Intervista a DJ Brush.

Dj Brush è un dj di Roma attivo dalla seconda metà dei 2000. Ha prodotto beats per tanti progetti romani e non, militato in diversi collettivi, collaborato con diversi beatmakers. Abbiamo fatto due chiacchiere per conoscere meglio la storia di un dj che avete spesso già sentito live e su disco. Brush ha infatti suonato accanto ai migliori rapper e dj internazionali e prodotto beats micidiali per il collettivo DEC, per il suo gruppo Fool Effect e, attualmente, per il collettivo di beat makers Beat’s Taylors.

Ciao Brush. Allora, con la prima rompiamo il ghiaccio, questa te l’aspetti: primo contatto con l’Hip Hop? C’era già musica in casa da te nell’infanzia?

Ciao! Grazie intanto per l’occasione, sono davvero emozionato!

In casa mia da piccolo non c’è stata molta musica, perciò il primo contatto con l’hip hop è stato tra gli 11 e i 12 anni tramite i graffiti che mi hanno accompagnato a lungo. La musica è arrivata subito dopo, ricordo la folgorazione di vedere un videoclip in TV in stile DasEfx (potevano benissimo essere proprio loro) in cui c’erano i graffiti e il dj che faceva delle cose, inspiegabili per l’epoca, con i giradischi.

Da lì in poi è “partita la nave” e ogni disco o informazione che potevo reperire era preziosissima, volevo conoscere anche i nomi degli animali domestici dei membri dei gruppi che ascoltavo!

Sono passati, quasi per fortuna, quasi dieci anni prima che mi approcciassi attivamente a cercare di fare musica, questo mi ha permesso di costruire un forte senso autocritico e avere le idee piuttosto chiare sull’immaginario musicale che volevo sviluppare.

Primissima traccia prodotta?

Fortunatamente non credo sia presente da nessuna parte e penso sia rimasto un provino! Era un pezzo con N.Vibe in cui lui per la prima volta rappava e io forse avevo iniziato da due/tresi a fare beat, una cosa abbastanza oscena che abbiamo fatto solo perché siamo amici fraterni da quasi venti anni.

Il primo pezzo invece disponibile credo sia “quattro quarti de bue” con i DEC che è venuta un paio di anni dopo.

Dunque, tu hai partecipato a moltissimi progetti, cerco di metterli in fila e magari mi correggi. Io ti associo subito ai Fool Effect, ma credo che prima tu collaborassi coi ragazzi di DEC, è giusto?

In realtà il primo contatto è stato con P-zo dei “proto” Fool Effect. In quel periodo però frequentavo una serata periodica in cui conobbi i DEC che già lavoravano al loro primo mixtape. Inutile dire che siamo diventati subito amici e mi colpì tantissimo la loro romanità e veracità. Tutt’ora continuiamo a fare musica insieme e ne sono davvero felice.

Fuori dar Centro invece? Come nacque?

Conobbi anche loro durante una delle serate periodiche di cui sopra. Loro erano già formati e li ammiravo molto, si davano molto da fare. Siamo diventati amici fraterni ma è passato diverso tempo prima di iniziare a fare musica insieme. Hanno cambiato formazione diverse volte e il fatto che venissero a registrare nello studio di Fuji che frequentavo e, in cui poi ho iniziato a lavorare, ci ha fatto stringere tantissimo.

C’è sicuramente da dire che andare a suonare con Ramy e Fuso ti fa dimenticare tutte le ansie da prestazione e lascia spazio solo a risate memorabili, in più sul palco e davanti al microfono sono davvero formidabili.

Arriviamo ai Fool Effect. Ti faccio subito la domanda scontata: come è nata l’idea di rappare in inglese?

L’idea di rappare in inglese non è stata propriamente un’idea, non ricordo nemmeno se ce lo siamo mai detto in realtà, è successo.

Io e P-zo avevamo degli ascolti molto simili, eravamo perfettamente allineati su quali fossero i dischi che ci piacevano di più e perciò ci ispiravamo direttamente a quello, inoltre quando lo conobbi aveva già iniziato a formare il progetto Fool Effect con il rap in inglese. Il passo immediato è stato includere subito N.Vibe che già rappava in inglese e quello successivo di includere Clas k un paio d’anni dopo, col quale era scattata immediatamente la magia che scattò con P-zo.

Il suono era veramente avanti per Roma, sicuramente in linea con quello che usciva negli Stati Uniti (e SECONDO ME con quella ripresa del boom-bap che stava facendo il giro Yogocop Records di Londra). Come è stato recepito da Roma quel progetto?

Innanzitutto ti ringrazio di cuore.

Apro con un’autocritica: noi abbiamo fatto del nostro affinché non fosse propriamente recepito. Eravamo purtroppo legati ad un’idea molto romantica di album e ci siamo occupati veramente poco della promozione, abbiamo lavorato solo sulla sostanza.

Questo ha fatto si che sia stato poco recepito a Roma e più in generale in Italia, però ci ha permesso di affacciarci a panorami internazionali come l’Hip-Hop Kemp in Repubblica Ceca, una delle esperienze che porteremo per sempre nel cuore.

Voi avevate un suono come quello che stiamo descrivendo in anni in cui le cose andavano in diverse direzioni, forse c’è anche stato un po’ di fermento a Roma in quel periodo. Da un lato credo che il Truce Klan o la sua diaspora fosse ancora egemone, poi emergeva il suono del Do Your Thang, ma c’era anche Welcome to the Jungle al Branca. Io ricordo di avervi conosciuto tramite Gold di Firenze e ho pensato “ok: questi so’ i più matti, sono quelli col knowledge”. Quali erano le tue influenze?

Anche qui ti ringrazio davvero di cuore.

Inizio col dire che il disco Fool Effect è stato fatto in circa tre anni, perciò abbiamo avuto modo di centrare per bene le idee che volevamo sviluppare.

Quello che mi ha spinto, è stato il concetto di stravolgere i dischi che ci piacevano e cercare di dare la nostra versione “più matta”.

Mentre facevamo uno dei beat dell’album ricordo perfettamente che ascoltavamo un pezzo dei D.I.T.C. con una batteria molto particolare e ci siamo detti “ok, facciamola ancora più storta per questo beat”. Questo è stato il motore che ci ha motivato fin dall’inizio.

Come descriveresti la differenza fra il produrre una traccia strumentale, una in collaborazione con un altro beat maker (penso ora al collettivo Beat Sailors) e una per un mc?

Questa è stata la prima domanda che mi sono posto quando ho iniziato a produrre pezzi strumentali!

Credo che la differenza si trovi nel fatto che un pezzo strumentale debba essere molto più variegato di un pezzo che accoglierà una voce: il rischio di annoiare è molto alto e differentemente da un pezzo rap i cambi e i molti strumenti possono disorentitare un rapper e sovrastarne la voce.

Di contro produrre consapevole del rap che ci andrà sopra mi porta a fare valutazioni sugli strumenti che possono interferire con la voce e mi porta ad arrangiare il pezzo intorno al rap, con effetti e sottolineature delle parti più impattanti.

Il lato molto stimolante del collaborare con altri produttori è il parlare la stessa lingua e condividere e sperimentare sempre nuove cose, quando il caso lo permette addirittura andare a diggare dischi insieme, cosa che è successa proprio con F.O.X. di Beat’s Tailors!

In questo momento qual è il set con cui lavori?

Più dischi possibili da campionare, immacambilmente il mio MPC 2500, Ableton Live e un poco di gear analogico.

Ti va di raccontarci com’è andata la serata con gli Onyx?

Wow!

È stato meraviglioso esserci ed aver preparato con set con i campioni originali, considerando dopo quello che è successo con la pandemia e vedere così tanta gente partecipe, l’emozione è stata forte e ce l’abbiamo messa tutta per fare del nostro meglio.

Smaltite tutte queste emozioni non è rimasto altro che godersi il loro live che è stato, ovviamente, da pazzi quali sono.

OK abbiamo finito, domanda scema per divertimento (forse solo mio!). Gioco della torre, chi butti giù e chi salvi:

Queste sono le cose che mi divertono da morire

Damu the Fudgemunk/ Alchemist.

Salvo con il cuore Alc e con dispiacere butto giù Damu

Apollo Brown/ Knxledge.

Con grande piacere butto giù Apollo Brown e a spada tratta difendo Knxledge

Mr Slipz/ Jazz Spastiks.

Butto giù Mr Slipz senza nulla contro, salvo Jazz Spastiks per l’uso dei breakbeat e perché mi ricordano moltissimo il periodo di Pete Rock di cui sono innamorato.

Beat Pete/ Cookin’ Soul.

Salvo Beat Pete perché tra l’altro cucinare con le sue selezioni è super, Cookin’ Soul invece lo butto giù con grande piacere anche perché mi ruba a sua insaputa i campioni!

Grazie di cuore per l’opportunità, è stato un onore e un grandissimo piacere!


Ivan Lepri è nato a Roma nel 1988. Ha studiato filosofia e il mondo antico all’ università. Dal 2017 è parte del duo Jumgal Fever, djset dedicato alla musica Funk, Soul, Jazz e Hip Hop. Ha scritto un articolo sulla black music a Roma negli anni ’80, Nella metropoli selvaggia, per Musica Stampata. Ivan vive e mette i dischi, di tanto in tanto, a Roma.