Suboxone.

In questi tre mesi di pandemia abbiamo sentito tantissime volte l’espressione “l’elefante nella stanza”, che di volta in volta una criticità insita nel discorso rappresenterebbe. Poche volte ci si è soffermati su quale fosse questa stanza. Tante volte una stanza non c’è mai stata. Ci siamo domandati dove sarebbero finiti gli ultimi alla fine della pandemia; grande risalto è stato dato alle reti assistenziali locali, invero una delle filiere che più ha stressato il labile confine tra pubblico e statale, ma tutto ciò non ha potuto contribuire a dare risalto alla posizione di chi, ultimo, lo è per assegnazione. Il tossicodipendente. O meglio, ad oggi, il dipendente, giacché le strutture ASL preposte al trattamento delle patologie auto-lucrative, hanno accuratamente esteso solo nominalmente il raggio delle dipendenze. Da qui, non più tossici, ma dipendenti. Può sembrare un banale fattore nominale, ma di fatto questo slittamento indica una tendenza più che linguistica insita nelle modalità di trattamento: il dipendente è tale poiché dipende; compito di uno struttura è accompagnarlo verso la funzionalità sociale. Come dire, lo scopo del dipendente non è guarire (e d’altronde lo statuto medico di queste patologie non viene mai definito unilateralmente: non solo psicologico, non solo sociale, non solo clinico), ma riuscire ad essere socialmente funzionale rispetto a strutture sempre più aleatorie, dal punto di vista della definizione, quali società, lavoro, famiglia. Il Suboxone, allora, in questo quadro, diventa il manifesto più evidente, l’epifenomeno più limpido, di questo empasse: il sostitutivo. Nominalmente, il più celebre e meno recente Metadone, cade anch’esso tra i sostitutivi, ed eziologia e somministrazione sono in qualche misura analoghe. Ciò che però quelle questioni che sembravano solamente pignolerie qualitative ci dicono meglio è: il dipendente agisce e patisce in un ambito liminale tra medicina e diritto, il cui recupero passa dall’ambito psicologico e sociale. Ebbene, la Buprenorfina, che ricordo spesso essere utilizzata in sinergia con il metadone e non esclusivamente, ha un rapporto profondo con le psicopatologie, il cui primo riscontro banalmente è l’euforia liberatoria che si ottiene all’effettuarsi del dosaggio. Inoltre l’elemento più critico è rappresentato dalla sua alta capacità tossica che ne garantisce lo slittamento da sostitutivo terapeutico a sostitutivo ludico, vista l’altissima capacità drogante, per dirla con un termine in voga recentemente, della sostanza. 0.4mg di Suboxone, indipendentemente dall’eventuale periodo di astinenza che lo precede, ha tutte le carte in regola per essere il fabbisogno ricreativo di una serata. E lo dico: il vero elefante nella stanza di questo discorso, erano le Big Pharma e sono appagato dal fatto di aver espresso questi concetti senza ricorrerne all’uso. Ma questo significa solamente che questo trattamento è preliminare rispetto a quella questione che, nondimeno, merita un discorso a sé stante e ben più largo dei nostri confini nazionali.

Voglio concludere invitando tutte le persone che si trovano in circostanze di vita analoghe a quelle descritte in questo articolo, e non solo, ad inviarmi una mail su aaronrumore@gmail.com. Risponderò a tutti elencando un nutrito numero di papers, test, blind o double blind reviews sull’argomento. Vista la natura divulgativa di queste mie parole non mi sembrava il caso di slittarne il contenuto sul piano tecnico-scientifico, ma larga parte di questi studi sono disponibili e reperibili, nonché di facile ed immediata lettura. La gestione e manipolazione del problema, passa sempre per la sua comprensione, e la comprensione stessa è un fatto misurabile.


Aaron Rumore, cantante ed autore, dropout della facoltà di Filosofia della Federico II, nonché intestatario di molteplici dischi, etichette e progetti, tutti abortiti. Ricco, ma povero.