L’unico sbalzo genetico possibile oggi è attraverso la musica e, in particolare, l’elettronica. Purtroppo, però, non possiamo più parlare di collo di bottiglia evolutivo, in quanto viviamo nell’era dello Sciamano rassicurante – senza preparazione di alcun tipo -, del pat pat sulla testa (à la Benny Hill), del destino manifesto dell’ignoranza e dell’irrazionalità meno divertente e dadaista del popolo che si cura con la curcuma.
Nel 2001, all’epoca di Canal Jimmy, prima di trasmettere alle 15 (?) la striscia quotidiana del Jerry Springer Show, non ricordo chi (scusate) avvisava noi adolescenti e piccini dei pericoli della società occidentale nelle vesti del talk show declinato e depravato della TV americana. Non paghi, i ragazzi di Canal Jimmy, lasciavano in sovraimpressione per tutta la durata del programma -spesso tra nani incestuosi che si menavano non troppo piano- il simbolo di un bidone della spazzatura, in basso a destra, della nostra televisione a raggi catodici.

Questa premura, questa cura per il pubblico non esiste più, in quella lettura perversa di ciò che un tempo David Simon (The Wire, The Duce) disse: Chi se ne fotte dello spettatore medio?
Ecco perché Giorgio A. Tsoukalos, che dovrebbe essere trattato alla pari di un criminale di guerra, può permettersi ancora di scorazzare con programmi tipo ENIGMI ALIENI su History e non su Disney Channel. Il nostro è un mondo ipertecnologico a cui noi rispondiamo, in modo inversamente proporzionale, con spiegazioni semplicistiche e appiattite, piuttosto che prendere le scale (una preparazione specialistica), prendiamo l’ascensore issando la bandiera della cultura for dummies, in pratica, liquidiamo culture millenarie con un semplice: ‘non ti sforzare, sono stati gli alieni, hanno creato tutto loro’.
Non sorprende, perciò, mentre subiamo gli invasati del 5g e la mutazione genetica dei NoVax, supportati dalla pandemia, in strenui difensori della libertà personale, se cerchiamo riparo nell’ultima roccaforte del genere umano (oltre l’immaginario futurista di Dua Lipa) edificata, quasi 30 anni fa, con le maglie nostalgiche di un futuro passato noise, storto, techno anfetaminico e celestiale di codici binari come l’elettronica degli Autechre.
Definirli è sbagliato, come fu, a suo tempo, chiedere a Sant’Agostino cos’è il tempo. La loro musica è frutto di apparizioni allucinatorie, disagio agorafobico e paranoia che sembra arrivare dritto dal cuore di Philip K. Dick per mostrarci i regni a venire sulla Terra di cui le geografie, tutt’ora, ci sono ignote cosi come agli alti figlioli della Warp Records. Probabilmente pezzi come “gonk steady one” e “Under Boac” sono l’equivalente sonoro e patrizio della lettura delle foglie di tè: ognuno ci vede (sente) ciò che vuole. Non credo che la loro musica, ma forse è post-musica, sia l’equivalente musicale del linguaggio delle macchine: credo che quando le macchine formeranno una coscienza (quella che NOI definiamo coscienza, ma sarà qualcos’altro) la prima cosa intelligente che faranno sarà sbarazzarsi del linguaggio e dell’arte con tutte le loro pretese ammuffite. Ci sarà il silenzio (?) e nulla più. Neel mio sistema nervoso collassato ho sempre identificato gli Autechre -più che per generi musicali- con la strumentazione usata, che ricorda tanto il nome di costellazioni sonore nate nel cuore di un universo indifferente e ghiacciato: Casio SK-1, Roland R-8, Alesis QuadraVerb, Ensoniq EPS, Roland PMA-5, Clavia Nord Lead Rack and so on.
Quell’inumano troppo umano degli Autechre, per constrastare l’eccessivo umanesimo delle lapidazioni sottoforma di hashtag, è un panopticon dove tutto è controllato da Rob Brown e Sean Booth, partendo da quel gazunder creativo che fu Manchester negli anni ’90.
Cercare di buttare giù un non articolo per questa entità musicale, ebbene sì, è un metodo ben poco realistico di approcciarsi a 30 anni di concreta speleologia musicale, è come arginare uno tsunami con un colino da tea: impossibili da inquadrare, difficili da vendere quanto il solo concetto di respirare.
Forse è giusto che esistano cose inspiegabili nel nostro mondo, e tra queste c’è la musica degli Autechre che non verrà mai banalizzata con un ‘sono stati gli alieni a crearla’, ma non è improbabile che loro siano davvero alieni. Complimenti Giorgio A. Tsoukalos, forse hai trovato i tuoi antichi astronauti!
Maria Eleonora C. Mollard: cinefila.