Ego lift.

Tancredi entra di fretta nell’ascensore del suo condominio. Come al solito è uscito stramaledettamente tardi dall’ufficio e adesso deve correre come un pazzo per non tardare alla cena con Teresina, la sua ennesima conquista. Bionda , alta, con un sorriso disarmante e due gambe che saranno lunghe un chilometro e due, un chilometro e tre. Due gambe così lui non le aveva mai viste prima; eppure di donne con le gambe ce ne sono finite assai nel suo letto. In effetti qualcuna sprovvista di esse non ce l’ha proprio nel lungo elenco di partner che gli hanno tenuto compagnia tra le lenzuola. Si annota mentalmente la cosa, tanto me la dimenticherò sicuramente, stronzo come sono, e mentre pigia il pulsante con il numero 4 e pensa a cosa indossare per la serata, arriva a tutta velocità, si anche più in affanno e affrettata di lui, Marilisa; la splendida Marilisa (soprannominata La Marcuzzi, data l’incredibile somiglianza con la conduttrice televisiva). I due flirtano da quando si conoscono ma non hanno mai concluso nulla, nemmeno una lettera, una carezza, un bacio…Beh, la faccia di Tancredi sembra proprio dire: ma cazzo! Tu proprio adesso dovevi arrivare? Già sono in ritardo… Se poi c’è una cosa in cui non è affatto bravo, non è l’unica in effetti, è proprio quella di mascherare qualcosa che gli dia fastidio. I suoi occhi dicono tutto. Marilisa sembra accorgersene e, dopo aver premuto il pulsante corrispondente al suo piano, il secondo, lo guarda e, fingendo di essere offesa ma col fiato spezzato dalla corsa appena sostenuta gli dice: “scusa se ho disturbato la tua salita solitaria. Non era proprio mia intenzione. Siamo di fretta? Andiamo da qualche parte?” E a questo punto prende un lungo respiro per rifiatare.

‘Siamo chi? Andiamo chi?’ Questo è ciò che vorrebbe chiedere, ma non lo fa, rispondendo semplicemente, ed ancora un po’ stizzito: “in effetti…” Prova però subito a tornare sui propri passi: che figura da coglione che ho fatto. Ma ovviamente lo tiene per sé, tanto è risultato palese ad entrambi. “Ho finito tardi in ufficio come ogni mercoledì e adesso devo fare tutto di fretta, e io odio fare tutto di fretta”.

A Marilisa scappa un sorriso e, gesticolando con la mano si scusa.

“Perché stai ridendo?”

“Beh, perché sei buffo.” Il nostro eroe diventa rosso come un peperone, anzi, molto di più. E’ diventato esattamente di quel colore lì. Se ne accorge ma non riesce proprio a evitarlo. Lei è l’unica persona al mondo che sia mai riuscita a metterlo in imbarazzo. In questo momento lui è senza difese e potrebbe dargli il colpo finale, quello del KO. Stordirlo con un destro al mento. E invece che fa? Continua a civettare come se godesse nell’averlo messo all’angolo, (come se?!? no no, gode eccome e anche parecchio).

“E sei anche tenero quando ti imbarazzi”. ‘Gesù bambino, Giuseppe, Maria e chiunque altro faccia compagnia ai ragazzi! Ma come posso essere così idiota un’altra volta? Ci sarebbero alcuni che venderebbero l’intera famiglia per essere dentro a questo ascensore con una sventola del genere ed io divento rosso come un cretino. Mi sembra di essere tornato alle elementari.’ Ripetendoselo solo nella sua testa, all’interno di essa improvvisamente riaffiorano i ricordi di quando era piccolo e di quanto amasse il disegno. Il suo sogno era sempre stato quello di diventare un pittore, poi qualcosa non ha funzionato. Aveva questa grande passione per i colori; a casa non guardava la tv e non giocava con la Playstation come tutti i suoi altri compagni, ma passava interi pomeriggi a disegnare. Suo padre scherzava sempre con la moglie dicendo che il loro bambino gli costava più in pastelli e pennarelli che in cibo. In effetti l’edicolante sotto casa a quei tempi aveva anche comprato una Porsche Carrera che, visto il ‘normalissimo’ lavoro che svolgeva, non poteva certo permettersi. Il papà di Tancredi era convinto di aver partecipato quantomeno per il venti percento all’acquisto di quello splendido esemplare di auto. Qualche anno più tardi la polizia trovò Ferdinando, l’edicolante, morto ammazzato in un bosco. Saltò fuori che l’uomo era a capo di un’organizzazione criminale.

“Ehi, tutto bene?” è la Marcuzzi a riportarlo improvvisamente al qui e oggi. L’ascensore si è mosso e lui non se n’era nemmeno accorto.

“Si, scusami. Stavo solo riflettendo su come vestirmi” mente, non sapendone nemmeno il motivo. “Sai, giusto per guadagnate un po’ di tempo.” e sorride convinto di essersela cavata.

“E così abbiamo un appuntamento con un’altra amichetta anche questa sera.” commenta sarcastica ma con un filo di gelosia nella voce che Tancredi non può proprio non cogliere. E’ palese. Se ne accorgerebbe anche l’uomo più stupido del pianeta; e  lui non è certo l’uomo più stupido del pianeta, infatti, lusingato dall’esternazione appena fatta dalla sua compagna di viaggio la guarda con l’idea di partire all’attacco, ma appena gli occhi di lei incrociano i suoi, il castello cade miseramente e il suo viso torna a colorarsi, questa volta con una tonalità che tende più al bordeaux. Di conseguenza le parole che gli escono dalla bocca risultano parecchio confuse ed anche incomprensibili.

“Behgraddr…” questo è il primo suono che emette la sua voce.

“Scusa?” ribatte lei divertita.

“No, scusa tu. In questi giorni ho un po’ di mal di gola e quindi…” prova a salvarsi lui quasi senza speranza. “In realtà sarebbe una cena di lavoro con questa cliente abbastanza importante e sono costretto ad andarci.” mente ancora spudoratamente e senza vergogna augurandosi, e si sta chiedendo anche il perché, che lei ci creda. E, quello che, inizialmente avrebbe dovuto essere l’attacco perfetto di un latin lover navigato, si trasforma in un misero tentativo di difendersi con l’altissima possibilità di venire sconfitto senza nemmeno riuscire a salvarsi. Io non le devo alcuna spiegazione. Chi è lei per me? La mia fidanzata? Mia mamma? La mia babysitter? Perché diavolo mi sto giustificando? Tutte le domande che in brevissimo tempo gli sono passate per la testa dopo averle risposto in maniera tanto goffa.

“Una cliente eh?” lo incalza nuovamente lei. “Ma è la stessa che è venuta a casa tua venerdì, oppure quella che è passata sabato?”

Cazzo! Ma cosa fa, l’investigatore privato? Adesso ti sistemo io Sherlok Holmes dei miei coglioni!

“Ma sbaglio o qualcuno qui dentro è geloso?” Chiede gonfiando il petto e trovando all’improvviso un coraggio che aveva lasciato sul sedile della macchina ad aspettarlo. Sperando si sia ricordato di abbassargli il finestrino per concedergli almeno il lusso di respirare un po’. “E se proprio devo essere onesto” continua galvanizzato dal momento positivo che è riuscito a costruirsi, “tra i due, quella persona non sono proprio io” mancava anche un pappappero e poi lo sfogo da bambino dispettoso sarebbe stato completo.

Marilisa, in un primo momento, si fa seria quasi come se avesse accusato il colpo; lui lo percepisce e dentro di sé riesce a sentire un piccolo moto d’orgoglio. Allora ci riesco anche con lei; sarà mica stato così difficile. Perché mai c’ho messo così tanto? E mentre la sua convinzione galoppa trionfalmente stringendo la mano ad una sicumera mai avuta prima in presenza di questa splendida donna, lei gli si avvicina appena; le sue mani, le sue gambe, il suo viso, tutto il suo corpo è a tre, massimo quattro millimetri da quello di Tancredi…E le basta avvicinare le labbra al suo orecchio e bisbigliare semplicemente: “credi davvero che possa essere gelosa di una ragazzina?” con una voce talmente sensuale che lui è convinto di non capire più nulla e non essere presente in quel luogo. Come faccio a restare in piedi? Queste non sono le mi gambe. Stavolta non ha nemmeno la forza per diventare di un qualsiasi tipo di colore. Si sente devastato, completamente in confusione, spaesato; ma, allo stesso tempo, incredibilmente eccitato.

Se girasse la testa in maniera impercettibile le sue labbra si potrebbero posare magicamente su quelle della Marcuzzi. Ha però solo il tempo di ruotare gli occhi verso di lei per vedere se ha, oppure no, il coraggio di fare la prossima mossa e spingersi oltre senza più tornare indietro. Non fa nemmeno in tempo a fantasticare sul dopo perché, nello stesso istante in cui sta per spostare completamente il suo corpo, l’ascensore di colpo si blocca emettendo un frastuono tremendo. Marilisa si aggrappa a lui che, contro ogni legge della fisica, riesce miracolosamente a restare in piedi e a tenere in equilibro anche colei che, fino a pochi istanti prima, era stata in grado di portarlo su un altro pianeta.

“Stai bene?” le chiede con aria preoccupata spostandole delicatamente i capelli dal viso.

“Si, almeno credo.” Risponde ancora frastornata. “Ma che cos’è successo?” prosegue restando abbracciata al suo cavaliere.

“Questo maledetto si è bloccato!” esclama lui cercando di non mostrarle quanto si stia innervosendo. Questo cazzo di ascensore! In questo cazzo di palazzo! Lo sapevo che non ci sarei mai dovuto venire a vivere. E’ pieno di vecchi rincoglioniti, puzzolenti e sordi che guardano la televisione col volume che sembra di essere in curva allo stadio. E, in un palazzo così, dove ci siamo io e la Marcuzzi che abbassiamo drasticamente l’età media a credo settantacinque anni, vuoi che possano fare dei lavori per rimodernare tutto il circo? No!

Questa è la vera risposta che avrebbe voluto darle in quel momento, ma ovviamente non può farlo anche perché lei sembra ancora spaventata e sta a lui non farla andare in panico. Solo in quel momento, pensando a come gestire al meglio la situazione, si accorge di aver dimenticato di avvisare Teresina, così gli viene in mente di prendere tra le mani il cellulare per scriverle informandola su quello che gli è appena accaduto e che tarderà sicuramente, chissà quanto. Per fare questo però deve scostare il corpo di Marilisa visto che il telefono si trova in tasca.

“Va un po’ meglio?” le chiede spostandosi un pochino e guardandola in viso. Certo che è proprio bellissima! Anche questa volta è un pensiero che rimane solo nella sua testa.

“Mi sembra di si.”

“Vuoi provare a stare in piedi da sola per vedere se ce la fai?” questa è l’unica scusa che ha per poter recuperare il cellulare.

“Certo. Dovrei farcela, tranquillo. E grazie eh.”

“Grazie per cosa?”

“Beh, per avermi tenuto in piedi e non avermi fatto battere la testa. Sei stato… molto dolce.” E quel ‘molto dolce’ lo dice abbozzando un sorriso che lascia Tancredi senza fiato. Ancora una volta.

E’ un sorriso che gli ribalta le budella, che gli fa scoppiare il cuore, che, anche solo per pochi istanti, gli fa dimenticare ogni altra donna esistente sul pianeta terra; un sorriso che ti stende, di quelli che non potrai mai più dimenticare. Di quelli che ti porti nella mente, nel cuore, nell’anima, sotto la pelle e che ti farà compagnia nelle giornate più buie, quelle in cui sei giù e nulla va come dovrebbe. Proprio in quelle giornate ripenserà a questo attimo indimenticabile, a questo stramaledetto ascensore bloccato, che tanto stramaledetto forse non lo è nemmeno più, ripenserà alla Marcuzzi che, con questo sorriso tanto semplice, lo ha completamente conquistato. Ma com’è possibile che io non ci abbia mai provato seriamente? Per l’ennesima volta il dialogo avviene solo nella sua mente e non si ferma certo qui. Io per una così farei follie. E sarei un folle, appunto, a non farle. Se me lo chiedesse andrei dall’altra parte del mondo a prenderle un bicchiere d’acqua, farei il cammino di Santiago bendato e camminando all’indietro, la accompagnerei al centro commerciale di domenica dopo aver pranzato con i suoceri; magari con i suoceri che mi stanno pure sui coglioni. Insomma per una così sarei disposto davvero a tutto, se me lo chiedesse. Chiedimi qualsiasi cosa, chiedimi qualsiasi cosa, chiedimi qualsiasi cosa…

“Che fai?” le chiede tornando improvvisamente al presente vedendola studiare il pannello con i pulsanti.

“Sto cercando se c’è un numero per le emergenze, ma mi sembra proprio che siamo fregati. Non trovo nulla.”

 “Ecco, ci mancava anche questa. Resta solo una cosa da fare arrivati a questo punto.” prosegue Tancredi guardando anch’egli il pannello. “Dobbiamo schiacciare la campanella. Magari qualcuno la sente e chiama i soccorsi.”

“Hai ragione. E’ l’unica cosa sensata da fare.” gli fa eco lei. “Premo io?”

“Ma certo signorina.” le risponde cavallerescamente e mimando un inchino assai improbabile. “A lei l’onore.”

“Che scemo” lo punzecchia lei divertita dalla situazione. Fino a pochi secondi prima era completamente terrorizzata, ed ora invece… E’ incredibile quanto certe persone, nonostante il contesto non sia affatto dei migliori, riescano a farti sentire leggera e a tuo agio. Quasi ti dimentichi della situazione delicata che stai affrontando.

“Driiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiin.” il suono della campanella si sente forte e chiaro; talmente forte che probabilmente si sono allarmati anche in Norvegia.

“Se non diventiamo sordi oggi guarda…” esclama lui tappandosi le orecchie.

“Cos’hai detto?” gli chiede lei gridando e facendo segno con le mani di non aver capito.

“Ho detto che se questa campanella va avanti a suonare così forte diventeremo sordi a breve. Speriamo arrivi in fretta qualcuno.” Cazzo! Io non ho ancora scritto a Teresina e chissà che ore sono. I discorsi con se stesso procedono che è uno spasso. In effetti, estraendo il cellulare dalla tasca e guardando i numeri sul display, si accorge di essere davvero in ritardo. Dovrei essere al ristorante con lei tra sette minuti e tu pensa…Sono ancora bloccato in questa merda di ascensore che ha fatto la guerra con mio nonno, devo ancora farmi la doccia, vestirmi e raggiungerla in un posto a venti chilometri da qui.

Non prende. Nella concitazione del momento, in questa situazione grottesca, si è dimenticato che all’interno dell’ascensore del palazzo in cui vive il telefono non ha mai dato alcun segno di vita. Elettrocardiogramma piatto. Morto. Fine. Kaput. A mai più. Si ritrova, per l’ennesima volta in pochissimi minuti, a maledire se stesso, il suo lavoro che non gli permette di avere più tempo libero, il suo capo che è uno stronzo megagalattico, sua madre che l’ha partorito, Babbo Natale, chiunque; ne avrebbe davvero per tutti.

“Perché non ho fatto le scale?” questa volta qualcosa non va per il verso giusto e le parole, invece di restare solo nella sua testa, escono di getto, senza che lui riesca a controllarle.

“Wow.” risponde seccata lei guardandolo con quell’aria che ha un bambino quando gli si nega il cioccolato. “Sono davvero dispiaciuta che la compagnia non sia di tuo gradimento.”

“No dai scusa.” prova a giustificarsi. E le scuse non rientrano affatto nei suoi punti di forza. “Hai capito cosa voglio dire. Parlo della situazione in generale in cui ci troviamo. Non volevo di certo offenderti.” Un po’ meglio, ma ancora non ci siamo. “Mi sembra di aver capito che anche i tuoi programmi fossero altri e non rimanere bloccata in ascensore con un perfetto idiota.” E via con la carta dell’autocommiserazione.

“Se la tua idea era quella di sentirti rispondere ‘guarda che non sei un idiota’ non la riceverai sicuramente da parte mia.” Lo punzecchia non riuscendo a trattenere una piccola risata. “Guarda che sto scherzando. Non ti offendere.”

“Non mi sono offeso, figurati.”

“In realtà la tua faccia sembrerebbe dire altro ma faccio finta di crederci.” Beccato in pieno. Non è mai stato un bravo attore; i suoi occhi, le sue espressioni, tutto il suo viso parla più della sua bocca. E, la maggior parte delle volte, lo fanno anche molto meglio. “Davvero. Non mi offendo per così poco.”

“Ti ho già detto che farò finta di crederci.” e gli fa l’occhiolino. “E comunque voi maschietti siete proprio terribili. Nascete già permalosi. Che cosa c’è che non va in voi? A parte…Tutto intendo. Aiutami a capire.”

Crisi totale, profonda, assoluta. Questa è matta! Si possono chiedere certe cose? In questo momento poi?!?

“Tranquillo. Era una domanda retorica; non c’è bisogno che tu risponda. Ormai ho perso le speranze da molti anni con voi.”

Salvo. Un vero miracolo. Qualcuno deve aver per forza guardato giù. Nella sua testa si erano già aperte varie opzioni: come ad esempio forzare le porte dell’ascensore e lanciarsi nel vuoto, oppure fare un biglietto per una destinazione improbabile tipo l’Iraq o il Congo e non farsi trovare mai più. Ipotesi assai improbabile data l’assenza di rete. 

Il suono della campanella di emergenza continua incessante ma sembra che i due nemmeno ci facciano più caso. E’ già diventato un sottofondo, fastidiosissimo per carità, ma che tiene loro compagnia; un po’ come quando si vive vicino ad una discarica e, quando si esce da quella zona l’aria è pulita, ma la quotidianità è altro, ovverosia la puzza nauseabonda a cui però ormai ci si è abituati. Terribile, micidiale, devastante l’abitudine. Quante persone vivono la propria vita senza mai cambiare il piatto da ordinare al ristorante il sabato sera, strada per andare a lavorare, modo di vestire, di agire, di pensare…Non cambiano la persona con cui stanno, anche se non l’amano più, per la paura di abbandonare il certo, la solita routine, la facilità e la tranquillità di tornare a casa e ritrovare qualcuno, che magari, nel frattempo è diventato uno sconosciuto, con cui sfogarsi, parlare, ridere, scherzare ma senza davvero volerlo? Tutto questo per cosa? Per avere questa vita monotona, finta, “povera” e triste sacrificando un elemento fondamentale e sacro che è la felicità. Valore che dovrebbe regnare sovrano all’interno di ogni essere umano.

La felicità è un’emozione che al momento è molto lontano dal provare Tancredi. Dopo aver scampato per un pelo la domanda scomoda della Marcuzzi cerca, in maniera molto impacciata, di dare un’ennesima occhiata al telefono per controllare l’ora.

“Qui non prende. Non la puoi avvisare.” esclama lei con aria molto disinteressata.

“Come scusa?” finge di non capire e ottenendo il solito risultato disastroso.

“Ti dicevo che è inutile tentare di usare il telefono qui dentro. Non puoi farci nulla; mi dispiace.” Il fatto che sia dispiaciuta sembra decisamente confutabile ma è comunque molto più sveglia e abile di lui a nascondere le proprie debolezze.

“No, è che volevo vedere se si poteva provare ad avvisare qualcuno.” E questa quando ci crede? Perché mi infilo sempre in questi pasticci raccontando tutte queste cazzate? Non lo facevo neanche con mia mamma alle superiori quando al posto di andare a scuola facevo quegli scioperi con i comunistoni rasta che non si lavavano da mesi…Solo per evitare qualche interrogazione o comunque per fare poi il figo con gli altri compagni che invece si presentavano in classe e che chiamavo “schiavi del sistema”, “inetti”, “lecchini”, “crumiri”. Termini che naturalmente sentivo durante le manifestazioni in piazza di cui, nel 99 per cento delle volte non ci capivo proprio nulla, ma vuoi mettere avere nel curriculum tutte quelle assenze per quelle battaglie a cui non ho mai creduto? Ai tempi pensavo di essere doppiamente furbo, col tempo ho capito che invece ero doppiamente coglione. Una volta addirittura, quando ero in seconda o in terza, nemmeno ricordo, arrivato davanti all’istituto poco prima della prima ora, qualche ragazzo di quinta stabilì che quel giorno sarebbe partito uno sciopero. Motivo? Willy il coyote non riusciva mai a prendere Bip Bip e questa, secondo loro, era una vera e propria ingiustizia. Io feci un rapidissimo esame di coscienza e, in quei tre secondi che mi ci vollero per analizzare la situazione, capii che sarebbe stato da veri codardi non schierarsi dalla parte del vecchio Willy. Insomma, a pensarci bene quel coyote si è sempre fatto un culo così per prendere quell’altro essere antipatico, che tra l’altro non si capisce nemmeno che razza di animale sia, a cui la natura ha donato tutto: bellezza, qualsiasi animale sia è comunque bello, intelligenza, furbizia. Le ha tutte lui. E all’altro cosa è rimasto? Nulla; tenacia, coraggio e costanza nel cercare di acchiappare un qualcuno che sa che non sarebbe mai riuscito a catturare. Che poi è una splendida metafora della sua stessa vita: avrei tanto voluto essere lui, ma per quanto impegno, grinta e voglia ci metta, così non lo diventerò mai. Che ci facevo ancora nel giardino della scuola? Dovevo schierarmi dalla parte del più debole; solo i vigliacchi non lo fanno. E quindi decisi di seguire la protesta allontanandomi da quell’istituto che non aveva voglia di combattere accanto a me e a pochi altri le ingiustizie della vita. Peggio per voi! Noi scioperiamo.

E questa sentitissima e rivoluzionaria protesta dove mai sarebbe potuta finire se non al bar a poche centinaia di metri di distanza dalla scuola? Quei cazzutissimi nonché ribelli ragazzini viziati che, ad un soffio dall’inizio delle lezioni, inventarono la scusa più banale del mondo per mettere in piedi uno sciopero che durò meno dello stesso ragazzino alla sua prima avventura sessuale con la più bella dell’istituto. Che amarezza. A pensarci oggi poi che cosa ci guadagnavano i proprietari di quei locali da noi? Magari ci presentavamo lì in cinque o sei ad occupare due tavoli per l’intera mattinata e le consumazioni erano in media sui dieci euro. Dei caffè, misere bottigliette d’acqua, se gli andava bene magari partiva qualche ordine folle che conteneva una Coca-Cola. Una vera miseria per poi assistere a scene di degrado di cui avrebbero fatto molto volentieri a meno.

“Vuoi sapere una cosa?” è nuovamente lei a riportarlo alla realtà.

“Certo che voglio.”

“Quando prima mi hai vista arrivare di corsa…” e si ferma per un attimo a fissarlo, spostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, forse per la prima volta con un velo di imbarazzo a farle compagnia. “si insomma non è che fossi proprio in ritardo.”

“Ma..?” la invita Tancredi a proseguire con un gesto plateale.

“Ma…Avevo solo voglia di passare un minuto con te in ascensore.” E quel minimo imbarazzo che sembrava l’avesse avvolta pochi istanti prima sparisce come se non fosse mai esistito per lasciare nuovamente spazio alla donna intraprendente che è realmente. Gli si avvicina ancora con un espressione talmente sexy da stordirlo, lui non capisce più nulla e, molto probabilmente, se in questo momento qualcuno glielo chiedesse, non saprebbe nemmeno dire quale sia il suo nome.

La Marcuzzi invece gli è talmente addosso che potrebbe contargli i peli della barba e anche le innumerevoli lentiggini che gli spuntano sul viso quando prende il primo sole estivo. Molte donne che l’hanno frequentato, quelle che hanno avuto la (s)fortuna di stagli accanto per più di qualche giorno, le hanno sempre trovate sexy. Parola loro.

Tancredi cerca di trovare il coraggio che fino a questo punto gli è mancato e, con dei movimenti quasi impercettibili, sposta leggermente il suo viso fino ad incrociare lo sguardo meraviglioso, magnetico e incredibilmente erotico di Marilisa. Adesso lei lo stuzzica, prima avvicinandosi al suo orecchio e respirando all’interno di esso e poi staccandosi delicatamente; con il naso gli sfiora il collo arrivando a farlo praticamente impazzire ma, non si capisce come, lui è bravo a non cedere alla foga. La foga, in momenti come questi, rovinerebbe sicuramente tutto; farebbe sparire la magia che si è creata e che non si può certo cancellare facendo una stupidata da quattordicenne. Riesce a restare impassibile lasciando la conduzione del gioco a lei; ma è un’impassibilità difficilissima da gestire dato che l’eccitazione e il desiderio nei confronti della Marcuzzi crescono ad un ritmo vertiginoso. In questo momento, pensa tra sé, si farebbe fare più o meno di tutto. In quell’ascensore, lei adesso, potrebbe davvero fargli o chiedergli qualsiasi cosa, e lui non avrebbe modo di opporsi. Le loro labbra sono talmente vicine che la logica conseguenza è lo sfioramento inevitabile delle stesse. Mezzo millimetro di movimento da parte di lei, un altro mezzo da parte di lui…Ed un sobbalzo tremendo li scuote improvvisamente facendoli rimanere in piedi, un’altra volta, per miracolo. Ci stiamo muovendo cazzo! Questo schifoso ascensore è ripartito. ADESSO! Tancredi vorrebbe urlare, prendere a calci qualcosa, tirare pugni nel vuoto, maledire il mondo intero, ma si deve necessariamente contenere.

“Finalmente si è deciso” è lei, tornata composta con una rapidità eccezionale, a parlare.

“Già, per fortuna.” ma il disappunto sul suo viso è palese.

Le porte dell’ascensore si aprono mostrando loro il secondo piano, quello di Marilisa.

“Grazie per la compagnia. Sarà difficile dimenticare un’avventura del genere.” E senza nemmeno lasciargli una possibilità di replica appoggia il dito indice sulle sue splendida labbra carnose, e poi lo sposta su quelle incredule, immobili e sognanti di lui. Il tempo di tirare indietro la mano e le porte tornano a chiudersi lasciandolo trasecolante.

Adesso è solo e può finalmente lasciarsi andare sedendosi stordito e, con la schiena appoggiata e lo sguardo perso nel vuoto rimugina, senza riuscire a darsi tregua, su ciò che gli è appena accaduto. La donna più sexy del pianeta ha flirtato spudoratamente con me all’interno di un ascensore che, ad un certo punto, si è pure fermato. Sarebbe potuto accadere di tutto e nessuno, a parte noi due (e credo i miei amici, e qualche parente, quelli dell’ufficio no? E tutto il resto del mondo? Chiunque avrebbe dovuto sapere quello che era successo con la Marcuzzi in questo ascensore), sarebbe mai venuto a conoscenza dei fatti. Invece io, che mi spaccio per un super iper mega fantasmagorico latin lover di sta grandissima ceppa di minchia cosa ho pensato bene di fare? La mozzarellina. Innocuo, debole, vile, codardo, un perfetto idiota. E poi questo aggeggio infernale inventato da chissà chi si blocca e, sul più bello che fa (fa…nculo mi verrebbe da dire)? Fa che riparte quando non deve; quando io ero riuscito a svegliarmi, alla buon’ora tra l’altro, questo è tornato a funzionare. Siamo inversamente proporzionali. Ecco, questo potrei scrivere sui miei profili social; dove tutti scrivono cose del tipo “la vita è fantastica”, “il sole bacia i brutti perché i belli li bacian tutti”, “chi non risica non rosica” e un sacco di altri aforismi citati a sproposito e, sempre e comunque affibbiati ad Einstein…In effetti tutte le volte che c’è una citazione profonda e intelligente il virgolettato è suo. Va bene che era un genio assoluto ma, che a prescindere, gli venga attribuita gratuitamente ogni frase epica mi sembra anche un po’ troppo. Probabilmente è lì nella tomba che non sa neanche più ciò che realmente ha affermato e cosa no. Si, comunque dove tutti scrivono queste frasi ad effetto meravigliose, io ci scriverò in maiuscolo e grassetto: “INVERSAMENTE PROPORZIONALE AL FUNZIONAMENTO DI UN ASCENSORE!”

Le porte tornano ad aprirsi ma Tancredi non realizza subito di essere arrivato al suo piano; solo quando stanno per richiudersi riesce a torna nel mondo vero alzandosi di scatto e scoprendo che ha davanti a sé la vedova Frasconi, che ha rinominato dopo soli due giorni che viveva sul suo stesso piano “La Frasconirompicoglioni”, ferma immobile che lo fissa con aria di sdegno. Quasi come a dire: “guarda tu i giovani d’oggi come sono ridotti!”

Tancredi la saluta un po’ imbarazzato ma lei non lo calcola proprio e, con la testa alta e l’espressione seccata entra in ascensore schiacciando il piano terra.

“Sta stronza!” commenta cercando nella tasca dei jeans le chiavi di casa. Ma poi, una serie infinita di suoni, gli ricorda che, con tutto quello che gli è appena accaduto, si è dimenticato di qualcosa, anzi di qualcuno.

“Bip”, “flap”, “Sgnik”, “Boing boing”, “Firulì firulà”, “Trallallero trallallà” e migliaia di altri effetti sonori simili a questi gli evocano solo un nome: “Cazzo, Teresina!” esclama colpendosi la fronte con il palmo della mano destra forzando anche con troppa esagerazione tanto da farsi leggermente male. “Se non mi uccide stavolta non lo farà mai più”. Se la vedova Frasconi fosse stata ancora presente e lo avesse visto discutere così animatamente con se stesso di fronte alla porta della propria abitazione, probabilmente avrebbe chiamato i carabiniere facendolo portare via. Per sua fortuna è tutto solo e, una volta entrato in casa cercando di togliersi in tutta fretta i vestiti, legge il primo di una serie interminabile di messaggi, accompagnati da altrettante chiamate perse, sempre su Whatsapp. Dopo un iniziale e semplicissimo “Tutto bene?”, segue un “Sei vivo?”, poi un “Dove sei finito? Ti sto aspettando da dieci minuti (faccina cattiva)”…Da qui in poi le parole più dolci che appaiono nei successivi messaggi sono “sei una merda”. Superati poi i “Non mi vedrai mai più”, e “Mi avevano messa in guardia da quelli come te”, Teresina chiude con un delicatissimo e sobrio “E poi non scopi neanche così bene, stronzo!” che sa tanto di persona leggermente ferita.

Solo a questo punto Tancredi si ferma, sedendosi sul divano e cercando di rimettere in ordine le idee, che, al momento, gli sembrano ancora parecchio confuse.

“Stamattina sono uscito di casa e avevo un appuntamento con Teresina. Più o meno come era successo abbastanza spesso nelle scorse settimane; adesso che ci penso, la ragazza ha resistito molto più di tante altre. Ultimamente sembrava davvero che fossero tutte fuori come dei balconi. Lei rientrava senza problemi nella categoria “quasi normali”; quasi perché usciva con me, naturalmente. Poi che succede? Nei dieci appuntamenti in cui ci saremmo dovuti vedere, non mi sono presentato almeno a cinque, e altrettante volte sono arrivato in ritardo…Mi chiedo come abbia fatto a non mandarmi affanculo molto prima. Io l’avrei fatto. Poi succede che esco tardi dall’ufficio, provo a recuperare ma c’è una bella sorpresa ad attendermi: l’ascensore di questo fantastico palazzo si blocca. E non rimango chiuso lì dentro con la signora Fasconirompicoglioni o una delle altre vecchie che vivono qui, no; ma con quello straordinario essere, quella dea, quella preziosa meraviglia della Marcuzzi. Quindi a un certo punto, pensandoci in maniera lucida adesso che sono comodamente seduto sul divano, avrei potuto addirittura avere tra le mie braccia prima lei e poi Teresina. Due nel giro di quanto, tre, quattro ore? E invece ora sto qui solo con il cellulare in mano e una birra calda visto che stamattina, prima di uscire, mi sono dimenticato di mettere la confezione in frigorifero. E si sa, bere la birra calda è più grave di bestemmiare in una chiesa piena di gente durante il Padre Nostro. E le due sventole invece che tra le mie braccia adesso dove sono? Solamente nei miei pensieri; e lì resteranno per il resto dei miei giorni.


Matteo Zolla ama scrivere ed ha iniziato a farlo seriamente solo pochi anni fa. Ha gestito un blog sul calcio e collaborato con alcune testate giornaliste in rete. Autore di due libri: Ciao randagio, come stai? (edito da Segni e parole); ed il secondo è un romanzo dal titolo Ciancianese Football Club (edito da Giovane Holden) in cui a fare la voce grossa sono le esistenze complicatissime di personaggi alquanto disperati. Ha recentemente avviato un podcast.