Mio nonno non è single.

La frittata a colazione è ciò che ci vuole: proteine. La preparo in modo semplice, senza nemmeno quel quid di erba cipollina che cresce profumosa in un tenero vasino e che potrei tagliare lieve alla bisogna. Stamani non ne ho voglia.

L’effluvio delle uova è raggiante e mi sballotta le cervella. Mi vengono in mente le galline Araucana, quelle buffe coi baffi imperialregi, alla moda della Kakania. D’un tratto sento l’urgente necessità di procurarmene almeno una, per disumano diletto, e per le uova verdi che produce. Devo chiedere al nonno.

«Nonno, bisogna mettere su una gallina», gli dico dopo averlo raggiunto e sorpreso durante una battaglia mattutina col senza schema di turno.

(Il nonno è un appassionato di cruciverba senza schema, quelli con la griglia che necessita di essere riempita anche dei quadratini neri. Lui, al posto dei quadratini, preferisce dei sobrissimi puntini che, misti alla calligrafia sorprendentemente tondeggiante e attraente, rendono alla vista un arabesco di qualità eccelsa. In aggiunta, il nonno, a differenza di molti babbei, aborre l’utilizzo del lapis per questo suo passatempo: solo a penna e dopo attente riflessioni zeppa d’inchiostro gli schemi vuoti, diretto, col brivido dell’eventuale errore che lo sferza.)

«C’è da sentire il “comandante”», mi risponde con ironia tagliente, senza alzare la testa e senza nemmeno farmi vedere i suoi begli occhi grigi e placidi.

La nonna è davanti allo specchio, in bagno, a pettinarsi i capelli: la vedo dallo spiraglio di porta lasciato socchiuso. Non li tinge ormai da due anni i capelli, da quando quella volta, mentre eravamo a pranzo, ci sorprese tutti: «Dopo che si festeggia i cinquant’anni di matrimonio non me li tingo più i capelli. Basta».

Detto fatto, non se li è più tinti.

La nonna non è nuova a questo tipo di esclamazioni definitive, di decisioni che non ammettono né repliche né negoziazioni. L’ultima volta – vado a memoria – il sabato appena passato, mentre pranzavamo:

«Senti F., domattina si va nell’orto presto e si mette giù i fagiolini che la Roberta stamani m’ha dato i semi».

E F., il nonno: «No, di domenica non ci si va nell’orto».

Punto.

La nonna e noi tutti siamo rimasti sbigottiti. Una risolutezza nuova, un carattere autoritario nuovo, altro dal nonno, e tutti noi zitti, immobili.

Le dinamiche del Potere, all’interno di una relazione che vanta oltre cinquant’anni di durata, sono troppo complesse perché un umile scrivano possa comprenderle.

Mi ridesto dai recenti ricordi, dalle supposizioni, dai totalitarismi. Sono stato in piedi, fermo, davanti alla porta del bagno per troppo, troppo tempo.

Da dietro, la voce del nonno: «Però sai, un paio di galline ovaiole si potrebbero anche mettere su, davvero. Ora glielo dico io al “comandante”…».

«Macchè nonno, lascia fare» – gli rispondo mentre mi giro per guardarlo – «te l’immagini se gli vai a chiedere di mettere le galline? Poi ci piglia a labbrate a tutti e due». Un cenno col mento, l’arcata dentale in mostra e uno sguardo obliquo, ci capiamo.

Divertito ma allo stesso tempo anche sconsolato e cupo, ritorno verso l’acquaio per rigovernare le stoviglie. Nell’aria è rimasto l’odore delle uova. All’interno del mio corpo sento il vigore delle proteine.

Potrei farmi allungare i baffi, penso.


Niccolò Protti non dimostra l’età che ha. Gli piace scrivere e cucinare. Suo nonno fa l’orto.