L’alieno che divenne famoso cinque minuti prima di morire.

O give me the words / Give me the words / That tell me nothing

Un giorno vicino al piccolo paese di Gualtieri atterrò un UFO.

Probabilmente attratto dal fiume Po.

Vista dall’alto quella distesa d’acqua corrente deve essere un punto di riferimento importante per chi viene dallo spazio, un po’ come lo fu la cattedrale di Colonia utilizzata dagli alleati come punto cardinale per i bombardamenti, tanto è grande e ben visibile dal cielo.

Rasero al suolo l’intera Germania lasciandola intatta non perché protetta dalla mano di Dio, ma per il suo essere una rosa dei venti per la distruzione.

Un giorno vicino al piccolo paese di Gualtieri è atterrato un UFO, probabilmente i suoi passeggeri sono scesi di notte lungo le sponde del fiume Po e hanno osservato quella enorme distesa di materia allo stato liquido roteare su se stessa e attaversare una strana materia discutibilmente solida: la sabbia.

Ne rimasero enormemente affascinati, nel loro pianeta esisteva una sola materia, l’amore.

Osservarono quelle che per loro dovevano essere delle strane forme di vita aliene mentre per noi erano indubbiamente delle galline che dormivano sui rami più alti di un pioppo vicino a una struttura in legno e paglia, videro una volpe serpeggiare tra l’erba alta sotto l’albero delle galline, sentirono il verso della civetta attraversare la materia nera di cui era fatta la notte sopra il fiume rimbalzando tra le stelle.

Spaventati da qualcosa, probabilmente qualche pescatore di frodo di anguille, se ne tornarono silenziosi dentro l’astronave e ripartirono velocissimi per il loro pianeta: la Svizzera.

Nel farlo dimenticarono sulla sponda del fiume il più giovane e inesperto di loro.

Era rimasto lì con la sua testa grossa e occhi piccoli di alieno a guardare una falena che si era posata sulla sua tuta spaziale senza accorgersi della fuga messa in atto dai suoi compagni di viaggio.

Sul bordo della sua divisa era riportato il nome con dei glifi a noi sconosciuti e impronunciabili, letti nella nostra lingua avrebbero suonato più o meno così: Antonio Laccabue.

Antonio cercò di tornare al suo pianeta ma senza successo.

Decise di fermarsi sulle rive di quel fiume nella speranza che prima o poi i suoi compagni stellari fossero tornati per recuperarlo.

Gli abitanti di Gualtieri lo notarono e se ne mantennero distanti.

Due nomi gli diedero: “el matt” per via delle sue stranezze e “el tedesc” perché la sua lingua aliena era molto simile nei suoni a quella parlata in Germania.

Ignoravano che venisse dal pianeta Svizzera, ben oltre la nostra galassia.

Cercarono di studiarlo per ben tre volte in quelle strutture segrete dove si studiano gli alieni,  strutture chiuse da Basaglia qualche anno dopo, la prima volta nel 1937, la seconda nel 1940 e la terza nel 1945.

Nel ’37 parlarono di depressione, nel ’40 di disturbo bipolare e nel ’45 di psicosi maniaco depressiva, tutte e tre le volte lo classificarono anche come “misantropo” e “limitato mentalmente”.

era il rivo strozzato che gorgoglia  era l’incartocciarsi della foglia  riarsa, era il cavallo stramazzato

Nel pianeta di Antonio la vera forma di comunicazione era l’arte e non il verbo.

Nella sua capanna lungo il fiume disegnava disegnava e disegnava, modellava anche sculture con l’argilla presa direttamente dagli argini sabbiosi.

Erano i suoi appunti sulle forme di vita di quello strano mondo, tutte preziose informazioni che avrebbe riportato con se in un altra galassia sul pianeta Svizzera.

Più volte gli spiegarono che su questo pianeta bisogna lavorare, ma nel pianeta da dove proveniva nessuno aveva padroni e lui quel concetto non lo capiva proprio.

Ci provò, per un po’ lavorò coi cariolanti che trasportavano la sabbia lungo il Po.

Gentaccia che per scherzo gli mise della merda nella minestra.

Tutti i soldi che guadagnava li metteva via in una bottiglia nascosta sul fondo di una vasca d’acqua.

Una notte di ritorno dal lavoro andò in quel fontanile per contare i suoi risparmi e si accorse che qualcuno li aveva rubati.

Stette immerso in quella vasca piangendo per tanto di quel tempo che fu coperto di sanguisughe e non si capiva più dove finiva l’acqua e dove iniziavano le sue lacrime.

And wouldn’t it be nice to live together / In the kind of world where we belong?

Poi arrivò una parola che lui non sapeva pronunciare: GUERRA.

Arrivò e visto che la lingua del pianeta Svizzera assomigliava tanto a quella dei capi di questa guerra fu chiamato a fare da interprete.

Un giorno ebbe a discutere con uno di questi nuovi padroni e lo colpì con una bottiglia in testa, i padroni altro concetto sconosciuto nel suo pianeta, quel gesto che urlava libertà gli costò altri anni recluso in uno di quei centri studi sugli alieni.

Questa volta però gli concessero di dipingere.

Finì la guerra e tornò libero.

Nel frattempo qualcuno si accorse della bellezza della sua pittura.

Uscirono articoli di giornale che parlavano dell’arte di quel piccolo alieno precipitato lungo il Po dal pianeta Svizzera tanti anni prima, anni passati nei boschi a mangiar topi, allontanandosi da tutto e tutti, ad arrotarsi il naso con le pietre per averlo simile a quello di un acquila, a colpirsi la testa con quelle stesse pietre per farne uscire i cattivi pensieri: gli abitanti del pianeta Svizzera hanno un metabolismo che non riesce a distruggere i cattivi pensieri, questo perchè non sono nemmeno in grado di averne nel loro luogo di origine mentre qui su questo mondo, all’interno della nostra atmosfera, Antonio ne aveva tanti e poteva liberarsene solo aprendo un buco sulla sua testa di alieno per poterli espellere, chissà, probabilmente se si fosse riprodotto qui nel giro di qualche generazione i suoi discendenti si sarebbero adattati sviluppando un orefizio sulle tempie, ce lo insegnò Darwin anche se decise di sposare la cugina.

se fossi tu a tessere il tappeto stellato se questo tormento ogni giorno moltiplicato è per me un tuo esperimento indossa la toga curiale.

Improvvisamente tutti divennero suoi “amici”, tutti si vantarono di essere stati i primi a credere nel suo talento, mentre fino a quel momento l’unico talento che gli riconobbero fu quello di essere matto, e va detto, anche in quello eccelleva.

Uno ci credette sì prima di tutti e fu Mazzacurati, un artista che viveva in paese e che ne comprese l’origine extraterrestre, gli insegnò a dominare la materia grassa del colore a olio tipico di questo pianeta e lui divenne bravissimo nel farlo, a modo suo anche qui, impastando il colore con ciò che capitava, spesso con il piscio.

In breve tempo iniziò a guadagnare grandi quantità di denaro e il tutto avvenne come voleva lui: senza padroni.

Il suo sogno era quello di entrare in piazza a Gualtieri su di un cavallo bianco, così, per umiliare tutti quanti, ma alla fine optò per una motocicletta rossa.

Assomigliava tantissimo al ricordo che aveva dell’astronave che lo abbandonò lì su quel pianeta. Passava giornate a girare in tondo nella piazza del paese a tutta velocità sperando che la forza centrifuga potesse rispedirlo nello spazio profondo tra le stelle fino al pianeta Svizzera.

A differenza di quegli artisti che divennero famosi solo dopo la morte a lui toccò un destino ancor più stronzo: diventare famoso cinque minuti prima di morire.

Un giorno qualcuno sul suo pianeta si accorse della sua assenza e cercarono di riportarlo a casa mediante un raggio per il trasporto spazio/tempo.

Qualcosa andò storto, forse Antonio non voleva andarsene dal Po e cercò di rimanere aggrappato a quel pianeta, riuscirono a trasportarne via solo metà, l’altra metà rimase sulla terra.

I medici non riuscivano a capire questa cosa e la diagnosi fu emiparesi del lato destro del corpo.

Dopo vari tentativi e aggiustamenti del raggio trasportante durati anni riuscirono a riportarlo interamente a casa.

Nel frattempo visse anni in un letto di ospedale, i suoi dipinti si moltiplicarono a dismisura anche se lui non fu più in grado di dipingere.

Dicono che un giorno sussurrò al medico: “è successo perché me lo sono menato troppo, vero dottore?”

La sua partenza verso il pianeta Svizzera fu celebrata al cimitero di Gualtieri, tutto il paese vi partecipò con il sindaco i prima fila.

Ancora oggi vi è un calco bronzeo della faccia dell’alieno a ricordare il punto esatto da cui fece ritorno al suo pianeta.

Proprio accanto al calco è comparso un disegno di Fernando, forse un altro abitante del pianeta Svizzera.


Ciro Fanelli è pittore, illustratore, tatuatore e scrittore. I suoi lavori sono apparsi su “La Lettura – Corriere della Sera”, “Vice”, “Esquire” e altre prestigiose riviste europee e giapponesi. Ha pubblicato Pinocchio e Les corbeaux pleurent la merde per Le Dernier Cri (Marsiglia,FR), per Rizzoli Lizard ha pubblicato Nel bosco del nostro splendore.