Seconda lettera.

Cari fratelli e sorelle, l’altra sera, per sfuggire alla tristezza, io e alcuni di voi ci siamo raccolti su una terrazza per parlare delle nostre cose. Erano sorti dei dubbi, com’era inevitabile. Sulla questione della gelosia che affligge le coppie. Quest’anno ha mostrato come a ben vedere chi è “solo”, chi non è “accoppiato”, vive nel mondo, mentre chi è parte di una coppia vive spesso nella solitudine arrivando a ignorare i principali meccanismi del mondo, del corpo, del cuore e della mente. 

Mentre parlavamo d’altro, di come questa società è ingabbiata in tanti riti vuoti, qualcuno ha detto una cosa spiazzante: “Io odio i riti solo perché ce ne sono troppo pochi”, e ne ha proposto uno per aiutare i fratelli e le sorelle che vivono nell’istituzione secolare della coppia – tanto spesso confusa per un fatto naturale già deciso fin dalla creazione in tutte le sue sfaccettature – ad aprire le porte della mente. Molti vivono nella convinzione di non poter più inseguire un desiderio sensuale senza andare incontro a conseguenze disastrose. 

Una famiglia si rompe quando un padre porta all’altare la figlia. Consegna la figlia a un altro uomo, sotto gli occhi di tutti, perché lo sguardo collettivo – arma potentissima, attacco psichico concertato – possa indurlo a un comportamento “virtuoso” che permetta alla comunità di rinnovarsi creando un’altra famiglia. Ma come sappiamo, quel rito che aiuta a incanalare l’energia della gelosia paterna in un atto performativo invece che in un’opposizione al cambiamento, non disfa davvero la famiglia di cui fanno parte madre e figlia. E così ora abbiamo due famiglie.

Ispirato dalla furbizia di questa tradizione, qualcuno tra noi, non vi dirò se sorella o fratello, ci ha proposto di usare lo schema di questo rito anche per le coppie, e abbiamo tentato in questo modo. Chiamerò A B e C i coinvolti. A e B vivono insieme come “coppia” in un appartamento per loro due soli; C ha un rapporto esclusivo con una quarta persona, al momento in viaggio per lavoro.

Nel corso della chiacchierata era emerso che A e C avevano dei modi molto “carini” di trattarsi e A ha detto che a suo parere ciò che il cosiddetto flirt ha di “bello” è il suo non essere dichiarato. Ciò ha scatenato un’insurrezione, e mi metto anch’io tra i nemici dell’idea – purtroppo diffusissima – che la bellezza di civettare stia nella foschia che avvolge le intenzioni. C’è chi la pensa come me: qualcuno per esempio ha confessato che il flirt va tenuto nel vago soprattutto per evitare che l’altra persona si inserisca automaticamente in un meccanismo, una tagliola sessuale che prevede solamente la pratica che porta dal sorriso al coito alla damnatio memoriae. Insomma il flirt non verrebbe esplicitato solo per risparmiarsi grane.

Dichiarare un flirt è come una magia. È come prendere soldi del Monopoli, metterli in tasca, dire una formula magica e tirare fuori dalla tasca banconote vere. Ciò di cui abbiamo bisogno è essere visti; e la parola, proprio in virtù della sua forte, drammatica capacità normativa, può essere usata come ceralacca per certe situazioni dal valore sempre incerto ma così importanti per tutti noi. 

Mi dilungo. Insomma, la discussione ci ha portati a dire che sarebbe stato bello se A e C si fossero detti esplicitamente “Flirto con te perché ti voglio”. E sarebbe bastato in linea teorica sapere che i due possono farlo. Ma B si era rabbuiato e io ho detto: a questo punto la palla passa a B, sentiamo il suo punto di vista. E lì il ragionamento dei riti ha preso quota, così come i nostri risolini, che hanno raggiunto acuti infrasonici, come è tipico di quando condividiamo la lussuria a parole e cominciamo tutti a domandarci interiormente con chi dei presenti andremmo a chiuderci in un bagno o sgabuzzino. B ha detto che non voleva essere il guastafeste, anzi si sentiva obbligato, in quanto “padre della sposa”, a consegnare A a C ritualmente. A fare cioè buon viso a cattivo gioco, perché la comunità si espanda creando nuove interazioni. “Ma il mio ruolo sarebbe solo rituale, perché la decisione di A”. Infatti a ben vedere è A che concedere a B il privilegio solo rituale di partecipare alla decisione, di infondervi anche il suo particolare desiderio (desiderio di cosa?, forse di pienezza, di gusto della vita). Come possiamo fare?, ci siamo domandati tutti insieme in questo gioco al tempo stesso piccante e filosofico. 

Eravamo seduti senza mascherine intorno alla tavola. Ci siamo alzati e spostati in modo che A B e C facessero un terzetto con B in mezzo. Vi prego di capire che qui non stiamo mettendo in scena acrobazie dei corpi, ma acrobazie del cuore. Dello sguardo. Qui non esistono né la “depravazione” a uso e consumo dei guardoni, né una girandola di “amanti”, concetto quest’ultimo che come vi dico sempre è da rifiutare, essendo quello tra amanti un rapporto ancora più possessivo di quello tra partner. 

Seguite con semplicità di cuore questo racconto e provate a rifarlo sui vostri balconi, nei vostri parchi. 

Abbiamo messo B in mezzo perché A non gli voltasse le spalle al momento di ammettere il nuovo flirt. A e C si sono messi a parlare con galanteria di argomenti qualunque. Galanteria e ironia: “Apprezzo che ancora ti lavi anche se lavori da casa”. 

“Anche tu hai un buon odore, ci ho fatto caso prima abbracciandoti”, ha detto A a C. B allora ha preso la mano di A e l’ha portata verso C. C ha stretto ha accolto la mano di A nella sua, e i due hanno iniziato a giocare con le dita sopra il grembo di B e si sono guardati negli occhi: che momento per tutti noi! Vedere una “coppia” che scioglie quel muro. Il muro che era in cemento ora è di cioccolata.

B ha detto: Prendi questa mano. A ha detto: mi piace flirtare con te, sei davvero *******.

Ho chiesto a B cosa provava e lui ha ribadito che non sapeva se si stesse comportando bene solo perché sentiva l’energia del gruppo. Quell’energia era insieme normativa e rinvigorente. Gli ricordava dell’apertura mentale sperimentata con certe droghe. C’era però anche il fatto di avere la possibilità di partecipare e così godere del desiderio di A. A si è detto eccitato come poche volte in vita sua e che quel momento di nexus in cui sentiva tra le gambe una spinta verso entrambe le persone e non gli dispiaceva che si notasse (pur non essendo né “fatto” né sulla pista da ballo) era una grande liberazione durante questi mesi durissimi. C ha detto che era onorato di far parte di questo momento e che era stupito di non sentire di voler dimostrare di essere migliore di B. 

B ha detto di volersi alzare per andare in camera da letto a masturbarsi pensando a questa storia sapendo che tutti noi avremmo saputo cosa stava facendo. Si è alzata ed è andata. 


Camillo II è l’alias di un notaio romano di ambito successorio e immobiliare, testimone di alcune delle più complesse operazioni di riqualificazione urbana della capitale. Delegato il lavoro notarile ai suoi assistenti, si dedica da diversi anni alle attività della sua comunità spirituale.