«Allora nonna, senti me…»
La nonna dorme rannicchiata sul divano, con le ginocchia a tuffo raggruppato e la testa sorretta da un cuscino ripiegato su sé stesso: è simmetrica, perfetta, medaglia d’oro in barba alle sedicenni cinesi. Il mio arrivo rumoroso però la desta (ha il sonno leggero) e come se avesse appena ricevuto gli sbuffetti d’acqua dell’ingresso perpendicolare in piscina riprende coscienza.
«O che ore sono?», mi chiede.
«Le quattro e mezzo, nonna».
«Oioi, poverammè».
Si alza dal divano, si ravviva i bei capelli corti e esce di casa. La seguo.
Il nonno è fuori in giardino. Dorme appoggiato allo schienale di una sedia da veranda comoda e calda, riccamente imbottita, tappezzata come un tappetto dell’est.
Dietro di lui le ventisette piantine di pomodoro che fanno il miracolo, che da piantine si fanno adulte e responsabili; dirimpetto una famiglia di fagiolini verdi che fa ciao con le mani, manifestazione di buon vicinato. A loro fianco è successo un casino invece: la rucola si è resa protagonista di un’occupazione selvaggia usurpando il territorio dei cipollotti. È finita a spranghe e manganelli, rucola con qualche buchetto (i cipollotti hanno chiamato le lumache, figli di puttana) e i cipollotti hanno dovuto invece abbassare il loro ciuffo sbarazzino. La convivenza non si preannuncia cosa facile.

Di là dalla strada i fiori di zucca sono abbattuti, mogi mogi, con poca voglia di vivere. Abbiamo fatto due parole l’altra mattina, al bar, mentre mangiavamo un cornettino vegano, e mi hanno confessato di essere preoccupati per l’espansione orizzontale e repentina del prezzemolo. Sospettano che dietro ci sia qualche spinta irregolare, una roba illecita che non li fa dormire tranquilli di notte. Non sapevo che rispondergli quindi gli ho offerto un cappuccino di soia e me ne sono andato. Mentre uscivo ha cominciato a piovere e io ho realizzato di non aver messo l’ombrello nello zaino. La sera, mentre prendevo un tachifludec decongestionante per combattere il raffreddore, un amico che non sentivo da tempo mi ha telefonato: «ehi ciao, come stai?».
«Bene dai, raffreddore a parte».
«Senti, non dovrei dirtelo» – si blocca un attimo – «però devi stare attento. Il prezzemolo ti ha visto stamani, al bar, che parlavi coi fiori. Non è contento».
Poi ha attaccato subito, forse preso dal rimorso o forse perché non sapeva come continuare senza rischiare lui stesso le ire del prezzemolo.
Fatto sta che ad oggi qui è tutto sereno, anche il cielo, e il ventolino fa ondeggiare i capelli del nonno che sono finissimi come i pisellini primavera. Sento un lieve biascichio, è il nonno che si sveglia. Si gratta la nuca e apre il bandone degli occhi. Mi vede lì accanto, con la nonna: «si batte la fiacca oggi, eh?».
«Dormivi bene nonno?»
«Sì, si sta bene qui fuori»
Fuori è la sua opera. Il nonno è il primo uomo e l’albero – quell’albero – l’ha piantato lui, l’ha innaffiato lui, l’ha curato lui e poi, non pago, l’ha anche abbattuto.
Sibilo dalla narice destra, come una teiera, o un uccello estivo fioco.
Niccolò Protti non dimostra l’età che ha. Gli piace scrivere e cucinare. Suo nonno fa l’orto.