Qualcosa si ruppe e il Pigneto non fu più come lo conobbe Lorenzo. Non aveva abboccato agli esegeti di Pasolini e quindi non lo aveva mai visto come una quinta colonna del Paradiso relegata nell’Inferno. Era semplicemente un quartiere di coatti e di operai che stava SanLorenzizzandosi. Venivano ad abitarci rampolli di famiglie ricche, aprivano bar e ristoranti fighetti e gli antichi abitanti, cioè quei fuori sede che stavano lì da due o tre anni, neppure romani, si arrogavano il diritto di non cedere territorio, come se quella parte di Roma, la gran puttana, fosse roba da custodire gelosamente come le loro mogli o fidanzate. Usavano la parola Gentrificazione, una delle tante cazzate inventate da chi voleva fare commercio protetto, vendendo birette e tapas all’ombra di una bandiera rossa e approfittando di un’ideologia che non apparteneva loro, ma che sapevano sfruttare a suon di parole d’ordine e slogan. Il Forte Fanfulla aveva chiuso e fu come se un’ampolla di diossina si fosse rotta e i suoi effluvi venefici si fossero sparsi nell’aria. Zizzanie e piccole vendette si rincorsero confondendosi tra rancori di appartenenza politica o regionale, tra sospetti di soldi trafugati dalla cassa o bottiglie di vino che sparivano per cenette romantiche. La malafede di provincia si era impadronita di quel quartiere. Era meglio fare come al paesello: fatti i cazzi tuoi che campi cent’anni. Quella mentalità si propagò e si perse lo spirito di appartenenza che aveva accomunato le tante anime del Forte Fanfulla. Si era creato uno spartiacque temporale. Da una parte l’epoca felice della condivisione e le vaghe idee di socialismo libertario, da quest’altra la cattiveria opportunista e le varie chiusure mentali dettate dal concetto di gentrificazione. A poco a poco tutto si miscelò, i gentrificatori avevano la manica larga e pagavano senza troppe storie le loro sbornie serali, le cenette bio ed erano diventati i finanziatori più convinti di tutto il mercato “alternativo”. Fu così che il Pigneto diventò il quartierino chic che andò di moda fino agli anni 30. In quel bailamme, Lorenzo prese la via più facile, quella del paesano: si fece i cazzi suoi. La malafede ebbe il sopravvento e schifato da sé stesso si ritirò in Claudia. Si sposarono in maggio e c’erano quattro gatti.
Parte seconda
CAPITOLO I
Rapporto n° 386
Roma 13/09/2037, h 07.30
Operatore: Epicuro Tre
Software utilizzati: Wavetranslator 4.0
Eccola qui la tua felicità naturale, senza aiuti. Sotto di te gli alberi scendono teneramente verso Piazza del Popolo insieme alle costruzioni che formano una sorta di grande scala verso il basso. Vedi l’obelisco al centro della piazza, greve, immobile, vedi Roma. È una bella giornata.
Sei libero e i desideri che ti animavano non hanno più alcun senso. Sono andati. Franati sotto il peso della loro realizzazione. Sei ancora giovane e potresti volere molte cose, potresti tentare nuovamente di cercare un nuovo anelito alla felicità. Ma dovresti ricominciare. Sei qui, al Pincio, hai soldi e pretese ormai ottenute eppure solo adesso ti rendi conto che Claudia era un salvagente, forse l’unico mezzo per proteggerti dalle tue paure e dal tuo disgusto per la vita. Ma è tutto finito, il passato è passato e Claudia non è più “Claudia”. Sei solo in questa strada di sampietrini fiancheggiata da mortella e alloro. Solo e libero come la morte. Senti che oggi finisce la tua vita. Domani non sarai più a Roma, la tua città, la tua fabbrica di ricordi. Si trasformerà in un luogo come un altro, scivolerà senza appigli nel passato, come tutte le altre città in cui hai suonato. Anche di quelle in cui hai vissuto, poco rimane. Cos’è rimasto dell’anno passato a Malmoe? Sì, il viso di Birgitta, coi suoi occhi sognanti color nocciola e i peli biondi, le distese di neve sulle spiagge sconfinate e tristi, il palazzo di Calatrava, il sapore dell’aneto, il ponte che congiunge la città a Copenhagen, la piazza del mercato, l’estate triste con la vita che muore alle sei del pomeriggio, le ampie vetrate delle case di legno all’interno delle quali giocano bambini biondissimi, i sentieri nel parco deserti, le dieci di sera ed è ancora giorno e tu scoppi di malinconia senza sapere il perché… Che altro? Niente. Il vuoto più assurdo. Come se non ci fossi mai stato, o come se fossero i ricordi di qualcun altro. Ricordi senza sapore, né odore, neanche un filmato, una fotografia…
Cos’è rimasto dell’anno passato a New York? Il Peer 17 e il caffè maxi, sorseggiato guardando il passaggio delle barche, le bistecche di Kristo’s in Astoria, gli occhi bellissimi di Pam, i beagles che ti annusano i bagagli al JFK airport, i bagles al salmone, gli hot dogs con salsa di cetriolo mangiati in strada, la pizza coi maccaroni e polpettine, l’hamburgheria vicino all’aeroporto La Guardia in cui hanno girato una scena di Good Fellas… che altro? Ah sì, i palazzoni a mattoncini affumicati di Brooklin, i busti di Mussolini e i tricolori nei negozietti di Little Italy… “Betcha gotta only wow”, cantata dagli Stylistics…
Non è la tua vita questa qui. Sono i ricordi di un turista e confondi addirittura le architetture… quel palazzo che immagini nel Queens forse è a Madrid…
A Roma toccherà la stessa ingrata sorte, probabilmente. Ti dirai: Ma quando stavo a Roma come passavo il tempo? Niente rimarrà di questo pomeriggio assolato e di questi tuoi pensieri.
La tua vita ormai è solo un passato. Riesci anche a vederla intera e proteiforme, assemblata con gli eventi e accadimenti che ti hanno portato ad oggi. Eri tutto fiero e tronfio quando hai cominciato a mettere su la tua band, quando hai incontrato sulla tua strada Alex, quando hai conosciuto Claudia, quando hai inciso il tuo primo disco da solista. Vittorie cadmee. Alla fin fine si perde sempre, questo hai imparato. Soltanto i cretini, le persone in malafede, forse i politici, credono che si possa vincere. Vittoria è guardare il bicchiere mezzo pieno, tutto qui.
Questa città è cambiata tantissimo. La tecnologia ha invaso le piazze barocche, è entrata nelle chiese, si è inoculata nelle ex baracchette del Pigneto dove i ragazzini ora scivolano sui cuscinetti d’aria, come nei tempi andati si faceva con gli skateboard. L’unica cosa che non è riuscita a fare, la rivoluzione tecnologica, è togliere di mezzo l’umano che c’è in te. O meglio, quel pregiudizio naturalista che hai tanto odiato. Basterebbe farsi fare un impianto e il tuo metabolismo diventerebbe efficiente, la tua memoria si potenzierebbe e potresti riportare a coscienza le cose che hai seppellito e quelle che si sono semplicemente sfaldate in scorie neuronali. Il tuo umore sarebbe sicuramente diverso da questa depressione che tu chiami naturale. Eppure la tua superstizione ti impedisce di essere migliore. Hai paura di diventare qualcos’altro da te. Perciò, questa noia brutale che ti violenta tutto il giorno, questo respirare, questo camminare, questo pensare contro la tua volontà, è rimasto purtroppo senza soluzione. Porterai questa condanna fino alla fine dei tuoi giorni. Tutto ciò che fai è soltanto consuetudine, una serie di atti pavloviani, tic sinaptici reificati. Non sai neppure come sei arrivato quassù, se da piazza del Popolo o da via Sistina ma è certo che fra un po’ sarai nuovamente giù, forse in via del Corso e di questo momento esatto, se tenterai di riportarlo alla memoria, non riemergerà altro che un’accozzaglia di luci confuse. L’unica cosa che non ti ha mai abbandonato è il ricordo della prima volta che hai schiacciato il tasto “#”. Quattordici anni fa esatti, o quasi. Ricordi tutto di quel momento. Ogni respiro e ogni pensiero che ti è passato per la testa. Quattordici anni. Mai una volta hai visto in faccia i tuoi benefattori. Sai che vivono, che esistono da qualche parte, ma tu non li conoscerai mai. Hai sfruttato poco quel maledetto tasto, la tua mania di persecuzione ti ha impedito di farlo diverse volte. Hai sempre pensato a noi come a della gente vestita di nero con gli occhiali scuri, che un giorno o l’altro ti avrebbe chiesto un pagamento per le cose positive che ti sono accadute. Non c’è nessun pagamento però, nessuna cosa positiva, se non la vita stessa, e, soprattutto nessun “noi”. Noi non esistiamo e domani saprai il perché.
Sei sceso finalmente in città. Il sole è stato inghiottito nella notte arancione di Roma e Via del babbuino si è popolata di teste bionde straniere. Qualche imbecille fa uso dell’ antigravitazionalità, rotea nell’aria per ricadere a terra in perfetto equilibrio. Sei rimasto un uomo del secolo scorso di quelli che ancora si sposta coi suoi piedi, senza un esascheletro ad alleviarti la fatica, tanto meno il vimana, che ormai hanno tutti. Sei novecentesco, non sai neppure perché, tu che sei stato uno dei primi entusiasti del Bitcoin, il primo a possedere un vimana. Costavano un sacco di soldi a quei tempi, ma non volevi mancare quell’appuntamento. Spostarsi, volando, su un semplice parallelepipedo di carbonio, – sì, i primi modelli erano in carbonio, prima del teflon idrico- che meraviglia! Da lì a tre anni sarebbe cambiato tutto. Ti fa piacere non vedere più gente che serve ai tavoli dei bar. Questi vassoi che svolazzano dolcemente nell’aria ti parlano di libertà. Non c’è mai stata in tutta la storia dell’umanità tanta gente sorridente per le strade. Nessuno è più condannato a fare lavori che a lui non piacciano e questa libertà ha un nome: tecnologia. Se pensi che soltanto dieci anni fa tutto questo era fantascienza! Chissà se Claudia ne ha approfittato e si è fatta cambiare l’alluce? Probabilmente no, lei non aveva la percezione che ne avevi tu. E non ha mai neppure sospettato quel tuo pensiero meschino. Ora guardi questi ragazzi bellissimi, aggraziati, sorridenti. Nessuno ha la smorfia feroce sul viso e la violenza la conoscono solo attraverso le lezioni di storia. Chissà se la capiscono. È bello questo mondo e non te ne vorresti andare ma la mancanza di desideri è, per te, uomo del novecento, la mancanza di vita. Domani mi presenterò a te.
#3
Fabio Biondalzati nasce su Facebook nel 2005 ma nella vita ha tutt’altro nome e un sacco di anni. Punk in adolescenza e in senilità, è stato nel corso della vita, falegname, cuoco e straccivendolo. Ha scritto e diretto 12 spettacoli teatrali e 3 lungometraggi digitali e abusivi. È un gentiluomo coatto e libertarian.