I preamboli, quelli belli.
Progressive, e immediatamente le connessioni sinaptiche corrono sul “piffero” dei Jethro Tull, sugli ELP con l’orchestrona, sul nano-gigantismo di Tales from Topographic Oceans; una marea di sbadigli, pretenziosità, tonnellate di noia. Nelle migliori delle ipotesi c’è The Dark Side of the Moon, o i Radiohead, peccato che siano esempi non esattamente corretti, anzi.
C’è poco da fare, quello che generalmente viene considerato Progressive oggi, nell’immaginario collettivo, è totalmente out.
È la foto con il mallet e i 501 a vita alta, il sorrisino di imbarazzo, il «mi hai beccato! Ho un passato pacchiano». E se conosci qualcuno che ascolta Prog, e suona uno strumento, sicuramente conosci l’epiteto di Riccardone.
Spero di aver reso l’idea, specie per il fatto che vivacchio da una trentina di anni in ambienti più o meno punk, quindi le varie asserzioni ironiche sul Prog le conosco benissimo. E, importante, le sottoscrivo quasi tutte.
Cioè, ascolto e conosco il Prog e ne ho una così bassa considerazione? Alt.

I preamboli, quelli belli.
C’è un errore di fondo, e anche abbastanza importante: non apprezzo particolarmente il Rock Progressivo, mentre invece amo visceralmente il Progressive. Eh. Fa tutta la differenza del mondo.
Il primo è appunto il piffero e l’orchestrona, la musica da filodiffusione suonata con i synth, la mantellina argentata di Wakeman, il basso a sei corde suonato all’altezza del collo.
Il secondo è tutto ciò che partendo da una forma, per evoluzione o per contaminazione, diventa qualcos’altro. Che può essere molto, molto interessante, strano, eccitante, folle, pacchiano (certo), e nella maggior parte delle volte originale. Volontariamente o meno.
Vado su un esempio più diretto per far capire di cosa si blatera: immaginate Nadia Cassini, o chi meglio vi aggrada, vestita da infermiera, in una caserma, che ad un certo punto, lasciata l’interazione con gli altri personaggi dell’immaginario film, si dirige verso la sua stanza, nel bagno, in direzione doccia. Lei si spoglia e entrando in doccia cominciano le sensuali abluzioni. Bene, ora aggiungete Alvaro Vitali, o chi più vi aggrada, che da dietro la porta comincia a spiare dal buco della serrature. Primo piano dell’occhio pieno di desiderio. Stacco, corpo nudo che si lava. Ora succede qualcosa, lei apre la porta e trova Alvaro Vitali, o chi più vi aggrada, piegato che spiava.
Primi piani; lei sorpresa e adirata, lui eccitatissimo. Ecco il prog che arriva: nessuno schiaffo, Nadia Cassini, o chi meglio vi aggrada, ancora nuda, comincia un discorso sulla sua condizione di salariata disagiata in una struttura sanitaria carente di mezzi. La sua condizione di donna in una istituzione prevalentemente maschile, la sua disparità salariale rispetto al personale maschile, la sua impossibilità a progredire professionalmente. Nadia guarda negli occhi Alvaro e gli spiega il perché è importante che la Sanità rimanga pubblica, a sostegno di tutte le fasce sociali. That’s Prog!

Per come la vedo io il Progressive non è stato un genere (perlomeno non all’inizio), ma una tendenza. Un’evoluzione che mano mano ha coinvolto esponenti della musica colta in contesti pop & rock, poi durante il successo del genere codificato è diventato un virus che ha infettato buonissima parte di chi aveva ambizioni di monetizzare il prodotto discografico, o anche solo di ampliare un linguaggio che risultava troppo rigido. Per dire, è come se prendi un disco di Don Backy e lo mandi sulle Montagne Russe. Booom. La follia all’improvviso, il bizzarro, l’inaspettato che ti coglie alla sprovvista. Non amo citare i nomi grossi del genere canonico, ma la primissima produzione della PFM (“Impressioni di Settembre” che parte alla Battisti, ma al posto del ritornello spara il famoso riff bombastico di Moog) è un piccolo sunto di quanto scritto sopra, sebbene in ritardo con l’avvento della tendenza progressiva.
E qui andrebbe data una piccola storia del genere, quindi fine del preambolo.
Generalmente la nascita viene riconosciuta intorno a 4 punti cardine: Whiter Shade of Pale, Night in White Satin, il lato B di Abbie Road, e soprattutto In the Court of the Crimson King.
Nì. Nì perché se andiamo nello stretto c’erano pure i Nice. Nì perché i Nice non s’erano inventati una ceppa, avevano preso a mani basse dagli 1-2-3. Che poi da lì a poco sarebbero diventati i Clouds, fra le primissime formazioni basate sul triangolo con le tastiere al vertice, nello specifico l’organo. Il loro primo album come Clouds è del 1969, stesso anno dei King Crimson, e sebbene sia più “ingenuo” nei contenuti è pur sempre un esempio di come un comunissimo disco pop possa essere stravolto dalle tendenze progressive. Nel 1971 daranno alle stampe il bellissimo Watercolour Days, che messo a confronto con molti album dello stesso anno risultava già datato, però medaglia di merito per essere stati davvero fra i primi ad adottare quello stile che avrebbe riempito i conti in banca di Emerson e soci. Poi ci sarebbero anche i Peddlers, e non è difficile immaginare il famoso organista dei Nice che all’epoca prendeva appunti, specie dopo la cacciata del Syd Barrett dei poveri, David O’List. ELP e formazioni guitar-free aprono tutto un universo, un sottogenere che naviga fra gli esempi più truci del Rock Progressivo (Ekseption) ed eccellenze progressive (Egg).

ELPish è tutta quella categoria di epigoni più o meno buoni che ribaltavano uno dei canoni visivi più in forti nel rock, il chitarrista, in favore del tastierista. Ovviamente la maggior parte di questi gruppi aveva il bassista cantante, proprio come negli ELP. Alcuni copiando paro paro il verbo, tipo il suono d’organo con i clicker a cannone, tipo i tedeschi Triumvirat, gli Iron Duke (con ben due tastiere e un’ennesima versione di quel classicone per Riccardoni che è In the Hall of the Mountain King in repertorio), i nostrani Triade. Cioè, rompono il cazzo gli ELP, pensa te i gruppi che li copiano. Quante dormite mentre tentavo di ascoltare questa o quella band impegnata nell’ennesimo rifacimento de Lo Schiaccianoci.
Ma poi c’erano pure quelli buoni eh, partiti magari da lì ma poi assolutamente presi in un loro personale discorso. Formazioni senza chitarra che con ELP non avevano nulla da spartire oltre alla conformazione strumentale: Quatermass, Suspersister, Wigwam, Axis, Akritas, Alas, Soft Machine Mk II, Egg, ecc.. Tutti ottimi, tutti assolutamente unici.
Chiusa la parentesi ELP in realtà ne andrebbero aperte altre per i vari discepoli di King Crimson, Genesis, Yes (e qui mi viene in mente il crossover più pazzo, gli svizzeri Welcome, parte ELP e parte Yes, ottimi) e Gentle Giant. Van Der Graaf Generator no, non hanno mai avuto discepoli, estremamente originali, rarissimi i tentativi di suonare qualcosa di direttamente ispirato (l’unico gruppo che ora mi viene in mente che può vagamente ricordarli sono gli svizzeri Island). Un po’ come la seconda formazione del Balletto di Bronzo; nessuna somiglianza riscontrata.

Ma torniamo al discorso sul progressive come tendenza.
Un’altro errore generale è dare i natali rigorosamente in terra d’Albione. Nì, perché qui parliamo di Progressive e non di Rock Progressivo, e quindi ci sono esempi statunitensi giunti al debutto anche un anno prima di Fripp & Co., tipo United States of America, Silver Apple, Zappa & Mothers, o lo stesso anno, come i Touch. E ovviamente i gruppi sopracitati c’entrano una cippa con il Rock Progressivo che puzza di Elfi e foreste incantate, con le melodie di derivazione sinfonica che tante vittime hanno mietuto, roba tipo Ambrosia, Murple, Ange, ecc..
Per dirla tutta, ad un certo punto la tendenza non risparmiò nessuno, vuoi per il superamento di certe forme ormai troppo ossidate di R’n’R, vuoi per il rifiuto per il pop più plasticone, vuoi perché suonavi sì in una band “tradizionale”, ma con gli ascolti toccavi universi come la musica contemporanea, il jazz, o perché no, il folk (Buffalo Springfield, Byrds, o anche Fairport Convention, per citare i nomi più grossi, sono esempi che magari oggi possono lasciare perplessi, ma calcolando l’epoca in cui in contesti tipicamente pop/rock si mischiava la materia con varie tendenze folk, il risultato è comunque una forma di Progressive).
In Inghilterra per un Procol Harum che portava in classifica Bach, c’erano formazioni che maneggiavano la nitroglicerina del free e dell’improvvisazione, tipo gli AMM. Quindi è un binario che ad un certo punto prende due biforcazioni: una divenendo un genere, anche molto popolare fino alla metà larga degli anni 70, l’altra una tendenza che ha contaminato i più svariati generi musicali, senza mai divenire una scuola vera e propria, quanto più un’assonanza fra una moltitudine di esperimenti più o meno unici, più o meno riusciti. Lo so che rischio le botte, ma ad un certo punto anche il Punk, che esplode proprio come reazione al Prog, genera il suo versante Progressive, e si chiama Post-Punk. Poi negli anni sono uscite fuori etichette come Avant-Punk, Pronk, Jazz-Punk ecc.., però resta il fatto che quasi in blocco intorno al 1978 (senza citare i gruppi Post-Punk nati prima dell’esplosione del Punk…), tante bands escono dai tre accordi, dal recupero dell’essenza R’n’R, e cominciano a esplorare territori nuovi e inediti. E non forse progressive tutto questo?

Certo, ci sono state anche le “infiltrazioni”, personaggi che magari per ragioni anagrafiche hanno navigato ambedue le epopee, e quindi ad un certo punto trovandosi nel Punk partecipano al genere aggiungendoci piano piano un po’ della tendenza pura che avevano maturato durante gli anni dello sballo Art-Rock. La lista del Progressive in ambito Punk/Post-Punk/qualsiasi Wave è abbastanza nutrita, This Heat, Stranglers, Only Ones, Magazines, Television, Scritti Politti, Contortions, Gang of Four. Cioè, non è che Progressive è prendere e fare un pezzo di musica classica con una strumentazione rock. Eh sì, booom. Progressive è suonare, per esempio, un pezzo a cavallo fra due o più generi, avere una struttura non-rigida, fare una cosa in uno stile ma buttandoci dentro anche qualcos’altro, unire cose che sulla carta non coesistono nello stesso universo. E l’hanno fatto, e pure bene. Anzi, rifare un pezzo di musica classica con basso, chitarra e batteria, nella maggior parte dei casi è proprio la negazione di Progressive. Cioè, poteva avere senso nel 1970, forse, ma già nel 1975 faceva ridere i polli. E a ragione. Mi sa che mi sono dilungato davvero troppo nel preambolo, ma dal momento che i Due Maestri hanno chiesto la mia indegna partecipazione, mi sembrava doveroso uno stream of consciousness per giustificare la mia presenza qui. Che poi mi sono perso nel preambolo (e tante cose avrei dovuto/voluto aggiungere) e l’ombra del “hai rotto er cazzo” già si staglia minacciosa. Ad ogni modo questo era un presentarsi, perché magari se mi richiedono altri interventi s’è già capito di cosa blatero. Commistioni, fusioni, unioni folli, James Ciance.
Che non è detto che il Progressive sta solo nella musica, anzi.
I preamboli, quelli belli.
[To be continued…]
Diego Foschi è grafico di bassa lega, cine-nozionista, martello delle materie progressive, Santana dei poveri. Cinema alto e basso, amenità, zozzerie, musiche di dubbio gusto. Di sani principi ma di facili costumi.