Il carrozzone dei discepoli di Arbasino.

Monstre sacré! Alcuni Classici del Novecento che non possono metter d’accordo lettori diversissimi, scatenano o narrazioni biografiche insulse o senso del dovere apologetico senza grazia. Sembra il destino di chi costruisce oggetti assai complessi che fanno paura agli incolti? Arbasino, tra le altre cose anche il più polimorfo, negli esiti formali, tra i nostri scrittori e pensatori italiani, si omaggia in tante vesti e salse, specialmente in quella mitico-istituzionale per signore, che rende lieve e innocua anche la componente ‘critica’ più seria e feroce di un autore. Così, uno alla volta ci stanno cadendo tutti nelle trappole comunicative di cui parlava A.A., cioè le buche linguistiche degli zombie fatte di tutte quelle banalità indispensabili per celebrare i riti del ricordo e dell’omaggio, ridotti a pretesto per mostrare il proprio sedere. L’invocata “gita a Chiasso” per loro non avrà funzionato o è stata direttamente aggirata? Non si sa più dove mettere le rievocazioni pettegole e i repechages meccanici di tutte le più insulse e minuscole storielle, circa “cosa aveva detto” e come, in quel giorno e a quell’ora, in quella piazza, bistrot o soggiorno (“sarà stato al Rosati o al Canova, e mangiando quale pietanza esattamente?”), a proposito di tutte le ‘stronzate’ meno interessanti, per colpire simultaneamente i fruitori e gli utenti, dal livello volgare alla sfera del Sublime. Quindi, grande interesse e attenzione  per i bibelots, per le magnifiche rose, per il conversatore, per il “caso originale”, caccia alle elegantissime vestaglie nell’armadio, curiosità per il collezionista di calzini o foulards comprati da Charvet a Place Vendôme, ai salotti e saloncini e a quello che aveva visto, con i suoi occhi (“testimone del suo tempo”), circa l’Italia più remota con i suoi ‘protagonisti’ mitologici tra Piazza Navona, via Veneto e Condotti. Entusiasmi e precisazioni rarefatte o assenti, però, circa il teorico e costruttore di congegni formali anche molto complessi e inaccessibili. Al caro maestro estinto è bastato morire per scoprire improvvisamente che tutti lo amavano e leggevano, che lo conoscevano benissimo? Non ci risparmiano neppure le garbate litote da lui odiatissime (“purtroppo, ieri è mancato…”).

In morte del maestro, venerato, amato, letto e riletto, le riviste culturali chic e pop e snob e tutteaposto, con firme molto romanesche con accento romanesco, si mettono in fila per fare la minestrina, “ricordare e ritrarre”, e persino le più sgallettate, scemine e sore Lelle e Cecie, che di solito vivevano di selfie con primi piani sulle zinne per follower disgraziati, ora sparano il post commosso su Facebook con citazione di Arbasino; si tira fuori di tutto, tra un reggiseno e un’analisi lucida, col critico che si autocita un paragrafo sì e un paragrafo no, un balletto di esegeti ed ermenuti per un cencio di notorietà da ricavare grazie ai memorabilia accumulati, nella speranza di farsi belli e farsi ricordare insieme a lui, quindi via libera a tutti gli spazi celebrativi ed elogiativi secondo i più stracchi e smunti e noti appiattimenti dei cliché del giornalismo culturale italiano esaltato, ‘pungente’, umanistico e che fa tutte le cosine a modo. Ma sarà più pregevole o ammirevole un necrologio a caldo stile “requiescat in pace” oppure direttamente la foto dell’autografo sul libro o sul braccio, arraffato in un firmacopie qualsiasi ma spacciato per il frutto di un vis-à-vis col Venerato, magari nel suo appartamento? Non male anche immagini che documentino la presenza delle opere complete nella libreria, magari sarà meglio posizionarle accanto a un camino acceso vicino al Fernet. Oppure accanto a un calice gigante di cabernet?  E molti passaggi a giustificare e sottolineare che sì, “oltre alla gambe c’era e c’è di più, che credete?!”, a parte il brillante e conversativo Arbasino c’è l’uomo di lettere consistente, di “infinite e robuste letture”, una persona proprio seria mica un viveur qualsiasi. Più triste del funerale c’è il carrozzone post-mortem, con l’ansia di salire sul carretto degli strascichi e briciole eventualmente depositate dal maestro a riprova di esser stati nelle sue altere grazie. La notizia da dare agli amici di feisbuc rigorosamente attraverso l’uso di litote garbate come “è mancato” invece di morto (si sa che per esorcizzare “il concreto” i ‘correct’ usano la litote). Commenti e sfruttamenti immediati da parte di zombie della critica. Ciò che pesa davvero è  il turbamento stracciaculo di tutti questi ‘io’ che non ne voglion sapere di stare zitti un momento e non ci risparmiano il ‘biri’ e neppure il ‘gnao’ per esibire un dispiacere umorale, epocale e totale.

Altro che andate, diffondete e moltiplicate! Chi diceva che il suo era “un piccolo ristorante con pochi tavoli per pochi clienti”, non gradirebbe megofonare le cose che diceva e scriveva, ma preferirebbe tenere le serrande abbassate e tutto chiuso in cassaforte. E gli si farà un torto o un piacere, se invece di attenersi allo stretto necessario o all’ampio abbondare, purché entrambi concentrati ‘sull’opera’, la si farà fuori dal pitale, cogliendo l’occasione del lutto come chance di ulteriore visibilità, tramite concessione all’ombelicale e all’aneddoto personale, più spinto e narcisetto del “eravamo grandi amici”, lungo le nostre indelebili corrispondenze, di cui esibisco prova allegando accuratissimo reportage fotografico? I suoi indimenticati articoli, i memorabili interventi, le imperiture osservazioni, le acute preveggenze, gli incancellabili elzeviri e corsivi… Che ci piaccia o no, dai social impazza il rip di piazza… Gulp.

“La cifra espressiva che lo caratterizzava”…

“Ciao Albertone!”

“Giganteggiare con leggerezza”

“Un mio ricordo del… :grande, mitico, libero, eccelso, mai banale, sovversivo, trasgressivo, corrosivo, leggendario, imprescrutabile, inarrivabile, superbo, sublime, sofisticato, elegante, dissacrante, spumeggiante, sferzante, brillante, impietoso, graffiante, lapidario, raffinato, irriverente anticonformista…”

“Ciao Arba!”

“Io non l’ho mai conosciuto, e neppure letto. E papatì, e patatà.”

“Il compianto zio Alberto”

“Uomo di immensa cultura, scrittore brillante e mai banale, le sue opere parleranno di lui e per lui nell’eternità”

“Nonno Arby”

“Già ci manchi”, “Ci mancherai”, “Quanto ci mancherai”

“Arby et Orbi”

“Arbi vive!”

“Una mente brillante che per nostra fortuna ci lascia il prezioso dono delle sue opere!!!”

“Fratello Alby”

“Compare Arby”

“Non è morto! Adelphi lo sta facendo rivivere, e rimarrà con noi ancora a lungo!”

“Grande intellettuale non capito”

“Tristissima notizia!”

“Un grande!”

“Uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento, oltre che giornalista, critico teatrale e poeta”

Altro che rap,

qui impazza il R.I.P.,

anche abbastanza cheap,

tra uno strip e un grip,

avanza il trip del riposa in pace:

che la terra ti sia sempre più lieve

fino a Pontassieve,

purchè lievitata

con lievito madre?


Rubina Mendola è nata a Palermo, è rinata in Veneto e vive a Lucca.Ha debuttato molti anni fa come critico culturale su La Repubblica (Palermo) e da allora ha continuato ininterrottamente. Ha pubblicato saggi per alcuni editori e prodotto tanta Kulturkritik per tanti quotidiani italiani e riviste, on e off-line.