Iperdenti. Episodio 10. Era solo un sogno.

Romanzo suddiviso in tre parti: AltroveHuper Vision e Iperdenti.

Genere: Fantascienza di Borgata

Il romanzo, ambientato a Roma Est, all’interno di un centro di scommesse sportive in prossimità di borgate periferiche, e scritto in prevalente accento romanesco, nel titolo allude a un gioco virtuale, nel quale vengono risucchiati i personaggi. Tean, Aida, Juri e Tim non sanno tuttavia di essere intrappolati all’interno di quel gioco, in cui accadono eventi incomprensibili. Nel gioco si sviluppa infatti la misura stessa della tridimensionalità, che gli è connaturata, per abbracciare altre dimensioni: mondi filiformi, in grado di generare altre realtà, tutte distorte. Così, nei pensieri e nelle azioni i personaggi saltano da uno stato all’altro, senza rispetto delle regole temporali. L’incomprensibilità delle azioni è frutto della logica del gioco, che invade la loro coscienza; e proietta il presente, che i personaggi vivono o credono di vivere, verso una deriva onirica e ferocemente surreale. Si tratta di un romanzo ciclico che nella sua struttura riproduce le gabbie virtuali che sono parte della condizione odierna.

Immagini da: (H)earth di Sante Simone, collage digitale, 2020 

H5 – Era solo un sogno

– Senti Tim, io vorrei essere lucida, ma essere al contrario, mi libera dalla razionalizzazione delle cose. Un attimo fa ero così sicura di quello che volevo… e ora invece mi sento dispersa in nuvole viola. La trappola si restringe sempre di più. Costantemente succede qualcosa che rende tutto inusuale. Tu continui a credere che il senso dell’amore sia l’alimentazione quotidiana del rispetto, ma io penso non sia possibile. Una via di uscita potrebbe essere il rischio che si corre abbandonarsi al tempo. In questi momenti, mi sento una piccola ragazza blu che si arrampica su alberi spogli, in cerca di un ramo solido dove dormire. E invece il sonno mi sembra una grande bugia.

– Tean, ti prego! Non cominciare a delirare come al solito. Era solo un sogno!

– Io parto! Non ce la faccio più!

– Ti prego, non andare. Resta con l’immagine viva di te.

– Quell’immagine ora si è stancata della sua forma. Deve evadere! La vedo già che cammina da dietro, davanti, di lato, dentro i bar, vedo la sua labilità. Tim, perdonami se puoi godere solo la parte schizofrenica del mio essere nullo. Tu ascolti le mie noie, incantandoti ogni tanto verso un punto vuoto (un tizio scatarra sputando dalla finestra), riesci ad assemblare i miei umori neri per restituire una gioia che sa di estate. Perdona la mia assenza quando parli, le parole prendono direzioni opposte, fuggono verso orizzonti estranianti. Nemmeno il gatto riesce a tirarmi su, si striscia sulle gambe, miagola in continuazione in cerca di quell’immagine viva. Rischio di cancellarmi.

– Tu credi che io stia meglio? Il vuoto del pause mi fa sentire perso, cosa credi?! Quando quel vuoto si traduce nella realtà mi sento un perdente.

– Allora perché continui a giocare?

– Gioco per perdere.

– Però chi perde può vincere.

Juri pigia play.

Una forza sovrumana dice “Cadi!”. Dopo giusto due secondi mi trovo con la guancia spiaccicata all’asfalto, le mani allargate e la bici rovesciata. Con l’adrenalina nel corpo, senza pensieri in testa, vago. Aida con le cuffie bianche mi dice che c’è una fontanella vicino, bisogna mettere l’acqua fredda sulle ferite. Non capisco bene cosa vuole dire e rimango dove sono, per terra. Lei mi aiuta ad alzarmi e prende la mia bici guidandomi verso la fontanella. La seguo in silenzio. L’acqua rinfresca la ferita sul ginocchio, infastidisce la piaga al fianco, disseta la guancia. Mi bagno le Converse. Fa caldo. Aida mi assicura che starò meglio, controlla se il manubrio è dritto e riprendiamo a camminare. Vuole farmi compagnia per un pezzo. Ricomincio a pensare, poi a parlare molto sino a renderla confusa. Lei mi interrompe proponendomi di salire insieme in bici con lei alla guida. Come una nave in preda alle onde lascio scorrere il cielo sopra. Lei mi guida.

– Juri, sei stanco?

– No, non sono stanco, ho lavorato solo tre ore per tre giorni e ho preso cento euro all’ora. Si guadagna tanto là. Vedi vedi la nuova corazza?

– Juri, non mescolare il caffè così. Devi togliere la carta dalla paletta!

– Ah, ma non hai capito che lo giro così perché la carta assorbe quasi tutto lo zucchero, così è  amaro.

– Allora non mettere lo zucchero.

– Mi piace così. Piuttosto, il mio dente a quanto è quotato?

– Dipende dai quotisti.

– Non puoi informarti?

– Non è il mio campo.

– Ti rifiuti di aiutarmi, allora?

– No, semplicemente non è il mio campo di azione.

– Mmm. Comunque, per riprendere il discorso dell’altra volta, voglio confessarti una cosa.

– Cosa?

– Sai, io forse amo te come forse amo lei.

– Ancora con questa storia?

– Ma lei desidera di controllare incisivamente in diretta reale la mia vita, e tu Aida, sogni di cadere da un aereo e scoprire di volare.

– Non è il caso di essere così drammatici. Vieni con me, ti porto in un posto, senza passare da quella parte. È meglio evitare. Non avere paura dai mostri che vedrai per le strade. Sono solo dei perdenti, non riescono mai a trovare la via di casa, si fanno trascinare da cose invisibili, trasportati dalle onde del vento.

– Hai sentito quello che ho detto prima?

– Sì, ho sentito, ma non ti sei accorto che le tue unghie sembrano diventare più lunghe? Andiamo a casa mia, così li tagli.

– Va bene.

La casa è un casino. L’unico spazio libero dove sedersi è il divano. Intorno solo libri, riviste, manifesti, picchetti, volantini e carte di diversa forma e contenuto. Ma Juri non si stupisce. Si avvicina dolcemente a lei, la prende per il braccio e la tira forte a sé. La bacia lentamente. Lei non si ritira, anzi gli dice delle cose nell’orecchio. Al commando, lui la gira, le toglie la gonna di raso e infila il membro dentro di lei. La sculaccia con crudezza, spingendola contro il muro con forza, le tira i capelli, poi le infila in bocca l’indice, lo fa girare dentro il palato. Lei si fa fare tutto con piacere, gli tocca le palle e le fa girare tra le dita. Lui si eccita di più e la rigira frontalmente, la prende in braccio e la fa sdraiare sul divano. Arresta le sue braccia con una mano e con l’altra la masturba, da buco a buco la possiede. D’un tratto, di scatto lei si alza e va in bagno. Torna con una frusta e delle manette. Lui sorride maliziosamente, a comando si abbassa come un cagnolino e attende. Lei lo studia, gli gira intorno per colpirlo improvvisametne sulle chiappe, emettendo un urlo straziante. Ancora lo colpisce sulla schiena, poi sulle gambe e poi sulle braccia. Lui cerca di alzarsi per afferrarla, ma lei velocemente lo ammanetta sul gambo della scrivania di metallo.

– Stai tranquillo, non ti faccio male! Prima hai detto che forse mi ami o sbaglio?

– Non proprio così. Possiamo parlare in pace? Slegami!

– Non lo farò finché non mi dici la verità.

– È impossibile procurarti una verità in questo delirio che viviamo.

– Non mi importa. È così che va. Invece di perdere tempo, mi vuoi dire quando ti libererai di lei?

– È complicato.

– Ah sì, eh?

Aida lo frusta di nuovo sulla schiena nuda.

– Basta, ti prego! Ti sei impazzita, porca miseria? Mi vuoi uccidere? L’altra non esiste più.


Jonida Prifti, poeta/performer e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva) etc. Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt”. Insieme organizzano, dal 2010, il festival annuale romano di poesia sonora “Poesia Carnosa”.  www.jonidaprifti.com