Rapporto n° 385
Roma 26/11/2013
Operatore Epicuro Tre
Orario operativo: dalle 09.11 alle 11.50
Software utilizzati: Wavetranslator 2.0
Bar Necci, ti senti a casa. Per molti è un covo di hipsters e radical chic eppure alla fin fine stanno tutti qui il sabato o la domenica mattina. Ed è bello incontrare di giorno le persone che frequenti la sera. Sembra di essere a casa, al bar di Piazza Celestino V, giù a Isernia. Oggi però è martedì, poche persone. Ci sei tu, i baristi con cui scherzi di solito, tre o quattro pensionati e un paio di comparse. Prima di entrare giri una sigaretta e ti impossessi del giornale che il bar mette a disposizione della clientela. E’ aperto su una pagina in cui c’è la pubblicità del Ministero delle Pari Opportunità che ti esorta a denunciare tuo marito o a mollarlo. Nella foto c’è un uomo con il volto pixellato che abbraccia da dietro una donna gravida e sorridente. Al tavolo di fianco i vecchi hanno iniziato un tressette. Grugni martoriati da anni di lavori di merda mugugnano:
1VECCHIO- …Er diabete ce l’ho a 188… so’ sti cazzo de antibiotici che me stanno a ’mmazza’
2VECCHIO- La farmacista che t’ha dato?
1VECCHIO- M’ha dato tutto: aspirine, pasticche, ’a roba pe’ caca’…
3VECCHIO- Ma er dottore nun te dice un cazzo?
1VECCHIO- E che me deve da di’? M’ha segnato le punture…
2VECCHIO- Ma che cazzo de punture so’?
1VECCHIO- E che na so… Punture.
3VECCHIO- Boh… nun ce se capisce più un cazzo…
“Oddìo, dove trovo i soldi?”
Vorresti chiamare Laura ma non puoi. State in pausa. Anzi, lei è in pausa, vuole capire. Così ha detto.
C’è veramente poco da capire. Hai quasi quarantanni e ancora cerchi il successo con la chitarra e una band che piace solo ai fricchettoni.
Il corpo t’è diventato un disastro, chissà se è il metabolismo sgangherato o la tua dieta forzata composta di pastasciutta e panini. Di fatto ti ritrovi il culo enorme, lo stomaco spropositato, due blocchi di carne che escono dalla cintura dei pantaloni, portati bassi, come fossi un ragazzino di diciotto anni. Ti aiuta un pochino il tuo metro e novanta nel quale, almeno così, a colpo d’occhio, la zavorra a base di trigliceridi e colesterolo si diluisce. Sei condannato a vestire di nero finché non ti deciderai a infilare le cuffiette e a correre come un pazzo in un parchetto pieno di cacate canine, o a ridurti le razioni di spaghetti. Non hai una casa di proprietà, se non la metà di quella di papà quando arriverà il suo giorno. Dovrai, però, fare a botte con tua sorella e tuo cognato. O forse no. Tu a Isernia non ci ritorneresti mai, stai a Roma da almeno vent’anni. Vent’anni. Un ragazzino che fuggiva da una cittadella che gli andava stretta. Dicevi che non era fatta per i rockers. Ti ha salvato l’università: Lettere indirizzo spettacolo a Roma. Mamma era orgogliosa, papà un po’ meno, avrebbe preferito che ti fossi interessato all’azienda di famiglia. Industria casearia “La Monachella”. Un caciottaro traducono con ferocia i romani. Per questo motivo nessuno conosce il tuo passato.
Laura chissà cosa s’ aspettava da te. Sicuramente quello che non le doni. E sono tante le cose che non le elargisci: un viaggio insieme, un tetto comune, le cene fuori, l’ozioso girovagare per i negozi del centro. Non hai neppure un’ auto, tanto meno uno scooter. Mollala. Lei ha usato la parola pausa soltanto per garbo. Fallo tu questo passo, apri la gabbia e falla volare via, anche se questo ti farà male. È un atto dovuto, un gesto umanitario, per usare il suo gergo di donna impegnata nel sociale.
Ci penserai stasera, adesso non ti va, non vuoi guastarti questa splendida mattinata di merda con ulteriori pensieri bui.
Ma sì, andrà tutto bene. Il concerto al Forte Fanfulla porterà qualche soldo per l’affitto. Al limite puoi chiedere a Carlo, anche se gli devi trecento euro da un anno.

Sta arrivando Mohamed, è sempre più magro. Era un allegro ubriacone gambiano che si è spento da qualche lustro. Il sorriso, quello non l’ha perso ma la sua allegria si è tramutata in una felicità grave, da mistico. I suoi occhi guardano l’orizzonte anche se stanno fissando te e ti saluta con un sorriso placido. Ha il cancro, sicuramente.
Entri, vai alla cassa, chiedi un caffè. C’è Marguerite, scambi qualche convenevole e, senza saperne il perché, quelle poche parole si trasformano in un discorso sui suoi figli. Le insegnanti le fanno continui richiami su come vestono o sulla lunghezza dei capelli. Allucinante, esistono delle direttive ministeriali che regolano anche queste cose.
Juan, il ragazzo cubano che lavora al banco, ti fa un caffè e maledice il freddo. Parla del suo paese e di come adesso potrebbe starsene tranquillamente in bermuda e maniche corte, ma alla fine decide che è meglio il freddo che Fidel. Gli sorridi ed esci. Torni al freddo, che a te invece piace. Anche Fidel ti piaceva una volta, tre vite fa.
Il tavolo al quale siedi conosce la tua storia ed è il tuo preferito. Ha, a seconda di come ti ci accomodi, la vista sulla strada o sull’intera terrazza. È un tavolo da due posti. Uno era per te, l’altro per Laura. Vi siete conosciuti qui.
La cameriera si aggira tra i tavolini, sembra un gabbiano in una discarica. Svuota i posacenere in una busta di carta, mentre una brezza gelata fa barcollare le foglie del grande ailanto, giù, nel cortile di ghiaia, e tocchi di campana a morto echeggiano lontanissimi come un ricordo d’infanzia. Entra una ragazza mora con il naso smodatamente all’insù, seguita da una donna rumena vestita da uomo, con i capelli da uomo, ma gonfi di phon e di un biondo losco. Poi si avvicina a te la sorella di Jacob, il ragazzo tedesco che lavora al Forte Fanfulla. È una rossa in fiore, avrà al massimo venticinque anni, un sorriso teutonicamente bianco e un intrico di lentiggini sulla pelle bianca del viso. Ti chiede se hai da accendere. È la scusa per un’altra domanda.
«Ma tu stai sempre qui la mattina… Che lavoro fai?»
Le rispondi vago che suoni la chitarra in una band per non morire d’inutilità. Sbuffa una risatella di stima. È affascinata, tipico della sua età, e tu ti senti a metà strada tra un truffatore e un povero gonzo. Abbassi lo sguardo sul giornale per nasconderti, lei di rimando, leggermente piccata:
«Stavi leggendo… ti ho disturbato… Leggi, leggi pure e scusami.»
Se ne va e non hai il tempo di replicare con cortesia ma è meglio così, ti ripugna fare l’ incantatore di signorine. La vedi andarsene di spalle e oltrepassare il cancello di ferro dal quale sta entrando Giorgina. Fa musica elettronica ma consegna volantini da sempre ed è conosciuta più per questa sua seconda occupazione. Non ti ha visto, o forse finge. Si dirige verso il secchione dell’immondizia, vi getta dentro della cartaccia e si allontana. Oltre l’inferriata, una vecchia sparge briciole ai piccioni.
Passa un taxi, poi un furgone bianco. Nel bar entra un uomo sulla sessantina, solo e apparentemente timido. Riesce immediatamente e compone un numero sul cellulare. Si siede a un tavolo, attende una risposta guardando le nuvole agglutinate in un magma spermatico. Poi, con voce inaspettatamente acuta e rauca esclama:
«Pronto? Io sto qui… T’aspetto.»
Un tovagliolo di carta volteggia sulle mattonelle del pavimento per poi scapicollarsi tra i tavoli, mentre più in là una foglia plana su una sedia.
D’un tratto, indiscreto come il demonio, sbuca non sai da dove né come, Aldo. Ora ti racconterà sicuramente la trama di un film di fantascienza o la puntata di qualche serie televisiva americana. È allegro, come al solito.
«Aho, ma che stai a fa’ qui?» ti dice arrampicandosi sulle scale. Fai spallucce e lui continua:
«So’ annato a butta’ un po’ de roba all’ AMA a Ponte Mammolo, ma c’hanno er cancello chiuso co’ le catene. Penza come stamo messi… ‘Na discarica comunale! De fòri ce stavano due che, come ho fermato er camion, me se so’ subito avvicinati, m’hanno chiesto che c’avevo. Erano du’ zingari. Aho, se so’ fatti er borghetto la fòri. Tutte case de mattoni, mica baracche eh, robba in muratura. Ecco, mo a quelli, dico io, perché nun je chiedono i permessi, le licenze e tutta l’anima de li mortacci loro?»
Fai spallucce senza dire nulla. Lui ti guarda come ad aspettare una risposta che tu non gli dai. Vorresti tentare di chiedergli un centinaio di euro. Ma è romano, ti vergogni. Il complesso d’inferiorità burina. Stai quasi per parlare eppure le parole non ti escono. Totalmente bloccato. Finalmente lui storce la bocca, come se avesse annusato una carogna e ti guarda con un misto di disprezzo e compassione.
«Aho, ma che sei morto? Che c’hai er cecio in bocca?»
Prima che tu possa replicare gira i tacchi, dicendo:
«Vabbè, va’, fammene anna’! Te saluto!»
Esce, monta sul suo camion parcheggiato in mezzo alla strada e riparte lasciandosi alle spalle una nube tossica al gusto di gasolio. Sul tavolo, un insetto rosso, piccolissimo come il sangue di una puntura di spillo, si muove zigzagando senza un evidente progetto. Il tuo pollice è su di lui, ma poi decidi che per oggi non sarai il suo destino.

T’infili nel bar, devi pisciare. Sei in bagno. Nella tazza c’è un neo di merda. Gli indirizzi contro il tuo getto fino a cancellarlo. Vittoria. Mentre ti lavi le mani ti accorgi di uno smartphone giallo dimenticato sulla mensola. Ha il simbolo “#” color oro inciso sul dorso. Lo prendi e, quando esci, bum, ti trovi faccia a faccia con la donna del sogno, o perlomeno le somiglia molto. Bionda, occhi azzurri. Molto elegante ma non appariscente. Ha due perle infilate nei lobi. Rimani a bocca aperta come un idiota. Anche lei è turbata e abbassa lo sguardo per nasconderti la sua sorpresa. Al suo fianco un omone coi baffi, bello, alto e biondo come lei. Le domanda con affetto premuroso:
«Zucchero?»
Lei si volta verso il bancone, non prima di averti lanciato un’ultima occhiata, e risponde di no con un cenno del capo. Vai alla cassa e consegni il telefonino a Michele, il cassiere. Lui ride, dandoti del coglione per la tua onestà. Saluti e guardi, aprendo la porta, la donna del sogno. Anche lei ti guarda senza espressione, non ha occhi ha due minerali.
#3
Fabio Biondalzati nasce su Facebook nel 2005 ma nella vita ha tutt’altro nome e un sacco di anni. Punk in adolescenza e in senilità, è stato nel corso della vita, falegname, cuoco e straccivendolo. Ha scritto e diretto 12 spettacoli teatrali e 3 lungometraggi digitali e abusivi. È un gentiluomo coatto e libertarian.