All Tomorrow’s Parties

Mi invitano a un party del giro dei pittori e io ci vado. I pittori si ritrovano dentro a degli scantinati che usano come studio e forse anche come abitazione. Il party sarebbe un carrello del supermercato parcheggiato in mezzo alla stanza, pieno di lattine di birra del discount. Niente frigo e niente ghiaccio, quindi le birre sono calde. C’è anche una specie di tavolo, fatto da una bobina di cavi da cantiere, con sopra un’insalatiera piena di pistacchi. Alle pareti imbiancate di fresco ci sono i quadri nuovi dei pittori, perché il party sarebbe un vernissage ma i pittori sono ironici e non gliene frega un cazzo e quindi dicono party e non fanno l’evento su Facebook.

I gusci dei pistacchi mangiati si ributtano nell’insalatiera insieme ai pistacchi ancora interi. Le lattine di birra vuote si appoggiano sul tavolo. Le sigarette finite si buttano nelle lattine di birra vuote. Quando lo spazio sul tavolo è finito, le lattine vuote si buttano sul pavimento. Quando le lattine di birra vuote sono piene di mozziconi, le sigarette si spengono sul tavolo. A volte una lattina vuota ma piena di mozziconi cade sul pavimento, vomitando fuori un po’ del suo contenuto. Ascoltiamo musica da un vecchio mangianastri appoggiato nel carrello, sopra le birre piene. Ci sono solo due cassette: una dei Velvet Underground e una dei Sonic Youth.

In fondo allo scantinato c’è una specie di passaggio, poi un corridoio, poi un altro scantinato. Nell’altro scantinato ci sono altri artisti che fanno un altro vernissage. Il bagno è nell’altro spazio quindi a un certo punto ci vado. Nell’altro scantinato appena entri ti danno un catalogo delle opere, tutto è sfumato in una luce azzurrognola un po’ ultravioletta. Vedo che bevono succo di frutta filtrato da calici di plastica trasparente e nessuno fuma. Tutti parlano a voce bassa e qualcuno ci tiene a darmi la mano e presentarsi. Quando torno dal bagno guardo i quadri sulle pareti del nostro scantinato e noto che il nome dell’autore e il titolo sono scritti a matita su pezzetti di scotch di carta accanto al muro, che si stanno già staccando.

Bevo le mie birre calde e chiacchiero con la gente. Quando a qualcuno di noi scappa da pisciare va nell’altro scantinato, gli altri invece passano da noi per entrare e uscire. Quando i nostri tornano dall’altra parte hanno un sorrisetto sulle labbra. Quelli che passano da noi invece sembrano interdetti, prima rallentano e poi accelerano verso il loro angolo. Bevo altre birre calde e butto delle sigarette spente sul pavimento. Ogni tanto qualcuno va a girare la cassetta nel mangianastri. A un certo punto rinuncio a cercare pistacchi interi dentro l’insalatiera tutta piena di gusci e mi metto a fare il cretino con due ragazze che mi danno corda.

Non so se le due tizie sono della nostra parte o dell’altra, ma poco cambia visto che anche dei nostri conoscerò al massimo cinque o sei persone. Esco a prendere aria e mi passano un affare da cui fumi marijuana senza bruciarla, assomiglia a un succhino di frutta con la cannuccia. Tipo Billy. Mi ritrovo da basso, seduto su di una delle poche sedie, a cantare All Tomorrow’s Parties insieme a uno dei pittori amico mio. Mi si avvicina la sua ragazza, che poi sarebbe la tizia che mi ha invitato e mi pare che mi dica: non ti sembra il momento per un po’ di poesia. Ricordo che mi aveva già detto qualcosa del genere al telefono e infatti mi ricordo di avere un fascio di fogli nella tasca della giacca.

Mi alzo in piedi, metto gli occhiali da sole che ho in tasca e mi schiarisco la voce. Penso di essere come John Cale, è questo che visualizzo. Abbassano il volume dello stereo e tutti si voltano verso di me. Un tizio vede che mi metto gli occhiali e se li mette anche lui, un paio di altri tizi lo imitano. Non capisco se è un gesto di complicità o di sfida. Mi stanno venendo le paranoie, non dovevo fumare la marijuana. Comunque mi sarò anche bevuto una dozzina di birre calde quindi yin e yang si equilibrano abbastanza dentro di me. Inizio a leggere questa specie di poemetto antiromantico che parla dell’amore come di una malattia che si contrae e poi fa la crosta.

Non ricordo di quante strofe è composto il poemetto. Non poche, comunque. A un certo punto alzano il volume della musica, devo aver rotto i coglioni. Non lo accetto e mi metto a urlare le ultime due quartine. Ascolto il suono della mia voce e non riesco a distinguere le parole che dico, forse ho sempre farfugliato fin dall’inizio. Finisco il testo e sento il mio amico pittore che dice: oh è così che si fa. Alzo lo sguardo dai fogli e mi trovo davanti una. La conosco, fa l’attrice porno nei film del marito. Appena noto che sotto indossa solo un paio di mutandine, quella se le leva. Mi si avvicina e mi mette in mano l’insalatiera. Vedo con la coda dell’occhio che tutti i gusci dei pistacchi sono rovesciati sul tavolo.

Dopo avermi dato l’insalatiera, la tizia mi appoggia una mano sulla spalla e spinge in giù. Capisco che vuole che mi inginocchi e io mi inginocchio. Lei si avvicina ancora. Mi appoggia tutte e due le mani sulle spalle e monta a cavalcioni sull’insalatiera, poi mi lecca i vetri degli occhiali, me li alza sulla fronte, mi guarda negli occhi e mi dice: fammi shshsh. Io le faccio shshsh e lei socchiude gli occhi e si stampa un mezzo sorriso sulla faccia. Con una delle due mani si tocca la figa, con l’altra si tiene a me. Ci dà dentro e trema tutta. Io, continuo a fare shshsh. Lei finalmente arriva dove vuole: comincia a pisciare. Apre gli occhi e mi guarda e allarga la bocca. Quando ha finito si sposta e si rimette le mutande.

Mi alzo in piedi e mi guardo intorno. Tutti sono voltati di spalle e guardano i quadri alle pareti. Lei va al tavolo e apre una birra calda, la raggiungo e appoggio l’insalatiera sul tavolo. Le bucce dei pistacchi cadono giù da tutte le parti. Beviamo insieme la lattina passandocela e lei mi chiede se mi è piaciuto. Io le dico di sì. Dopo poco esco sul marciapiedi con la scusa di fumare. Fuori non c’è nessuno, è notte, mi tasto e non ho sigarette. Decido di raggiungere la mia auto per vedere se lì ne ho qualcuna. Niente sigarette neanche in auto. Già che ci sono mi siedo al posto di guida, rimango qualche minuto a guardare le luci delle auto che passano per strada, poi accendo il motore e me ne vado.


Paolo Sus (1979) vive e lavora a Milano, dove è nato. Con l’artista Thomas Raimondi, ha realizzato il libro-zine Filosofia Barbara (2019), che contiene nove racconti brevi; per Sartoria Utopia ha pubblicato il romanzo breve Pacifico Antico (2021). Appare con racconti e articoli su Bomarscé, Il Foglio Clandestino, Fumettologica e FV magazine.