I morti.

Entrare in quella casa malinconica fu come bere una pozione magica. Forse mi stavo approssimando al male, o forse alla crisi delle mie certezze. Oppure il mio scetticismo avrebbe ricevuto conferme? Ero meditabondo. Tanto più che la penombra e gli arredi, divani foderati in velluto e roba da antiquariato che riempiva ogni spazio, sembravano invitarmi alla suggestione. Mi sorse spontaneo il dubbio che non fosse stato tutto predisposto ad hoc, per ottenere un certo effetto su di me, oltre che, naturalmente, sui clienti.

Ad ogni modo acquisii la consapevolezza, nell’intervistare la medium, che fra tante suggestioni sul paranormale, se non stavo proprio scandagliando i misteri dell’extracorporeo, stavo per lo meno rovistando nell’oscura soffitta della mente umana. Mi chiesi infatti quanta componente di pazzia e quanta di furbizia ci fossero in quella che poteva essere nient’altro che una messinscena approntata per un tornaconto personale.

Fra le prime cose che emersero all’inizio dell’intervista, la sua fiducia nel fatto che le anime che la visitavano se ne sarebbero andate definitivamente da quella casa destò in me una certa curiosità.

«Per stabilirsi dove?» le chiesi.

«Nell’aldilà, probabilmente.»

La incalzai con le domande e ascoltai le parole cortesi che mi diceva in risposta. La discussione verté su una coppia di fantasmi.

«Sì» disse la signora, «si sposeranno fra qualche mese.»

Lo asserì con candore, come se si trattasse di normale amministrazione, di persone vere, in carne e ossa. Non so proprio come mi trattenni dallo scoppiare a riderle in faccia.

«E riguardo agli altri? Chi resterà qui, quando loro se ne saranno andati?»

«Baldassar, innanzitutto, che è un po’ il custode della casa. Ma anche altri. Vivranno qui con me. Alcuni usciranno e rientreranno. Preferiscono vivere al chiuso.»

Adoro le provocazioni. Ho un gusto talvolta orrendo. Mi trovo spesso nella giusta disposizione d’animo, da bimbo dispettoso. Inoltre, dopo aver rotto il ghiaccio e avviato la conversazione, avevo allentato quei freni inibitori che impediscono in genere all’uomo di procedere, seguendo l’ispirazione, verso risultati eccitanti, sfrenatamente grandi.

«Quando si annoia» le chiesi «non organizza mai con loro una tombola o, che so, una partita a tressette?» Stavo per dire «con il morto», ma mi trattenni.

«No, signore» rispose in tutta semplicità, «perché deve sapere che i morti non si annoiano e non si prestano a soddisfare i capricci dei vivi. In ogni caso non sono in pace… Non è questo un argomento da trattarsi con leggerezza, lei mi capisce.»

«No, certo» feci io.

«Pensi» proseguì «che uno di loro, il viso rigato di lacrime, prende e vaga per le strade del circondario. Per molti rimane un mistero quello delle piante sradicate dalle aiuole, ma io lo so che è lui che strappa dal terreno tutto ciò che gli capita a tiro. Una volta l’ho visto, nel mio salotto, coprirsi il volto e cospargerselo di terra con quelle stesse mani sporche di verde che avevano sradicato piante per tutta la notte. Questo comportamento – posso dirlo poiché l’ho saputo dal diretto interessato – è dettato dallo sgomento, dal pentimento per il delitto commesso in vita… Ebbene sì, ho anche degli assassini fra i miei ospiti. E, come anche altri, non vive la condizione di trapassato a cuor leggero. Come potrebbe averlo leggero, il cuore, con un passato così greve, che lo ossessiona e perseguita tutto il tempo?»

Era poi pronta a giurarmi che in quel preciso istante, seduto sul bracciolo della poltrona su cui mi ero accomodato, intrigato dalla nostra conversazione, vedeva uno degli spettri.

«Qui, accanto a me?» balbettai.

Mi girai, ma ovviamente non vidi nulla, dal momento che non avevo il dono. Lei immerse le labbra nella sua tazza di tè e, una volta bevuto un sorso, volle rincuorarmi.

«Stia tranquillo, non hanno nulla contro di lei.»

«Intende dire che, se volessero, potrebbero far del male a qualcuno?»

«Se possono sradicare piante…»

Era palese il suo intento di impressionarmi, ma quelle per me rimanevano sciocche superstizioni, se non proprio imposture o ciarlatanerie.

«Il vecchio che le siede accanto» continuò «è una delle anime più tormentate che popolano la mia abitazione. Ho visto più di una volta il suo volto irrorato di lacrime. Nelle notti di pioggia lo vedo vagare dalla finestra della mia camera, o disperarsi qua dentro. Circa un mese fa, svegliata dagli ululati agghiaccianti del vento, lo vidi in ginocchio invocare il Cielo chiedendo indulgenza e stracciarsi le vesti già lacere.»

«Inquietante» commentai.

«Già. Ma non è uno a cui piace parlare. Non ho mai scoperto per quali colpe chieda il perdono. Invece vuole appuntarselo un aneddoto curioso?»

«Non vedo l’ora.»

«Una sera rientravo a casa da una cena da amici quando sentii il pianto di qualcuno per strada. Allarmata, aguzzai la vista osservando i marciapiedi illuminati dai lampioni, ma non vidi nessuno. Pioveva e le gocce di pioggia attraversando gli aloni di luce sembravano tante faville dorate. Il pianto continuava. Capii che quel misterioso qualcuno stava là dove non arrivava la luce. “Chi è?” chiedo. Nessuna risposta. “Chi è?” insisto, ma nulla. Allora, turbata, cammino in fretta verso la porta di casa. Davanti alla porta sobbalzai: c’era qualcuno, però non riuscivo a metterlo a fuoco. Ricominciò il pianto e mi accorsi, allora, di trovarmi di fronte a un povero bambino piangente. “Cosa c’è, piccolino?” gli chiesi. “Mi sono perso, non trovo la mia mammina. Mi ero messo a canticchiare e a correre qua e là, poi mi sono girato e mamma non c’era più!” “Oh, che disdetta” feci io, “ma non preoccuparti: ora ti porto dentro, ti asciughi e cerchiamo di rimediare. Chiamiamo la tua mamma, così ti viene a prendere.” Si avvicinò. Era di un pallore indescrivibile. A mani giunte si mise a implorarmi, piangendo: “Oh, sì, ti prego, aiutami a trovare la mia mamma! È da tantissimo tempo che l’ho persa…” Lì per lì non diedi peso a queste ultime parole, ma quando gli risposi “Entriamo!” lo vidi attraversare in tutta fretta la porta, senza aspettare che la aprissi. Una volta dentro, accesi la luce e vidi il bimbo, divenuto diafano per via della luce elettrica che lo attraversava, correre come una trottola per la casa alla ricerca dei suoi genitori. Si spaventò nel trovarla affollata di altri spettri. Voleva che gli trovassi la mamma e il papà. Il numero di telefono che insistette a farmi comporre risultava inesistente. Alla fine» e qui abbassò il tono della voce «lo tranquillizzai dicendogli che avrebbe potuto restare da me quanto voleva, finché i genitori non fossero venuti a prenderlo. Lo invitai inoltre a non uscire quand’è buio, per non perdersi e non lasciarsi prendere dallo spavento.»

«Incredibile. Ed è ancora qui questo bambino?»

«Sì, sta giocando sul tappeto.»

Non avevo la più pallida idea del perché un’anima, dentro la sua bella bara coperta da tre metri di terra o nel suo loculo volesse uscirne e andare a zonzo facendo visita a sconosciuti, ed ebbi l’effimera tentazione di chiederglielo. Ma lei mi precedette cominciando a raccontarsi.

«Io spero, anzi so, che Colui che tutto può mi abbia assegnato questa speciale facoltà con l’intento di indicare la retta via ai vivi. Fatto sta che non appena presi coscienza dei miei poteri, cioè molto presto, in un impeto di generosa voluttà mi diedi a scandagliare i segreti della gente che non ha riposo, come la chiamo io. Le persone del luogo, per la maggior parte, mi hanno sempre opposto una certa resistenza. Sono tutti molto scettici. Ma io, incurante, a quest’attività mi sono data completamente, inebriandomene e trasformandola in lavoro. A volte affrontavo lunghe passeggiate, entravo nelle chiese, attraversavo le campagne. Come una pazza: sono la prima a riconoscerlo… Il più delle volte, senza fare incontri. Talora rimanevo stremata dalla stanchezza fisica. Inoltre, dal punto di vista mentale, qualche volta fui attanagliata dal delirio e dal terrore. Lei mi dirà: quello che si sente dire in giro sui fantasmi sono superstizioni, retaggi culturali, fantasie – e lo dico anch’io. Toh, ecco Baldassar, si è fermato davanti al camino a guardare il fuoco. Lasci che le dica una cosa: ogni volta che incontro uno spettro, la sua apparizione è per me uno squarcio nella nebbia. È un’esperienza del tutto particolare approcciarsi a loro.»

«Non ne dubito» commentai.

«Si tratta di persone» proseguì la medium «che non hanno abbandonato completamente l’esistenza terrena e su cui risplende l’astro oscuro della morte. Ogni volta che scopro di trovarmi davanti a uno spirito, non posso che rimanere profondamente conturbata dal suo essere così sussultante e tremebondo. Ciascuno di loro mi pare come una cosa strana, sazia di tutto il bene e di tutto il male.»

«Non ha mai provato paura, o meglio: non ha mai provato un terrore tale da farla scappare, chiedere aiuto, respingere il fantasma?»

«Certo che sì! Accadde un paio di anni fa che sopresi una sera, nel mio studio, uno spettro che si divertiva a rovistare fra le mie carte e distruggere tutte quelle in cui avevo preso appunti o fatto il resoconto dei miei incontri con entità extracorporee. Mi arrabbiai parecchio e inveii contro di lui. Al che lui mi rivolse uno sguardo minaccioso. Non contenta, gli urlai che sarei stata felice quando il Padreterno gli avrebbe scavato un baratro sotto i piedi, facendolo sparire. Non l’avessi mai fatto! Lo attizzai con queste parole come se fosse stato una fiamma… Avanzò furioso verso di me e mi disse che avrebbe straziato il mio corpo, che avrei patito i dolori dell’inferno. Presto mi fu addosso e cominciai a sentirmi stretta come in una morsa di gelo. Ebbi in quei momenti la certezza di essermi giocata la vita su questa terra. Sarebbe stato impossibile per me sottrarmi alla turpitudine e alla bramosia di violenza di quello spirito diabolico. Fortunatamente, proprio all’apice della sua rabbia fecero irruzione nello studio le altre anime cui do asilo e, come tante pecore e agnelli inferociti, saltarono addosso al lupo orribile che mi aveva chiusa in un angolo e avvinta. Lo acciuffarono e lo trascinarono via di lì; in strada, a furia di colpi e strattoni, lo ridussero in brandelli. Non so se questo mi assicurerà la pace per il resto dei miei giorni, ma da allora il peggiore dei fantasmi non è mai più tornato a farmi visita.»

«Meno male!» esclamai.

Avevo seguito quel racconto così intenso con un interesse crescente. La signora aveva sul volto un’espressione lieta. Qualcosa però d’improvviso la turbò: guardò un punto nel vuoto accanto a me e sbarrò gli occhi, urlando.

«Aaaaaaaarghhhh!» urlai io a mia volta, saltando in piedi.

Non vidi nulla. Già ero pronto a darmela a gambe, quando sentii la donna prorompere in una grassa risata.

«Doveva vedere che faccia ha fatto!» disse, non riuscendo a smettere di ridere.

Giuro che stavo per strozzarla.


Andrea Bricchi è insegnante di lettere e vive a Roma. Autore di una raccolta di poesie in prosa, Il cofanetto orientale (Zona), ha pubblicato racconti su diverse riviste on-line e scrive per ILDA – I libri degli altri. Sta terminando la stesura del suo primo romanzo.