Piu di duemila anni fa, come racconta Plutarco nella Fine degli Oracoli, fu annunciata la morte del grande dio Pan. A Thamus, capitano egiziano di un mercantile fenicio diretto verso Roma, fu dato il compito di annunciare al mondo la morte del Tutto. Al momento dell’enunciazione, come riporta Plutarco, si alzò un lamento di tristezza e disperazione che riempì l’aria e lo spazio, talmente forte da giungere sino all’imperatore romano Tiberio, e da suscitare in lui un forte turbamento. Non è difficile immaginare la confusione di Tiberio, che pure all’apice della sua reggenza, veniva a conoscenza della morte di un Dio del mondo che rappresentava. Duemila anni dopo l’umanità non sembra essersi ripresa dall’urlo lanciato da Thamus al largo di Palodes, dal crollo di quel particolare significato in grado di fare ordine nel caos dell’esistenza e di riassorbire in questo modo i suoi pericolosi livelli di entropia. Oggi più che mai, come nelle parole di una celebre canzone, la morte degli Dei ci mette contro come allora. Come dice Hito Steyerl mentre delira sullo stato dell’arte contemporanea: in un mondo che accelera non vedere niente di comprensibile è la nuova norma. La morte di Pan non sembra più un evento così distante; morto il Dio, mentre se ne cerca un altro, una parte di lui si perde tra la folla: il panico imperversa nelle strade, l’informazione perde improvvisamente la sua veste rassicurante e si trasforma in valanga, in un’overdose di stimoli e dati impossibili da elaborare, sparata dritta nel cuore come una dose di Narcan. In un contesto del genere la capacità di distinguere fra suono e rumore, fra ciò che va preservato e ciò che va scartato cessa di essere la legge alla base della teoria dell’informazione e diventa rapidamente un dispositivo necessario alla sopravvivenza, al pari di una mascherina fp3 o di una scorta di cibo.
Vivere alla fine dei tempi vuol dire anche questo: non necessariamente il crollo improvviso, ma un collasso a bassa intensità, spalmato come poco burro su troppo pane. Un regime di stress costante nel quale la tenuta fisica e mentale viene messa in discussione minuto dopo minuto. Micro fottuta guerra nella corteccia cerebrale. Le parole perdono il loro significato, rivelando la loro decadenza ormai centenaria: nessun editoriale, nessun libro, nessuna complessa analisi geopolitica farcita di schemi e diagrammi può preparare sufficientemente il terreno per il meltdown. La mente razionale si scioglie e Pan assume la consistenza di uno slime invasivo e radioattivo, una nuova materialità che non può essere fermata dalle nuove (e vecchie) misure di contenimento. Inaugura, paradossalmente, un altro tempo, quello dell’ hōs mē paolino. Come spiega San Paolo nella prima lettera ai Corinzi “il tempo si è fatto breve; d’ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l’avessero; quelli che piangono, come se non piangessero; quelli che gioiscono, come se non gioissero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano i beni del mondo, come se non li usassero pienamente”. Da oggi, ma forse anche da ieri, si vive come se non: si lascia essere il mondo e si vive cercando di non soccombere al panico ma di lasciarlo fluire. Si allenta la presa e si riscopre la capacità di immaginare. Il katechon di Cacciari viene messo da parte per tempi migliori. Uno sforzo planetario di lasciar essere: la nuova realtà sarà frutto di una poiesis, di un lasciar emergere con il quale ci si può solo sintonizzare, sperando che non trasmetta l’inno nazionale. Si dovrà continuare a combattere per riassorbire l’entropia, anche se la stessa continuerà a fluire incurante di tutti gli sforzi. Il fatalismo pessimista è una favola della buona notte, utile solo per il mondo antropocentrico di prima.
La differenza la farà il mindset: hic et nunc, qui e ora, la vita al centro della minaccia d’estinzione e l’immaginazione libera come se non fosse minacciata in alcun modo. Non c’è altra via, il prepping può essere solo cognitivo e anche per quello il tempo si è esaurito, le sirene hanno già suonato, Dioniso è già stato smembrato e le sue parti portate in processione nelle strade. Si parla spesso di nuova era magica: non sempre la magia è bianca, molto spesso è oscura. Difesa contro le arti oscure è la materia da imparare: finita l’emergenza l’algoritmo sarà più forte e più imperscrutabile, avrà un aspetto necessario che fino a oggi esisteva solo nell’incubo o nella distopia. Lasciar emergere un nuovo senso, respingere i maghi oscuri che mentre dicono che la magia non esiste la usano per dare forma al mondo che pretendono di controllare. Abbattere la casta sacerdotale. Come nel Neolitico sarà il mondo di fuori a indicare il senso: gli sciamani non fanno una bella vita, vengono scelti loro malgrado. Agli altri non resta che disegnare ancora una volta le pareti delle caverne in cui vivono. Ma bisogna lasciare spazio, sentire e per una volta non cercare di capire. Det some engang var, nella caverna finché la luce ci prende.
In ogni tentativo di comprendere si nasconde la volontà di dominare.
There is a serpent in every Eden
C’è un serpente in ogni Eden
Slick as grease and cold as ice
Lucido come grasso e freddo come ghiaccio
There is a lie in every meaning
C’è una bugia in ogni significato
Rest assured to fool you twice
Certa che vi ingannerà due volte
Tiziano Cancelli è nato a Roma nel 1989. Laureato in Filosofia, si occupa di filosofia e culture digitali per diverse testate. Legge, scrive e traduce, il tutto mentre ascolta Black Metal. How To Accelerate: introduzione all’Accelerazionismo è il suo primo libro.