La sottile linea bianca.

Verso le ore 12:30 di domenica 21 marzo 2020 un onesto cittadino democratico amante della natura e della montagna, frustrato e insofferente per aver già passato due settimane di auto isolamento sanitario, si accingeva a guardare una delle sue trasmissioni preferite in onda sulla seconda rete nazionale, Linea bianca

Forse quelle vette da 2000 metri, avrebbero saputo dare sollievo al suo spirito in gabbia, malgrado i 21 pollici del suo schermo.

Tutto sembrava procedere per il meglio, in quell’atmosfera serena di natura in differita che può darti  un obbligo di dimora, quando a un certo punto, partiva un servizio, della durata di circa 10 minuti, che si concentrava sulle esercitazioni antiterrorismo dei NOCS a Cortina d’Ampezzo in previsione delle tanto attese olimpiadi della neve fresca del duemilaventordici. Lo  scenario dell’esercitazione prevedeva un sequestro da parte di due terroristi di un rifugio con i suoi impiegati e qualche avventore, la neutralizzazione del primo terrorista tramite cane poliziotto e la neutralizzazione del secondo terrorista, con un incursione dei nostri valorosi poliziotti cani all’ interno del rifugio. Scenograficamente ricordava molto uno spy-movie hollywoodiano di cui non ricordo il titolo, lì però gli stuntman erano più bravi.  La weltanschauung militarista e guerrafondaia del servizio,  mal si conciliava con lo spirito libertario e naturista del nostro onesto cittadino democratico amante della natura, e la sua frustrazione cresceva; anche pensando, chissà perché proprio in quel momento, alla bolletta della luce. Partiva poi in rapida successione  un servizio che  parlava delle baracche dei soldati italiani della prima guerra mondiale, abbandonate, ristrutturate e trasformate in rifugio aperto alle visite di goliarde scolaresche, e anche li non mancavano i valorosi militari dell’esercito italico, dove in mancanza degli originali, crepati sul posto più di cent’anni addietro, o comunque già da molti anni, qualche volontario si prestava valorosamente ad una ricostruzione storica con divise, cimeli e filmati di archivio.

Nella narrazione del ricostruttore storico, suffragata dai sopracitati filmati di archivio, i valorosi giovani patrioti , misuravano la loro tempra prima ancora che contro il nemico, contro le disperate condizioni in cui si trovavano, così che apparentemente, la natura diventava più pericolosa della guerra… del nemico addirittura: essa diventava  il nemico in sé.

 La frustrazione del nostro onesto cittadino democratico amante della natura cominciava a trasformarsi, con sinuosità strisciante degna della migliore propaganda nemica, in atroce dubbio. Il terzo, o quarto servizio –  il nostro non lo ricorda, l’insofferenza e il dubbio si alternavano il passo di marcia con uno strano spaesamento – era dedicato alla chiesa della Madonna della Difesa di Cadore (il cui etimo è di origine celtica e deriverebbe da “catu”, battaglia. Tenetelo a mente) , cappella di montagna così consacrata nel XV secolo dopo che in una qualche imprecisata invasione del suolo italico, da parte di un altrettanto imprecisato esercito austriaco, con buona pace  di qualsiasi velleità storiografica, una apparizione della madonna avvolta in una  cortina di fumo confuse  le truppe nemiche, tanto che queste si trucidavano tra loro, rendendo la vittoria al valorosissimo esercito italico, praticamente a tappeto, il miracolo insomma e tutto documentato dagli affreschi di questa cappella.

A questo punto il nostro aveva rotto ogni indugio, e ogni confusione e insofferenza si erano disciolte come neve al sole del 25 aprile, facendo emergere una granitica incazzatura.

Qualsiasi riferimento a fatti  e persone è puramente casuale. 

Ebbene io scherzo e il ministero perdoni il tono scansonatorio delle mie parole, ma le cifre narrative che io trovo  nella televisione di stato italiana, sono quelle della  propaganda, non del giornalismo, né dell’approfondimento culturale, o dell’intrattenimento. La deriva autoritaria denunciata da praticamente tutti gli intellettuali del mondo, che l’emergenza virus sta portando, è ormai palese. Inevitabile ripensare tutto il pensiero foucaultiano con tutte le sue stratificazioni di tecnologie repressive e circolazione di discorsi disciplinatori che sembra scritto ieri. 

L’anatomo politica, l’igiene sociale, la scansione disciplinare della vita quotidiana di cui Foucault descriveva l’emergenza nella Francia settecentesca, vivono un nuovo momento di gloria, supportate da un apparato tecnologico nuovo di pacca che fa sembrare  il panopticon un pallottoliere rotto. 

Le tecnologie repressive non si sostituiscono l’una all’altra, ma si stratificano, i discorsi neutralizzano, screditano, impongono  verità epistemiche.  Una bibliografia sterminata documenta il potere dei media di determinare pensieri e comportamenti nelle popolazioni.

Alla televisione una parata di medici, militari e politici occupa quasi ogni programma per rendere conto del bollettino di guerra quotidiano di morti, contagiati, letti di terapia intensiva, e dello sforzo messo in campo;  la metafora guerresca è quella che va per la maggiore, “siamo in guerra”, “siamo in trincea” sono i mantra più ripetuti, il presidente del consiglio definisce le figure economiche messe in atto “una potenza di fuoco”.

Graduati di ogni corpo militare e medico descrivono il quotidiano dispiegamento sul campo di uomini e mezzi, invitando al rispetto ferreo delle misure di distanza sociale che scandiscono ogni più piccolo momento e movimento della vita quotidiana, dal quando e come lavarsi le mani in su. Marzia Roncacci intervista esponenti dell’esercito impegnati sul territorio nell’assistenza su servizi sanitari e  nell’implementazione delle strutture sanitarie per scopi civili;  Alberto Villani responsabile del reparto di Pediatria Generale e Malattie Infettive dell’Ospedale Bambino Gesù suggerisce le abitudini virtuose da far seguire in casa ai bambini, ricordando che comunque, la quarantena non è una vacanza; il tutto accompagnato qua e la da una grafica posticcia della bandiera italiana, un tricolore appeso al balcone, l’equipaggio dell’ Amerigo Vespucci schierato sul ponte che intona l’inno nazionale, un filmato promozionale della guardia di finanza, le frecce tricolori, mancano solo i nani.

Ho l’impressione che la comunicazione mediatica di questi giorni più che mai si svolga su un doppio asse, da una parte la creazione di terrore sociale generalizzato, dove la diffidenza e la paura per il tuo simile, ha scalzato quella per il diverso, dove tutta la realtà esterna al proprio nucleo famigliare rappresenta una minaccia,  contemporaneamente su un altro asse si cerca di creare un rapporto di fiducia assoluta, vitale, con le istituzioni (stato, esercito, scienza), unica speranza di salvezza per il popolo minacciato.

Quel poco di diffidenza che era rimasta contro apparati militari perennemente impegnati in guerre di pace,  un’industria farmaceutica frequentemente al centro di polemiche e politici che non si capisce mai che cazzo stanno facendo  è chiaramente messa a dura prova. D’altronde, un esercito che mette a disposizione i propri mezzi e personale per il trasporto e assistenza di civili ammalati e un industria farmaceutica che collabora con la politica, entrambe concentrate a livello mondiale nella salvezza dell’umanità, non sono il sogno di ogni onesto cittadino democratico? Piuttosto strano però che tutto ciò avvenga all’interno di uno stato di eccezione, ma d’altronde non si può avere tutto dalla vita e la coerenza è la virtù dei morti.

Unica consolazione  che ci rimane, è osservare la netta retrocessione della chiesa cattolica che slitta al quinto posto degli indici di fiducia dopo scienza, stato, esercito e gattini. D’altronde urlare dal balcone a una strada deserta non è mai stato considerato una buona strategia di marketing.

Non che non siamo avvezzi alla propaganda nei mass media, dalle barzellette di berlusconi, ai proclami d’odio salviniani, passando per le foibe, la retorica nazionalista, il decoro e gli appelli al consumo, però una roba del genere, un tale allineamento ideologico e formale, io non lo ricordo neanche da quando ero teledipendente.

C’è un altro mantra che viene ripetuto ormai al parossismo, “dopo non sarà più come prima”, che,  tralasciando la dimensione grottesca del suo valore semantico, sembra un po’ ammiccare a quell’inquietante giocarello sociologico della profezia che si auto adempie, pietra filosofale di ogni strategia di comunicazione.  Sicuramente in molti stavano e stanno  pensando ad un cambiamento, soprattutto a come gestirlo, dirigerlo, metterlo a profitto, un cambiamento che non partirà dal basso e che segnerà un consolidamento definitivo di un apparato di discorsi e tecnologie che solo fino a un mese fa, sembravano un po’ impacciate  nel tenere il passo,  proprio rispetto a quelle pulsioni al cambiamento  che pensavano ad un futuro di virtù  politica, giustizia sociale, ecologismo e una tecnologia  al servizio delle persone, roba che in un mese è passata dall’attualità, all’archeologia, senza passare per il via.

Se cercate  tracce di propaganda, trame segrete, gomblotti e interessi di parte, non li troverete in un affascinante signore brizzolato, vestito in modo stravagante che accarezza il suo gatto nel suo studio di design, più probabilmente li troverete nell’onesto funzionario, nel giornalista sovranista, nel brillante esperto di media strategies al soldo di qualche politico o di qualche multinazionale,  nello stimato professore che applica fedelmente protocolli, direttive, manuali, sinceramente convinto di rendere un servizio alla società.

Michel Foucault diceva che siamo tutti vittime del campo epistemico, parlando apertamente di dittatura del campo epistemico; vi ricordate Iron Sky di  Timo Vuorensola? Ecco affrettatevi a comprare o scaricare una versione originale de Il grande dittatore di Chaplin, perché sospetto che la prossima edizione in dvd durerà 8 minuti.


Gabriele di Pillo, aka Mk Urka! aka Bloody Rethard, aka Halluzinazionen, aka Gamberone, esistenzialista compulsivo, epistemologo di strada, sociologo pentito, cinefilo scissionista, apolide dell’umanità, cuoco per fame, non ci ha mai capito un cazzo.