Un racconto di Paolo Sus.
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Siamo a fine anni Novanta, io vivo regolare. Ho un appartamento quasi in centro a Torino. Lavoro in banca tutta la settimana, mi faccio di sabato e domenica. Mi buco uno, due giorni al mese massimo. Lo fai, lo sai, non ti fai vedere, non diventa un problema.
Con la mia amica Anna prendiamo il regionale per Milano alle sette di sabato mattina. Lei vive fuori città e il venerdì sera dorme da me per alzarci presto insieme e andare a Porta Susa. Non scopiamo. Appena arrivati, in Stazione Centrale, compriamo. Se non troviamo subito, o il tipo sparisce e non torna più, andiamo al parco Sempione. Se invece troviamo andiamo comunque al parco Sempione. C’è in giro poca gente la mattina. Sappiamo dove sono due panchine fra i cespugli, vicino a una fontanella, dove volendo ti puoi anche sdraiare un po’. Appena ci arriviamo ci pungiamo.
Verso le tre del pomeriggio ci tiriamo su e torniamo verso la stazione. Non abbiamo quasi più soldi quindi camminiamo. Ci portiamo i contanti giusti per comprare due dosi a testa e i biglietti di ritorno li abbiamo in tasca, per essere sicuri di non esagerare e riuscire a tornare a casa. Se ci capita qualcosa fuori programma chiediamo la moneta in giro. Cento lire le hanno in tasca tutti.
A metà strada ci fermiamo in una piazzetta con i giardinetti, ci sono dei ragazzini che fumano le canne. Saranno le cinque del pomeriggio, il treno per tornare è alle sette. Se ci sono quelli che conosciamo ci facciamo offrire qualche tiro di fumo o di gangia. Ci dicono che credevano che nessuno si facesse più di eroina. Quando erano piccoli, negli anni Ottanta, è morta troppa gente. Io gli dico che lavoro in banca tutta la settimana e che Anna fa la commessa alla Standa. Se ti fai nel weekend, al massimo un paio di volte al mese, puoi farcela. Non ti si sgama, non ti si vede in faccia. Non sei un tossico. Sì ma zio, a vederti adesso fai cagare. Non sempre ci sono i ragazzini che conosciamo, a volte ce ne sono altri meno gentili.
Andiamo che perdiamo il treno, dico. Mi vendete duemila lire di fumo, gli chiedo facendo vedere le monetine che ho tirato su per la strada. No, mi dicono. Continuiamo per la stazione, abbiamo ancora una dose a testa. Discutiamo se farcela in bagno sul treno o a casa a Torino. Per risparmiare abbiamo preso un locale che fa tutte le fermate, parte alle sette e arriva alle dieci e mezza. Ho voglia di farmi già adesso, figurati alle dieci e mezza, dice Anna. Controlliamo se c’è uno scompartimento vuoto, magari vicino al bagno. Appena torneremo a sederci la gente passando ci vedrà e nessuno vorrà mettersi vicino a noi.
Abbiamo deciso di andare a Milano a farci anche per questo, per non farci vedere in giro a Torino. Per non far sapere che acquistiamo e non farci sgamare in giro tutti fatti, magari addormentati su di una panchina ai Murazzi o al parco del Valentino. Andiamo in bagno a pungerci a turno. Allungo le gambe sul sedile davanti. Anna, che è seduta dall’altra parte, fa lo stesso. Tiene gli occhi aperti solo per uno spiraglio, sotto si vedono le iridi slavate e le pupille immobili. Anna? Bene? Dondola la testa in avanti, incrocia le braccia tenendosi le mani sull’interno dell’avambraccio. Una goccia di sangue le sporca la manica della maglia. Vorrei che almeno chiudesse la bocca, poi mi addormento anche io.
Quando arriviamo a Torino mi sveglio. Sono per terra, sulla pancia, con la faccia appoggiata a terra. Un filo di bava cola della mia bocca al linoleum del pavimento. Non faccio in tempo a pensare allo schifo che mi fa che mi sto già passando una mano sulle labbra. Mi sento di merda, mi tiro su. Vedo Anna sdraiata su tutto il sedile, mi dà la schiena, la faccia è schiacciata contro il rivestimento similpelle dello schienale. Ha la gonna alzata sulle cosce e il sedere mezzo di fuori. È immobile. Le tocco una spalla, la scuoto. Lei si gira di scatto e, con un rantolo, stende il collo e la testa oltre il sedile. Apre la bocca sempre rantolando, sembra debba vomitare. Non vomita niente, è da stamattina che non mangiamo.
Prima di scendere andiamo in bagno. Ci laviamo la faccia, ci pettiniamo. Mettiamo a posto i vestiti. Anche se è notte Anna tiene gli occhiali da sole. Ha due iridi slavate proprio da tossica, penso. Meglio gli occhiali che quella faccia. A lei sì che si vede, non come a me. Mi prende sottobraccio mentre camminiamo verso casa. È una bella serata, forse. Saliamo, prendo i soldi dal portafoglio che ho lasciato a casa e scendo a al bar comprare quattro bottiglie di Moretti da 66. Ci mettiamo a letto a bere le birre e a fumare sigarette. Intanto guardiamo la televisione. Mi addormento ma verso le due sto tremando e mi sveglio. Abbraccio Anna, ma anche lei è fredda e non mi scalda.
Al mattino preparo il caffè, intanto Anna si fa una doccia. Non scopiamo neanche ‘stavolta. Poi lei si mette gli occhiali e dice ciao, va a prendere l’autobus per tornare a casa sua a San Mauro. Che fai oggi? Potevo chiederle, ma non mi è venuto in mente. Starà a casa con i gatti, penso. Io mi faccio una doccia bollente. Mi asciugo e mi metto la crema sulla faccia. Mi pettino e mi guardo gli occhi allo specchio. Per me non mi si vede, non ho gli occhi come Anna. Anna è bionda e ha quegli occhi così chiari, sembrerebbe una tossica anche se non si facesse. Lavo i denti tre volte e metto una camicia pulita e stirata, pantaloni grigi di frescolana e mocassini. È domenica e vado a pranzo da mio padre.
Quando mi apre la porta mi sorride. Ciao, ti trovo bene, mi dice. Ciao Pà. La tavola è già apparecchiata e lui ha cucinato il suo famoso stracotto al Barolo. Ci sediamo. Cos’hai fatto ieri? Mi chiede. Un giro a Milano con Anna. Ah, bravi! Mi fa lui. A proposito: quand’è che vi mettete insieme?
Paolo Sus vive e lavora a Milano, dove è nato nel 1979. Con l’artista Thomas Raimondi, ha realizzato il libro-zine Filosofia Barbara (2019); per Sartoria Utopia ha pubblicato il romanzo breve Pacifico Antico (2021). Appare con articoli e racconti su Bomarscé, Il Foglio Clandestino, Fumettologica e Funny Vegan.