Il 2021 non era ancora finito che già l’internet veniva invaso dai meme sul 2022 – tutti distopici, ovviamente. Tra tutti uno, che in effetti non è proprio un meme, ma a me piace pensarlo, anzi mi piace pensare che potrebbe essere il primo meme della storia: la locandina del film 2022 I sopravvissuti, (Soylent green) di Richard Fleischer, 1973.
Un meme che non aveva neanche bisogno di essere detournato, andava solamente colto, come un fiore de campo. 2022 però è il titolo italiano, il titolo originale, Soylent green, più difficilmente si presta a battute sarcastiche da fine del mondo, o almeno ad altro genere di battute.
Chi sa se il traduttore italiano fosse consapevole della lungimiranza del suo titolo, lungimiranza che non solo avrebbe servito una efficace battuta agli internauti italiani del futuro, ma che ammiccava a una particolare ricorrenza situata in uno spazio-tempo talmente remoto da far parte a pieno titolo di un immaginario appartenente solo alla fantascienza. O non solo? Viene da chiedersi, perché per un film uscito nel 1973, si è scelta una data che cade 49 anni dopo? (domanda forse inutile, o inutilmente polemica, o semplicemente ingenua, se pensiamo a quel maestoso capolavoro artistico di incompiuto siciliano che è la piscina olimpionica coperta di Giarre che misura esattamente 49 metri, a conferma che per l’arte e per i soldi si può entrare in qualsiasi zona di eccezione. Ma è un altro discorso). Sì, insomma, qualsiasi cretino che scriva qualcosa che contenga un numero tenderà ad usare un numero che abbia un significato, una semiotica, una cabala, almeno personale, almeno per creare un espediente narrativo a cui non rinuncerebbe neanche un cretino, dico. D’altronde i precedenti non mancano: 1984? Facile , lo sappiamo tutti, era l’anagramma di 1948. 1999, metafora della fine. 2001? L’entrata nel terzo millennio, l’inizio. Farenheit 451? La temperatura di fuoco della carta. Insomma, perché 2022? Perché 49? Quel 49 da fastidio come il 14.999 del prezzo di listino delle macchine. Che succede nel 2022? Dal punto di vista del 1973, con quello scomodissimo 49, poco, ma dal punto di vista del 1972, con quel rassicurante 50, troviamo conforto. Nel 1972 infatti viene pubblicato uno dei testi scientifici più importanti di sempre, Il Rapporto sui limiti dello sviluppo (dal libro The Limits to Growth, I limiti dello sviluppo), commissionato al MIT dal Club di Roma, una associazione non governativa, non-profit, di scienziati, economisti, affaristi, attivisti, intellettuali, dirigenti pubblici internazionali e capi di Stato di tutti i continenti. Il rapporto, basato su modelli matematici dei sistemi complessi, analizza e predice le conseguenze della crescita della popolazione e dello sfruttamento delle risorse del pianeta.
Fu il primo studio scientifico che documentò l’emergenza climatica e la pose in termini politici, mostrando come la teoria di una crescita esponenziale infinita alla base del neoliberismo sia scientificamente impraticabile . Il libro, ca va sans dire, manco a dirlo, fece scalpore, e innescò un dibattito culturale, scientifico e politico ancora in corso. Lo studio ha ricevuto due revisioni, una nel 1992 e una nel 2004, che ne hanno confermato la validità dei risultati, così come altri successivi lavori che lo prendevano come punto di riferimento. Il messaggio principale dello studio era che se il mondo avesse perseguito lo sviluppo economico entro i parametri neoliberisti di una crescita infinta si sarebbe arrivati a un collasso entro cento anni, o comunque entro la fine del XXI secolo. Gli scienziati lanciarono un caveat: il mondo è sulla strada del collasso, bisogna intervenire il prima possibile, perché molto presto potrebbe essere troppo tardi, e i processi del pianeta, che rispondono a sistemi complessi su cui è difficile intervenire e soprattutto richiedono dei tempi molto lunghi, risulteranno irreversibili.
Nel rapporto veniva proposta la data non tanto simbolica del 2072, come atto finale della fine del mondo. Quel 2022 quindi all’epoca suonava un po’ così, ragazzi se non ci diamo una mossa subito fra cinquanta anni potrebbe essere già troppo tardi. Obietterete, mo te pare che Richard Fleischer, prima ancora del nostro eroico distributore italiano, quando ha girato Soylent green stava a pensa’ al Rapporto Meadows? Anche sì. Il film è tratto da un libro, il romanzo distopico di Harry Harrison, Largo! Largo! del 1966. In verità il film riprende solo il soggetto del libro, la storia di uno sbirro segue una indagine per omicidio in una città sovrappopolata, ma le intenzioni del libro erano più esistenziali che distopiche: lo scenario faceva riferimento a una sola città sovrappopolata e al collasso, invece che al mondo intero, tanto che nel film la trama viene completamente cambiata, a partire dal finale e da una serie di dettagli di ambientazione che lo rendono estremamente più preciso e feroce , distopicamente parlando, rispetto al libro. Nel film lo scenario riguarda tutto il mondo, in cui sovrappopolazione e crisi ambientale hanno ridotto l’umanità a nutrirsi esclusivamente di gallette razionate e hanno prodotto un forte surriscaldamento del pianeta, mentre la crisi energetica permette l’ accesso a determinati comfort e servizi solo alla classe ricca, con conseguente crisi sociale e politica. Cosa dice invece il Rapporto Meadows? Prese una serie di variabili critiche, gli scienziati hanno visto come si sarebbero evolute tramite modelli matematici. Le variabili si riferivano a: sfruttamento delle risorse non rinnovabili , inquinamento, popolazione, conseguenze e possibili misure sociali e politiche da intraprendere. A ben vedere il film sembra più aderente allo scenario della ricerca accademica dell’ anno prima, che al libro del 1966, ma non stupisce, perché d’altronde il rapporto quando uscì sollevò un polverone, ed entrò ben presto nei canali mainstream. Dalla sua uscita e per i decenni a seguire gli scienziati del Club di Roma ebbero visibilità internazionale e vennero screditati in ogni modo sia dalla comunità politica, che da quella scientifica, economica e sociale, accusati di essere sovversivi, comunisti, anticapitalisti, reazionari, cialtroni, disfattisti o comunque contrari agli interessi nazionali o alle magnifiche sorti e progressive dell’ umanità, con tutto quel repertorio di strategie di neutralizzazione dei saperi tanto care alla genealogia foucaultiana. A cinquanta anni di distanza possiamo serenamente dire che la classe dirigente mondiale non abbia fatto un bel niente per fermare la fine del mondo di cui era stata scientificamente informata. Se ne è parlato, anche troppo, ma le misure adottate sono state di facciata e non hanno minimamente invertito la rotta (dati alla mano che non abbiamo), salvo di volta in volta proteggere i profitti dei grandi capitalisti.
Insomma, cinquanta anni fa uno stimato gruppo di scienziati informa la comunità scientifica e politica internazionale che la terra ha i giorni contati, e prima vengono messi alla berlina, poi, quando non è più possibile negare l’evidenza, si comincia a dar loro credito, e vengono spese tante parole e tanti soldi in progetti fallimentari per proteggere gli interessi dei capitalisti. Ecco. Vi ricorda niente? A uno sputo dalla fine del 2021 esce un altro film (la data di uscita su netflix è 24 dicembre, bel regalo di natale davvero) che si appresta a diventare uno dei più visti del 2022, anche questo di fantascienza, anche questo distopico, anche questo ci dice che l’umanità non ha scampo, e che sembra raccontare esattamente la parabola degli ultimi cinquanta anni del Rapporto Meadows , anche qui troviamo un gruppo di scienziati che avverte il mondo che il pianeta ha i giorni contati e bla bla bla. Il film è Don’t look up, di Adam McKay, quasi a ricordarci cabalisticamente che il 2022 è arrivato, e con lui la fine del mondo baby. Forte eh?! Cabala del cazzo.
P.S. e SPOILER!: il fatto che Soylent green sia stato ispirato al Rapporto Meadows è relativamente accreditato, sull’internet se ne può trovare qualche rara traccia da molto tempo. Il film è annoverato nel gota dei migliori film di fantascienza, la suggestione da fine del mondo che trasmette è una delle più efficaci di sempre, con dei passaggi narrativi struggenti, come quando Heston e Robinson mangiano carne e verdura trafugate dalla casa di un ricco, o come quando Robinson, rassegnato alla desolazione del mondo, si rivolge ad una struttura per il suicidio assistito dove per assicurare un sereno trapasso vengono fatti vedere dei banali video naturalistici di un mondo ormai estinto. Rimane infine da annoverare una delle migliori interpretazioni di Robinson nonché la sua ultima, come detto il suo personaggio nel film muore, nella vita reale sarebbe morto qualche mese dopo per tumore. Pare che le lacrime di Heston nella scena del suicidio fossero sincere in quanto fosse uno dei pochi a sapere della malattia di Robinson.
Un bel documentario sul rapporto Meadows:
Un articolo sul rapporto Meadows:
https://www.ultimavoce.it/limiti-dello-sviluppo/
Gabriele di Pillo, aka Mk Urka! aka Bloody Rethard, aka Halluzinazionen, aka Gamberone, esistenzialista compulsivo, epistemologo di strada, sociologo pentito, cinefilo scissionista, apolide dell’umanità, cuoco per fame, non ci ha mai capito un cazzo.