Carissimi amici di Droga oggi mi trovo ad intervistare un amico, compagno di merende e birrifici e finissimo pensatore de borgata (nonché uno degli agitatori della famigerata scena di Roma Est): Valerio Mattioli. Lo conoscete sicuramente per essere editor di Not, giornalista musicale che ha orbitato tra varie testate di grido come Vice, Blow Up ecc, chitarrista negli Heroin In Thaiti, massimo esperto mondiale di Paul McCartney, famoso organizzatore di spedizioni punitive contro giornalisti musicali in odor di fascismo (ricordiamo la banda di picchiatori che lo spalleggia in ogni raid, la Brigata Mattioli), nonché grandissimo e amabilissimo “fio de na mignotta”.
Come sapete tempo fa per Minimum Fax è uscito il suo nuovo libro, Remoria, che molti di voi avranno acquistato. Una acuta analisi di una città Roma, che viene osservata non dal punto di vista di Romolo, ma del fratello Remo, lo sconfitto in maniera sleale, quello che avrebbe dovuto fondare di diritto la città eterna. La quale, secondo Valerio, proprio a rigor di logica, dopo l’efferato fratricidio non esiste e non è mai esistita. La vera città è quella sommersa, quella fantasma, quella confinata nella periferia, che è a tutti gli effetti la vera Roma : il centro è una vera e propria impostura. Quindi facendo un excursus esoterico/ fantascientifico e tuffandosi nelle sottoculture artistiche e musicali, nella potenza vitalista del coatto, nei cortocircuiti di una città che è a tutti gli effetti contraddizione a macchia di leopardo che spinge contro il Grande Raccordo Anulare per avere la sua effettiva rivincita, il Mattioli descrive la Roma che molti di noi riconosciamo come quella che ci appartiene. Ma perché Valerio ha voluto scrivere questo libro? Quali sono i pro e i contro di una simile rilettura della città? Come mai leggiamo delle pagine in cui lui confessa di essersi drogato e che nesso c’è tra le sue abitudini “sintetiche” e la città nascosta? Insomma come è giusto che sia vogliamo saperne di più. Quindi mandiamo queste domande a Mattioli e conoscendo la sua parlantina ci aspettiamo un fiume di parole che farà chiarezza su alcuni lati oscuri della sua opera, sapendo che mai si farà influenzare dall’ultima fissa dei media per le periferie e i coatti, anzi: sicuramente saprà ribaltare ogni strumentalizzazione con lo strumento acuminato della lingua, che a giudicare dalla fluidità dei suoi scritti non gli manca. E allora, iniziamo subito con i quesiti e buona lettura a tutti.

Innanzitutto: a chi è diretto questo libro? A chi abita Remoria o a chi pensa che essa sia uno zoo?
( L’ autore non risponde)
Il libro è incentrato, tra le tante cose, sull’evoluzione del coatto, come prodotto ibrido tra la tecnologia disumanizzante e i resti del sottoproletariato urbano, che interagisce in maniera contraddittoria con il contesto archittettonico in cui si muove, la periferia (Remoria). In pratica è come un topo che cerca inutilmente di fuggire dalla gabbia finchè la gabbia non diventa un tutt’uno con il topo. Quando hai pensato di approfondire questa faccenda? Ti sei sentito tu stesso topo?
( l’autore non risponde)
Ad occhio e croce è anche un libro autobiografico: sono molte le pagine in cui indugi su Centocelle, tua zona d’adozione, vista come un perno intorno al quale gira la storia che racconti. Io venendo da Torrevecchia/ Primavalle, mi rendo conto che nel libro ne parli dandogli importanza evidente, ma non la tratti alla stessa stregua di Centocelle. Per me invece è Primavalle IL perno, non Centocelle. Di conseguenza forse è un po’ il senso del libro questa periferia eterna che in fondo è sempre uguale ovunque ed è la vera Roma, dal campanile si passa a capire tutto un mondo. E’ la famosa distanza dal centro che tu scrivi come sensazione reale di arrivare in un altro luogo completamente estraneo che anche io ho sempre avvertito quando da Primavalle/Torrevecchia scendevo a via del Corso per il famoso “struscio”. Era un viaggio arrivarci, sembrava a tutti gli effetti un’ altra città. Sei d’accordo?
( l’autore non risponde)
C’è una specie di fissa nel libro per parlare del GRA come un cerchio di un ano infertile. L’analità è alla base di questo libro, in maniera eccessiva ed eccedente, e in qualche modo viene vista come un’analità “pasoliniana”, nel senso di quella del film Salò e le 120 giornate di Sodoma. Ma Pasolini, “accattoni” a parte, aveva comunque inquadrato ne La terra vista dalla luna il turbocoatto del futuro dandogli anche un look ben preciso: nel 1967 era stato profetico prima ancora del Ranxerox di Tamburini che tu indichi come progenitore di tutto. Tu quante volte hai visto Salò per arrivare a simili conclusioni? Quanto c’è di Salò in Ranxerox?
( l’autore non risponde)
Nel tuo libro si parla molto di droga e satanismo come uno dei fattori propulsivi delle controculture con le quali i turboproletari della capitale si sono in qualche modo espressi nella loro identità: che sia la techno, la gabber o ancora prima il punk e il dark, ecc. Quindi dobbiamo ringraziare i tossici romani per tutto questo ben di dio?
( l’ autore non risponde)

Una cosa che mi ha colpito molto è che, tra tutte le sottoculture, non citi mai il noise. C’è la gabber, la techno, c’è il rap, quello che ti pare ma non c’è il noise. Eppure sappiamo che proprio nel momento pre-gentrificazione, il noise era una specie di “macchia d’inchiostro nel latte” che metteva comunque insieme una serie di “disperati”, dei “senza famiglia” che con le loro forze hanno tirato su una scena spontanea che ha subito giocoforza la stessa sorte di altre, con la Remoria che improvvisamente se ne impossessava. Non l’hai detto perché ci stavi dentro (con le feste di Dothemongoloid o Spasticalia che avevano, che lo si voglia o no, un certo successo) o perché i numeri non erano abbastanza ampi per competere con, che ne so… le feste Viruz?
( l’ autore non risponde)
Verso la fine c’è una parte del libro che parla dei campi rom e dei rom come ultimo avamposto di Remoria: in quella parte non c’è più musica, festa, nulla. Spiegaci meglio perché: io so che la comunità Rom è altresì piuttosto festaiola…
( l’ autore non risponde)
Indubbiamente nel libro si sente una cifra di pesantezza, di darkness, di asfissia e in un certo senso di assenza di speranza che io condivido in parte e trovo molto soggettiva. Ma proprio per questo, come dobbiamo interpretare quindi la chiusa “Romulia! Romulia! La senti questa voce? Io sono la catastrofe!” – Per te è veramente finita? Non ci salverà il post trap o qualche altra spinta di reni giovanile?
( l’autore non risponde)
Bene, ringraziamo il buon Valerio Mattioli per le sue risposte, molto assennate e soprattutto esaustive, e consigliamo a tutti l’acquisto del libro. Soprattutto ai milanesi che riusciranno dopo la lettura, e relativi contenuti su Roma, a distrarsi dalla pandemia in atto nella loro bella città. Anzi vogliamo mandare un comunicato in codice di solidarietà e conforto a tutti i fratelli della madunina.
Milano covid 16- ripeto Milano covid 16 – Roma : Siamo Peste Questa è Remoria.
Demented Burrocacao è co-fondatore e CEO di Droga. Conduce Italian Folgorati per Vice, ha pubblicato, tra gli altri, l’album psichedelico Shell a nome Trapcoustic. Il suo libro Si trasforma in un razzo missile è recentemente uscito per Rizzoli Lizard.