Il mondo di Reiteq Tejzt

The reality we perceive is over-simplified, hackneyed, degenerated into a phrase. Addicted to the safety of patterns and artificial, tautological knowledge we stopped striving for aspiration, for transcendence – and buried it six feet under.

Our organism is decidedly more geared towards protecting itself from encountered stimuli from the “outer world” than towards their reception. “I” want to get to know those elements of reality which our bodily system, and seemingly most other systems, too, try to deter us from.
Trapped in recursion we forget the world outside of the feedback-loop.

What robs us of our very own awareness of the world? What integrates us like a cyclonic suction into foreign compulsive identities, foreign systems, which we falsely identify as “self”, which work to our disadvantage? This is what we have to find out, what we have to find a name for like the Rumpelstielzchen, which only disappears when it is called by its name.

Being trapped into one externally directed system, which loooves to pretend its the only logically correct one, the end of history – I yearn to trap entities into paintings whose perception transcends mine thousandfold, who can watch beneath the borders of every habitual-immanency. Beneath every so called objectivity, which is nothing but universalization of the repeatable/usual.

Touch their skin! Let their infectious gaze free you from the hyper(over)realities woven from images, which are based on nothing more than mirages that refer to nothing but to themselves again and again and again in some sort of tautological möbius-strip.
Let them help you travel to the place of premises, to the place of neutralization and return to the beginnings – to the place of limit experience where new uncharted territories are possible.

Let’s use everything we can, the positive potential of dissociation, madness and innocence. Let us be the sailor between worlds, the sailor on the sea of madness, on a sea of fog, that rows with delight in the same waters in which the psychotic drowns like a stone.
Turn the “I” inside out, travel to the well of attention, to the invisible plaid of intention above the top of your spine.
Let go of all resistances and meet god in noise.

The presences in my work know, and see, something that remains hidden to us. They have access to spheres that remain closed to our cognition.
Enter into a trialogue with them, and this hidden something, through their eyes.

Encounter the third side of the sword, become master of the noumena – let them grow teeth.

Stretch depth to width, so that nothing remains isolated in gorges or on extreme peaks. Let everything be on the same plane, purely singular. Let us end the solitary confinement of significants.

let’s ride the turin horse, at least for a while
let us embrace the turin horse, at least briefly
the turin horse is our cure from hyperreality

For the cathartic self-return in limit experience. Because no matter how you see the world, it will agree with you.

“We cannot live in a world that is not our own, in a world that is interpreted for us by others. An interpreted world is not a home. Part of the terror is to take back our own listening, to use our own voice, to see our own light.”
– Elaine Bellezza on Hildegard von Bingen


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La realtà che percepiamo è eccessivamente semplificata, banale, degenerata. Assuefatti alla sicurezza di schemi e conoscenze artificiali e tautologiche, abbiamo smesso di aspirare alla trascendenza e l’abbiamo seppellita sottoterra.

Il nostro organismo è decisamente più orientato a proteggersi dagli stimoli provenienti dal “mondo esterno” che a riceverli. “Io” voglio conoscere quegli elementi della realtà da cui il nostro sistema corporeo, e apparentemente anche la maggior parte degli altri sistemi, cercano di dissuaderci.
Intrappolati nella ricorsione, dimentichiamo il mondo al di fuori del ciclo di feedback.

Cosa ci priva della nostra stessa consapevolezza del mondo? Che cosa ci integra come un risucchio ciclonico in identità compulsive estranee, in sistemi estranei che identifichiamo falsamente come “sé” e che lavorano a nostro svantaggio? È questo che dobbiamo scoprire, che dobbiamo trovare un nome per il Rumpelstielzchen, che scompare solo quando viene chiamato per nome.

Essendo intrappolato in un sistema diretto dall’esterno, che ama fingere di essere l’unico logicamente corretto, la fine della storia, desidero intrappolare entità in quadri la cui percezione trascende mille volte la mia, che possono guardare al di sotto dei confini di ogni abituale immanenza. Al di sotto di ogni cosiddetta oggettività, che non è altro che l’universalizzazione del ripetibile/usuale.

Toccate la loro pelle! Lasciate che il loro sguardo contagioso vi liberi dalle iper(sovra)realtà tessute dalle immagini, che non sono altro che miraggi che non si riferiscono ad altro che a se stessi ancora e ancora e ancora in una sorta di striscia di möbius tautologica.
Lasciate che vi aiutino a viaggiare verso il luogo delle premesse, verso il luogo della neutralizzazione e del ritorno agli inizi – verso il luogo dell’esperienza limite dove sono possibili nuovi territori inesplorati.

Usiamo tutto ciò che possiamo, il potenziale positivo della dissociazione, della follia e dell’innocenza. Siamo il marinaio tra i mondi, il marinaio sul mare della follia, su un mare di nebbia, che naviga con piacere nelle stesse acque in cui lo psicotico annega come un sasso.
Capovolgete l’io, viaggiate verso il pozzo dell’attenzione, verso il plaid invisibile dell’intenzione sopra la cima della vostra spina dorsale.
Lasciate andare tutte le resistenze e incontrate Dio nel rumore.

Le presenze nel mio lavoro sanno e vedono qualcosa che a noi rimane nascosto. Hanno accesso a sfere che rimangono chiuse alla nostra cognizione.
Entrate in un dialogo a tre con loro, e con questo qualcosa di nascosto, attraverso i loro occhi.

Incontrare il terzo lato della spada, diventare padroni dei noumeni – lasciare che crescano i denti.

Allungare la profondità alla larghezza, in modo che nulla rimanga isolato nelle gole o sulle vette estreme. Che tutto sia sullo stesso piano, puramente singolare. Poniamo fine alla reclusione solitaria dei significanti.

cavalchiamo il cavallo di Torino, almeno per un po’.
abbracciamo il cavallo di torino, almeno per un po’.
il cavallo di torino è la nostra cura dall’iperrealtà

Per l’auto-ritorno catartico nell’esperienza del limite. Perché non importa come vedi il mondo, esso sarà d’accordo con te.

“Non possiamo vivere in un mondo che non è il nostro, in un mondo che è interpretato per noi da altri. Un mondo interpretato non è una casa. Parte del terrore è riprendere il nostro ascolto, usare la nostra voce, vedere la nostra luce”.
– Elaine Bellezza on Hildegard von Bingen


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