta di domanda silenziosa elaborata attraverso i meccanismi della mente, nella quale ci si sente coinvolti, come se quella fissità ci conduce verso la messa in discussione della mobilità dei piedi, alla ricerca di un luogo altro, capace di modellare la creazione di una prospettiva cosmica. 

La cifra stilistica di questa poetessa, risiede nell’elaborazione di un messaggio cosmico, captato attraverso gli animali selezionati non sempre per il loro rimando mitologico ma, bensì per la loro funzione quotidiana, anche quando si tratta di animali portatori di un simbolismo mitologico come i serpenti o la lumaca. 

Ho notato che il primo componimento ha come protagonista il serpente, invece l’ultimo componimento del libro, la lumaca. Questi due animali, entrambi striscianti e senza zampe, si differenziano per composizione e velocità, (alcuni serpenti possono strisciare a più di ventinove chilometri l’ora); entrambi sensibili alle più minime vibrazioni del terreno, coprono in Zoologia un ruolo importante, l’inizio e la fine.

Il serpente, per i Greci antichi, era un simbolo d’immortalità, poiché erano convinti che potesse rinnovare se stesso uscendo dalla sua stessa pelle quando era tempo per esso di rinnovarsi. Le lumache invece sono esseri ermafroditi, un esemplare ha al contempo gli organi riproduttivi maschili e femminili. Non sono l’unione di entrambi i generi, ma qualcosa di totalmente diverso, quindi né maschi né femmina, né padre né madre, entrambi si accoppiano ed entrambi depongono le uova. 

Se vogliamo, possiamo attribuire un’accezione erotica al morso del serpente “che appartiene alla bocca e alle dita, si rompe il mio gioco 
dove tutto si perde in duplice copia
 – affrancata e non:
 il tuo circolo eterno, il seno”.

E’ così che ci accoglie Teodora in Zoologia Abitativa, sin dalle prime battute, la vediamo, anzi sentiamo agire la sua sfera emotiva mescolarsi con quella degli animali, in una circolarità che provoca vertigine. Per chi voglia attribuire una connotazione surreale alla convivenza tra corpo umano e animali al plurale, si può arrendere di fronte all’abilità di Teodora nella resa del messaggio di denuncia, attraverso la pratica più difficile qual è la poesia. La cura che impiega Teodora nella scelta delle parole, del ritmo interno, la sonorità pulsa guidandoci nella curiosità di sentire la crudeltà della voce. 

Teodora è militante antispecista, e questa sua attività onesta integrata alla vita, ci sensibilizza, per renderci più attente nei confronti di tutti gli esseri viventi, come anche quelli più minuscoli come “il moscerino della frutta”. 

Quello che si evince in questi versi è anche riconoscere l’esistenza di questi insetti, all’interno delle mura domestiche, come il ragno, che se ne sta in un angolo della casa a tessere reti. 

*

La muta del lunedì sera,


la camicia l’ho riposta qui


sotto la mattonella crepata in superficie 

dove rifletto il cranio sporco.


Adagiata al sentirti stupore


di fatica, e sotto il pavimento un destino 

che ti somiglia.


Per ogni tuo aspetto un altro esce marcio 

così come l’anno che ricade al limite 

dove il corpo si consuma come fosse un 

calendario.


Nel tuo morso, 

che appartiene alla bocca 

e alle dita, si rompe il mio gioco


dove tutto si perde in duplice copia


– affrancata e non:


il tuo circolo eterno, il seno. 

(serpente) 

*

Almeno rimani a tavola,


la fame del volare puzza di cimitero 

dove una mela ammaccata


fa da ornamento.


Non il solito fiore ottuso


che crede nel nome scolpito nel marmo. 

Almeno rimani aggrappata ad un dente 

perché quando piove scavo un sorriso 

come quando mi hai detto


C’è un’anestesia per l’inverno:


la neve. 

(moscerino della frutta) 

*

(uscita) 

Nevica,


simile all’acqua ma sfinita.


Dalla casa sgorga in me questa bufera 

che ci mantiene in morte e si allontana. 

Eppure vi saluto


durante un’altra attesa. 

Cerco nuovi ospiti, esausti, che restino intimi. 


Jonida Prifti, poeta/performer e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva) etc. Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt”. Insieme organizzano, dal 2010, il festival annuale romano di poesia sonora “Poesia Carnosa”.  www.jonidaprifti.com