Berat e il Tempio di Dodona.



Berat si trova nell’Albania centrale, sulle rive dell’Osum. Il fiume scorre fra due serie di rilievi calcarei, in una stretta angusta, travalicato dai due ponti, uno dei quali risale al XVIII secolo, considerato il più antico del paese. Inizialmente il ponte era di legno, solo nel 1780, ai tempi di Ahmet Kurt Pasha, fu fatto di pietra. Sulle alture a destra, circondate dal fiume a Sud e ad Ovest, sorge un borgo cinto di mura e dominato da una grande fortezza costruito nell’epoca Illirica, ora in parte diroccata; al piede, si trova il principale quartiere musulmano, caratteristico per il bazar e per le sue case basse e bianche. Berat, oltre a essere chiamata la “città bianca” per il colore bianco delle case, viene chiamata anche la “città dalle mille finestre” perché le case sono situate una sopra l’altra sulla facciata della montagna. Più ad est si allungano vasti sobborghi, mentre al nord, sulla sinistra dell’Osum, si trova il quartiere ortodosso (Gorica – Gorizza).  Lungo il tempo questa città ha avuto diversi nomi come Lefqi, Petra, Antipatra, Pulheriopoje, Beligrad e Berat. A giudicare dai nomi mi sembra inevitabile sottolineare l’importanza di questa città sin dai tempi antichi. La città, conta circa 60 031ab. inclusi i comuni accorpati di Otllak, Roshnik, Sinjëe Velabisht (poco meno dei tre quinti musulmani, il resto greco-ortodossi), oltre a una popolazione fluttuante di Aromuni e a pochi Zingari. È residenza di un arcivescovo greco-ortodosso.

La città fu fondata probabilmente al tempo dell’imperatore Teodosio II (408-450), sul luogo della città macedone Antipatreia (ricordata da Livio, XXXI, 27, nella narrazione della prima guerra macedonica) e nominata Pulcheriopoli; il nome attuale della città è slavo (Bělgrad) e appare nel sec. XIII. Nel 1281 fu assediata da Hugues de Sully, generale di Carlo I d’Angiò; nel 1346 la occupò il re di Serbia Stefano Dušan e nel 1440 i Turchi, dai quali è stata dominata fino al 1912. La metropoli di Berat (Βελεγράδων) dipendeva nel Medioevo e nell’epoca moderna dall’arcivescovato autocefalo di Ochrida fino alla soppressione di esso nel 1767; fu poi sottoposta al patriarcato di Costantinopoli.

Berat è capoluogo di una provincia (3932 kmq. e circa 120.000 abitanti, ossia 30 per kmq.), che comprende, il grande massiccio calcareo del Monte di Tomor che domina maestoso l’orizzonte a oriente della città, con una cima di 2416 metri e una superficie di 4000 ettari, parco nazionale dal 1966. Gli abitanti di tutti i paesini intorno al monte di Tomor lo chiamano abitualmente “Baba Tomor – Papà Tomor”.” in segno di rispetto e gratitudine verso questa entità superiore. Il suo nome è tramandato sin dai tempi antichi, e non ha subito cambiamenti per rispetto verso gli antichi pelasghi/iliriani, nome il quale nessuna influenza umana o religiosa è riuscita a cambiare.

  Negli anni Trenta lo studioso Perikli Ikonomi (1882-1977) cercò di dimostrare con il suo libro “Tomori e la Dodona pelasgica” che il sito del santuario di Dodona si trovasse proprio a Tomor. Il libro è stato autofinanziato dallo stesso autore e stampato in un numero limitato di copie. Ikonomi identifica Il santuario di Dodona con l’antica divinità greca Dione (gr. Διώνη);  moglie di Zeus, venerata al suo fianco nel culto di Dodona; il suo nome è la forma femminile di quello di Zeus stesso e la rivela quindi come dea connessa con il cielo luminoso, sebbene sia anche legata con l’acqua e talora identificata con Afrodite; è madre di Afrodite in qualità di sposa secondaria di Zeus in Omero, quando a fianco di Zeus è ormai stabilizzata Era. Pare che l’autore abbia la convinzione che la Dodona dell’Epiro (quella della montagna Tammaros a Giannina), sia soltanto una copia più recente dell’originale, che invece si trova sulla montagna di Tomor, nella regione che in Albania si chiama Toskëri.

Nell’Iliade si dice che “ .. il centro di culto più antico del mondo pelasgico è Dodona, che si trova a Tomor. Lì ebbe inizio il culto di Zeus, dodoneo e pelasgico”. A giudicare dalle varie fonti, ci sono voci controverse che più o meno finalizzano la stessa immagine, ovvero che i primi templi dedicati agli dei si costruirono sulle cime delle montagne nella penisola balcanica. Lì si recavano fin dalle prime luci dell’alba, le sacerdotesse/i sacerdoti e aspettavano “la nascita del sole”. Lo storico Ikonomi sostiene che la montagna sacra di Tomor veniva considerata l’abitazione del dio dei Pelasgi (Pellazgët), e cioè degli antichi Albanesi. Secondo la sua tesi, il monte Tomor era chiamato mal i të mirit (la montagna del buono) e per questo motivo si diceva e si dice che i buoni, ovvero, le sacerdotesse /i sacerdoti abitavano lassù e i “cattivi” giù nel sottosuolo, ai piedi della montagna, nella città di Berat.

Sul pico più alto di Tomor, in una piccola teqe (santuario) si trova la tomba del fratellastro di Maometto, il bektashi Abaz Aliu (648). Ogni anno, migliaia di pellegrini non solo della religione Bektashi, ma anche pellegrini di diverso orientamento religioso, si ritrovano per festeggiare la festa più importante di tutto l’anno, dal 20 al 25 agosto. In questo periodo dell’anno, in onore di Abaz Aliu, ogni famiglia compra un agnello dai pastori arrivati con il gregge per l’occasione. Il sacrificio dell’agnello è un rito peculiare per questa festa. Infatti, migliaia di agnelli vengono sgozzati da esperti macellai in un apposito macello situato vicino al campo, in un rituale continuo di sgozzamenti che durano giorno e notte, trasformando il campo in un fiume di sangue. La festa non ha una direzione precisa religiosa, si festeggia l’altezza”, il “pico” del Monte, come una elevazione verso qualcosa di indefinito. I bektashi, sono una “setta” sciita (Sufi) dell’islam ed è una enclave che ha resistito al regime in Albania. L’islamismo dei Bektashi è diverso dall’islamismo tradizionale sunnita. Per esempio, il bektashismo consente il consumo di alcol e le donne vivono in una condizione di minor segregazione. L’approccio è più mistico, ponendo enfasi soprattutto sulla relazione spirituale con Allah. Il fondatore di quest’ordine, Haji Bektash Veli, nacque in Iran nel XIII secolo e scrisse la pietra miliare della dottrina dell’ordine, il Makalaat, che si basa su un percorso verso l’illuminazione. Il bektashismo raggiunse l’apice della sua diffusione nel XVIII secolo. I giannizzeri, i ragazzi cristiani costretti a convertirsi all’islam che facevano parte dell’esercito turco, erano seguaci e protettori dell’ordine di bektashi, che fu abolito in molti paesi nel XX secolo. Nella sua base principale, in Turchia, il bektashismo venne soppresso con la violenza negli anni ’20 del governo repubblicano di Ataturk. Nel 1925 il suo quartier generale fu trasferito in Albania, dove dopo la fine della seconda guerra mondiale il movimento fu perseguitato dal regime dittatoriale di Enver Hoxha. All’inizio degli anni ’90 il bektashismo ha conosciuto in Albania una certa ripresa. La sua sede principale e mistica è il pico del Monte di Tomor.



Jonida Prifti, poeta/performer e traduttrice dall’albanese all’italiano e viceversa, nata a Berat (Albania) nel 1982, è emigrata in Italia (Roma) nel 2001. Tra le pubblicazioni: Non voglio partorire…(Alfabeta2);  Ajenk (Transeuropa); il saggio Patrizia Vicinelli. La poesia e l’azione (Onyx); Rivestrane (Selva) etc. Nel 2008, con Stefano Di Trapani ha fondato il duo di poetronica “Acchiappashpirt”. Insieme organizzano, dal 2010, il festival annuale romano di poesia sonora “Poesia Carnosa”.  www.jonidaprifti.com