“Cosa hanno rappresentato per te gli Autechre?” – Ross Birdwise.

Conobbi gli Autechre con Tri Repetae, quando avevo appena finito il liceo nel 1996.

All’epoca pensai subito che il loro suono fosse molto moderno, molto futuristico e con un tono emotivo più fresco (almeno per le cose che avevano fatto fin lì) rispetto a tanta musica che avevo ascoltato in precedenza, la maggio parte della quale era oscura e drammatica. Quello degli Autechre mi è sembrato sempre un po’ più distaccato, più lucido e più robotico: tutte quelle associazioni mi piacevano parecchio. I timbri e i ritmi erano intricati e intriganti, ma spesso ancora troppo propulsivi per il mio orecchio. Mi sentivo in relazione con parte della musica industriale che ascoltavo in quel momento, ma una tendenza molto più interessante si fondendo con i suoni che associavo a computer, macchine più raffinate, hip hop e techno. All’epoca sembrava davvero moderno.


Quando uscì Confield, ero ancora un loro fan e mi godevo quel suono così astratto, forse aleatorio e algoritmico, e il modo in cui i timbri sembravano trasformarsi in qualcosa di sintetico, ma anche al tempo stesso organico, che suggeriva spesso l’evocazione di metalli mutanti, fluidi solidificati, percussioni accordate nell’acciaio e tanti altri suoni più difficili da definire.

Ripensandoci a posteriori, ci vedo molto l’influenza della musica elettroacustica su album del genere e probabilmente anche su alcuni lavori di un gruppo come i Coil, con il loro sound design deformato.
Per concludere, posso dire che mi hanno fatto vedere la musica come una cosa aliena, futuristica, ma distopica al tempo stesso. Sono stato anche molto incuriosito dal loro processo compositivo, spesso legato a calcoli algoritmici, nonché dall’atmosfera quasi organica ma aliena dell’intera faccenda.


Ross Birdwise è un musicista e visual artist di Vancouver. Tra i suoi dischi, Drunk Formalism(s) uscito per Orange Milk Records.