Il berlusconismo spiegato a Pasolini.

Caro Pasolini, se fossi qui forse te ne saresti accorto anche tu. Mi rifiuto di pensare all’immobilismo intellettuale e sono sicuro che comprenderesti, anzi che forse te ne saresti accorto prima degli altri: qualcuno a destra si è sbagliato e per avidità si è dato la zappa sui piedi da solo. Di tutto questo bisogna ringraziare una figura e una sola: Silvio Berlusconi. Che non credo tu abbia mai incrociato, ma lo saprai di sicuro, ti sarai informato e avrai bestemmiato in aramaico per tutte le cazzate fatte da un ometto che a parte i soldi e la voglia di fica aveva ben poco, se non un’azienda, la Fininvest (poi Mediaset) che mettendosi contro alla televisione di stato di fatto creò un monopolio di – ufficialmente – tre reti che ben presto diventarono il punto di riferimento di migliaia di italiani. Quella strana scatola che servì per omologare tutti gli italiani al “modello televisivo” (l’hai detto tu, non io!), per anni è stata utilizzata da quel “politico” per far arrivare messaggi e condizionare menti, ma qualcosa di sotterraneo stava succedendo e lui non se ne è nemmeno accorto. Per riempire i palinsesti ha incaricato qualcuno, identificato nella persona della giornalista Alessandra Valeri Manera, di trovare programmi a basso costo: e quale più a basso costo dei cartoni animati? In particolare dei cartoni animati giapponesi.

Sì, lo so che non è stato lui il primo a portarli, dai non ti attaccare ai dettagli, ma di sicuro ha contribuito largamente allo sdoganamento di un prodotto che ci ha aperto le menti.

Non sono pazzo, lo sai, e non volermene, conosco il tuo pregiudizio verso la televisione, che ormai è superata dallo streaming. Il mezzo è morente, diciamocelo chiaro. Eppure, non sarei qui a parlare con te se non ci fosse stata la scatola delle meraviglie. Tu te ne sei andato pochi mesi prima dell’inizio dell’invasione dei cartoni animati dal Giappone, quel fascistoide paese nel quale vengono ancora oggi creati dei programmi televisivi che di fascista hanno poco e niente, questo perché le generazioni successive alla tua hanno aperto gli occhi e si sono rifiutati di vivere in un paese governato da vecchi nostalgici del feudalesimo da samurai.  A te non è arrivato nulla di quello che Berlusconi importò senza saperne niente, ma anche per una questione di accordi tra Italia e Giappone risalenti al ventennio che non starò ad analizzare qui se no non la finiamo più.

Torno a quello che dicevo prima: la Manera si ritrovò a dover gestire dei prodotti da mandare in onda nella fascia per ragazzi, pomeridiana ma anche preserale, e scelse senza saperlo il mezzo con cui sotterraneamente i giovani giapponesi si ribellavano al Potere. Che ne sapeva la Manera, e ancora di più il suo capo incauto, di quello che stava mettendo sotto gli occhi degli italiani? Nel ’76, ci aveva pensato Vicky il Vichingo, poi Barbabapapà e Heidi, ma il vero sconvolgimento e la vera lotta generazionale vennero con Goldrake il 4 aprile del 1978. E fin qui, a parte la ribellione giovanile e la magnificenza di certi robot, sembrava tutto a posto… Poi arrivò qualcuna, e qui è già colpa di Fininvest, che avrebbe fatto girare la testa a migliaia di italiani, parlo di “Lady Oscar”. Ebbene, l’1 marzo del 1982, secondo me, nessuno si rese conto di quello che stava facendo iniziando una rivoluzione che tutt’ora, nell’era dello streaming selvaggio, a quasi 40 anni di distanza, continua a mietere vittime. Non a caso in Lady oscar si parla di rivoluzione (quella francese, per la precisione, ma che te lo dico a fare? Italia 1 mi sa che lo prendete anche ovunque tu sia) e come solo i giapponesi sanno raccontare: se la rivoluzione avviene intorno a te, stai pur certo che dentro di te i moti sono ben più difficili da affrontare di una ghigliottina. Sì, perché, Oscar nasce femmina ma viene cresciuta come un maschio. Non per capriccio (anche se la sigla recitava “Il buon padre voleva un maschietto ma, ahimè, sei nata tu”) ma perché destinata a diventare capo della guardia reale francese che avrebbe protetto la regina Maria Antonietta.

La rivoluzione di Oscar, cresciuta come un maschio, piena di dubbi, incertezze, sicura solo quando doveva proteggere la sua regina, che comunque l’avrebbe fatta fallire, parlava di identità di genere, in un periodo nel quale “gender” era una parola impossibile da intercettare. Oscar non era sola, ci sarebbero stati dopo di lei vari eroi confusi, più inconsapevoli, forse, creati appositamente per suscitare il dubbio nello spettatore. Il caso dell’ingenua Licia, ma fino a una certa, è emblematico, si innamora di un cantante rock di nome Mirko e si ribella, in maniera pacatissima, al padre che è un giapponese vecchio stampo. La stessa lotta di Licia la vivevamo noi: mentre i nostri genitori alle 20:00 volevano vedere il telegiornale, noi volevamo vedere Licia, e la lotta l’abbiamo vinta noi. Perché Licia batteva il tg di svariate centinaia di spettatori ogni sera. “Kiss me Licia” ti potrà sembrare innocuo, caro Pier (posso chiamarti Pier?), perché quello che noi ci siamo visti è un adattamento all’acqua di rose, ma era impossibile nascondere la reale identità di un cartone animato spacciato per bambine ma in realtà creato per le sedicenni. Come fai, poi, a nascondere quei look alla Renato Zero? E l’Ivan Cattaneo di turno? Shiller, maschio bisex, si innamora di Mirko, e c’era poco da nascondere. Mi sarei aspettato che a un certo punto cominciasse a cantare “Polisex” dal palco.
Ma non voglio fermarmi ai gay, o se preferisci dico “froci”, tanto io lo posso dire.
In quei cartoni animati giapponesi c’erano dei sottotesti che i nostri disattenti genitori, e il nostro padre (brrr!) televisivo Berlusconi, erano troppo distratti per intercettare. Ti cito solo alcune cosette strambe: Georgie contesa dai suoi due fratellastri, Nanà assediata da un stuolo di pedofili che la metà bastava, Pollon (stesso autore di Nanà) che con i miti greci ci ha giocato di brutto, che già dalla sigla sprizzava sensualità e ci mostrava una serie di coppie gay a tutto schermo (guardatelo su Youtube!) oltre a regalarci una canzoncina, tutta farina del sacco degli adattatori italiani, che diceva “sembra talco ma non è, serve a darti l’allegria!”, ma io non sono mai stato d’accordo: la cocaina innervosisce, allegria un cazzo. Forse sull’Olimpo, o allo studio di doppiaggio, era più buona. Non lo so.  Poi vogliamo parlare delle maghette? Ragazzine di dieci anni capaci di trasformarsi in adolescenti di 16 che sgambettavano mezze nude allegramente, Gigì che restava nuda durante la trasformazione, Johnny (censuratissimo!) che era in piena tempesta ormonale, le Occhi di gatto che ci facevano vedere la silhouette dei seni, sempre nella sigla, vattela a rivedere, ed erano sexy anche quando le scene di nudo venivano censurate. Ma come fai a tagliare il sesso che sprizzava da ogni fotogramma? Tanto valeva non trasmetterli. Ma costavano poco, cosa ne avrebbero capito i bambini? Invece, te lo posso dire? La mia liberazione, il mio coming out non è arrivato da solo: è stata tutta colpa dei cartoni animati giapponesi. Perché mi insegnavano che sì, era possibile: potevi essere chi volevi. Tutto questo in pieno Berlusconismo. Mi fermo qui, ci sarebbero mille altri esempi ma devo saltare agli anni ’90.

Il vero danno a se stesso Berlusconi lo ha fatto negli anni ’90: scende in politica con Forza Italia, ma Forza Giappone sarebbe stato un nome migliore. Perché importa il vero capostipite di tutta una lunga lista di cartoni animati che dicevano alle ragazzine: “Ce la potete fare da sole!”. Di che sto parlando? Di quello di cui parlo sempre: Sailor Moon. Saresti d’accordo con me se fossi stato qua. Ma non mi dire che non ne hai mai sentito parlare perché non ci credo. 
Per onestà dovrei prima parlarti di Nadia, perché dietro al titolo innocuo e avventuroso, che richiamava Jules Verne e che graficamente sembrava la piccola Flo o un qualunque, a dire dei meno esperti, innocuo cartone di Miyazaki, c’era un personaggio che mai prima di allora aveva insegnato così tanto ad essere liberi come Nadia. “Il Mistero della pietra azzurra” sembrava una semplice serie di avventura, con Nadia e Jean che proteggevano la Pietra Azzurra da un trio di cattivi intenzionati a usarla per i loro scopi. Ebbene, Nadia invece che essere eroina bisognosa di un aiuto maschile, fin dalle prime scene sfuggiva agli aiuti, se la cavava da sola, si dichiarava vegetariana, chiamando in causa discorsi etici che mai prima erano stati affrontati nei cartoni animati trasmessi sulla tv italiana, ma soprattutto era il primo esempio di personaggio diversamente bianco vincente e non sottomesso. Non era poco nel ’91 in televisione.
E qui arriviamo a Sailor Moon: un prodotto creato per vendere giocattoli alle bambine che venne dato in mano a uno stuolo di animatori e registi di nuova generazione che avevano veramente tanto, in certi casi pure troppo, da dire e che rifiutavano categoricamente il modello classico nipponico. 
Sailor Moon è la storia della più stupida delle ragazzine che accetta il suo destino di protettrice della Terra, si innamora di un ragazzo che serve solo a lanciare rose e raduna le sue compagne di scuola più emarginate e con loro salva il mondo. Senza mai un grazie o un mi dispiace da parte di chi ha “abusato” della loro purezza. Togli gli scettri rosa, i nastri e i lustrini, le trasformazioni in cui, da tradizione, per 30 secondi resti nuda ad ammaliare gli spettatori e quello che resta è un ritratto di tante figure femminili forti. In Sailor Moon la coppia di guerriere lesbiche ci viene presentata senza alcun clamore, stanno lì, è assodato che l’amore è amore, ben venti anni prima del movimento “Love is love”. Il “Non una di meno” di Sailor Moon era il motto “Io vi proteggerò tutti”. Non è poco, per un ragazzino come me fu tantissimo. Lo sarebbe stato anche per te. Ce la saremmo goduta insieme questa serie in cui a un certo punto, tre ragazzi diventano tre ragazze per combattere. Ti sarebbe piaciuta.
Vabbè, mi fermo qui, và.
Il berlusconismo ha fatto danni incalcolabili al tuo amato Paese, Pier Pà, però senza ombra di dubbio quello che hai lasciato indietro non è tutto uno schifo. Ce la siamo cavata a spese dei nostri “oppressori”. Certo, forse ti ho indorato la pillola, ma intanto goditi questo squarcio di bellezza. Te lo sei meritato.


Nino Giordano nasce a Palermo nel 1981. Da 22 anni lavora nel mondo dell’editoria, prima come traduttore e dialoghista per Star Comics, Panini, Dynit, Canal Jimmy e Giochi preziosi e poi come editore per l’etichetta indipendente LGBT Renbooks. Nel 2010 è stato l’artefice del rilancio di Sailor Moon in televisione in collaborazione con Toei, Kodansha, Mediaset e Giochi Preziosi. Tra le sue passioni la musica trash con la quale si diletta nei locali con lo pseudonimo d Dj Cessa.