Attivo dalla fine degli anni 80, Koma è uno dei protagonisti del Writing romano e non solo. Nei primi spazi occupati di Roma conosce altri dei futuri e più grandi writers romani, come Stand, Pane, Nico, Joe. Dopo aver formato gli ETC nei primi anni 90, divenuti padroni del proprio stile e della propria tecnica divengono il TRV, The Riot Vandalz. Questo crew ha rappresentato l’ala dei writers nel Rome Zoo ed è stato promotore dei suoi party più belli. Nella seconda metà degli anni ’90 produrranno anche una fanzine storica, Hatefull. Koma è una delle anime più legate al bombing e all’approccio più radicale del fatto: la scrittura del nome fino a saturare ogni spazio. Sempre meno pezzi complessi e sempre più tag e throw up in giro per la sua città. Con grande disponibilità ha accettato di rispondere alle mie molte domande e di raccontarmi la sua storia.
Quando e come ti sei avvicinato al mondo del writing?
Mi sono avvicinato alla fine degli anni ’80 perché facevo skate e le prime cose le ho viste sulle riviste di skate. Un’altra cosa che mi ha fatto capire che era una cosa che volevo fare e che mi ispirava è stato il film I guerrieri della Notte dove ho visto le metro completamente distrutte e non di pezzi puliti, pettinate, distrutte di tag e di throwup e quella era una cosa che mi faceva impazzire. Mi è entrata questa cosa in testa e poi ci ho messo un po’ di tempo, nel ‘91 ho fatto un viaggio ad Amsterdam che in quel periodo era veramente distrutta, il centro di Amsterdam in quel momento era tipo San Lorenzo adesso e quindi anche quello mi ha colpito. Pensa che nella mia ignoranza pensavo che in olanda i graffiti fossero legali per quanto era distrutta la città e in più c’era la metro ad essere dipinta e quella cosa mi ha colpito tantissimo, vederla dal vivo è stato incredibile e quando sono tornato ho cominciato a scrivere di più in giro. Il periodo in cui ho cominciato seriamente è stato il ’90-’91. Prima non avevo nessuna informazione, facevo qualcosa ma non sapevo cosa fosse, c’erano pochissime persone che scrivevano a Roma. Ho cominciato con un amico con cui skatavo, Stone, ho iniziato a tirarlo in mezzo, poi abbiamo conosciuto un po’ di persone fra cui Crash Kid e Spike (Pusha) che mi hanno dato un sacco di dritte. Loro già sapevano molte più cose di me, specialmente Massimo Crash già ne sapeva tanto, conosceva tanta gente e aveva viaggiato. Iniziavo a capirne qualcosa e iniziavo a sapere cosa facevo, era circa il ‘92
Alla fine degli anni ’80 la cosa, mi dicevi, era legata allo skate. In quel periodo lo skate era ancora molto legato all’hardcore.
Sì, infatti io sono stato poco legato al mondo dell’Hip Hop. Io andavo ai concerti punk e hardcore nei centri sociali, quando andavo a dipingere avevo le magliette dei gruppi punk. Venivo da un altro tipo di scena e poi più o meno è quello che è successo a New York quando sono iniziati i graffiti: il mondo dei graffiti non faceva parte del mondo dell’Hip Hop che, anzi, se n’è un po’ appropriato. Adesso si considera normale ma io non la vedo così, secondo me è una cosa a parte. I graffiti vengono da un altro mondo, nascono negli anni ’60 l’hip hop è di 15 anni dopo. Soprattutto i bianchi hanno iniziato a farlo, immigrati sud americani, e poi si è sviluppato negli anni ’70 e hanno messo tutto insieme. Mi fa un po’ ridere quando dicono che i graffiti sono una delle discipline dell’Hip Hop. Poi il Rap mi piace, ho visto mille concerti, ma i graffiti sono una cosa a parte. Sia storicamente che per quella che è la mia esperienza: io stesso venivo dall’hardcore e dallo skate e ho iniziato comunque a fare i graffiti.
Il giro Hardcore di quel momento era l’hardcore americano.
A me piaceva tutto, il mio gruppo preferito erano i Dead Kennedys, che non è l’hardcore di quel periodo ma ascoltavo un po’ tutto.
E in quel giro c’era consapevolezza dei graffiti?
Parecchi avevano il tag, quelli del giro skate e non. Ma non molti hanno cominciato a fare graffiti seriamente.
Secondo te anche perché quella scena [hardcore romana] era connessa agli Stati Uniti?
No no le informazioni sui graffiti noi le avevamo, conoscevamo gente e avevamo molte più informazioni noi di loro. Le nostre di connessioni erano specifiche del mondo dei graffiti. A questo punto siamo nei primi ’90.
Tu hai avuto il periodo graffiti legati alla politica?
Si, però io non ci credevo tanto a questa cosa politica, era un modo per rimediare gli spray. Avevamo aderito insieme a Pane, Sugo, Nico e Joe a questo progetto fatto al Corto circuito un centro sociale a Cinecittà, un progetto per graffiti anti razzisti. Noi dipingevamo già da soli, di notte, fra noi, però ci faceva comodo avere persone che ci paravano il culo mentre dipingevamo e anche perché eravamo ancora proprio dei toy e quindi poter dipingere senza spendere una lira, senza rischiare quando andavi a rubare gli spray, era conveniente. Ma non è durata molto la cosa avremo fatto cinque murate. Ci siamo resi conto che non era quello che volevamo fare. La prima volta che abbiamo pensato di farci un treno stavamo al Corto Circuito. E l’abbiamo fatto.
C’era già chi vi aveva preceduto?
Il 19 settembre 1992 è stato dipinta la metro per la prima volta. Noi siamo andati qualche mese dopo Crash Kid, Stand, Giaime e gli altri del primo treno. Conoscevo già Stand ma superficialmente. Conoscevo più Massimo Crash e quando andavo a beccarlo alla galleria su
Viale regina Margherita spesso c’era pure Stand e due chiacchiere le abbiamo fatte. Noi abbiamo visto il treno loro che girava e ci si è accesa la lampadina, siamo andati subito. Siamo stati io e Sugo a spingere di più in quella direzione, Joe e Pane erano ancora molto legati ai Centri sociali e me li ricordo poco convinti. A Milano la metro già se la facevano da anni, noi siamo arrivati con un paio di anni di ritardo.
In quella fase eravate ETC ancora?
Sì, eravamo io, Pane, Nico, Joe Sugo e Cina. Parlai con Crash dicendo che ci eravamo andati a fare la metro B e lui era molto fomentato della cosa. Poi c’era Clown che dipingeva poco,
Crash che preferiva ballare, c’era Kraze che però stava ad Amsterdam, Stand e Deb si sono trovati da soli, hanno visto che noi andavamo tantissimo sia metro B che A e si sono avvicinati a noi. Così si è formato il gruppo allargato con Tuff e così sono nati i TRV. Nel ’95 è cambiato il nome e il modo di dipingere.
Anche lo stile che avevate nel ‘95 era molto alto qualitativamente.
Beh il salto è stato enorme in quei tre anni anche perché abbiamo dipinto tanto e conosciuto tanta gente europea e degli Stati Uniti, che ci hanno fatto capire tante cose. Se hai qualcuno che ti dice se stai sbagliando strada e vedi il suo modo diverso di dipingere questo facilita tanto il periodo di crescita.
Chi erano questi writers?
A Roma si faceva la metro e questo la rendeva una destinazione ambita per i graffitari europei che già avevano una repressione altissima. Gli Olandesi, i Tedeschi e francesi così come i newyorkesi venivano a Roma e finalmente si potevano fare la metro. Sento si è fatto la metro di New York però nei primi anni ’90 la metro lì già girava pulita, quindi è venuto a Roma a farsela più volte. I tedeschi Fume e Milk pure scendevano spesso con noi perché in Germania c’era una repressione pazzesca. In Olanda la stessa cosa, Delta Zedz Set Mellie sono scesi più volte: io, come dicevo, sono andato nel ’91 ad Amsterdam e la metro era distrutta, nel ’93-’94 la metro era quasi pulita, non girava più niente. A Roma nel ’94-’95 già c’erano i primi strati, una cosa incredibile che non c’era nel resto d’Europa. Quindi tutta questa gente veniva giù e ci contattava perché eravamo quelli che se la facevano di più.
Avete avuto una fase europea prima dell’influenza statunitense?
Beh noi all’inizio eravamo proprio dei toy e non sapevamo la direzione che dovevamo prendere. Quindi prendevamo un po’ di qua e un po’ di là, facevamo un mischione dei graffiti europei che c’erano all’epoca, la roba olandese, la roba tedesca soprattutto. Quando abbiamo capito la roba di New York è cambiato il modo di dipingere ed è stata fatta la roba più potente che Roma abbia mai visto, ovviamente a mio giudizio, diciamo fra il ‘95 e il ‘99. Le cose più fresche, le più originali, quelle cose che oggi quando le vedi dici ancora “che roba che girava!” Adesso difficilmente mi succede, i graffiti “moderni” non mi emozionano così.
In che senso “non l’avevamo capita la roba di New York”?
La roba di New York ha avuto una storia lunga con un tempo di evoluzione. Loro non avevano avuto nessun riferimento, era una cosa che si stavano inventando e quindi è stata la purezza con cui hanno fatto i graffiti senza poter prendere ispirazione da niente, perché nessuno l’aveva fatto e quindi sono stati molto spontanei, ci sono delle cose degli anni ‘70 a New York inarrivabili, proprio perché sono stati spontanei. Quello abbiamo cercato di ritrovare, la spontaneità senza rubare di qua e di là, fare una cosa tua. Quella roba una volta che l’hai fatta, diventa immortale, sarà sempre fica. Se invece tu scimmiotti qualcuno, come avevamo fatto noi negli anni precedenti, dopo 20 anni fa schifo come faceva schifo prima. Bisogna prendere spunto dai migliori per sviluppare poi un proprio stile, può piacere o no ma quello è solo gusto personale.
Però la fase in cui copi qualcosa forse è necessaria.
Sì, certo è un passaggio obbligato che tutti fanno, il problema è che devi capire quando smettere di farlo. Tanta gente continua, dopo 20 anni non si è mai aperta mentalmente. Io ricordo all’epoca, quando la roba nostra, dal ‘95 in poi a Roma non era vista bene, era considerata brutta da altri graffitari romani, non rispettava i canoni dei graffiti che andavano di moda. Gli altri graffitari che andavano a copiare quello che era di moda in quel periodo, la scena spagnola o nord europea era inguardabile, andavano a copiare quella roba e quella facevano sui treni. Il tempo è stato galantuomo e adesso si vede qual era la roba fica che girava all’epoca e quale era la mondezza.
C’era una differenza anche negli strumenti? Pare che una delle cose più fiche dell’epoca fosse il vostro uso dei tappi originali e loro fat, skinny.
Usi quello che hai, se ci tieni di più ti procuri il tappo che preferisci, se avevi gli spray del ferramenta lo skinny non ci andava quindi eri costretto ad usare il tappo originale, per molti di noi lo strumento non è mai stato un problema, si dipingeva con quello che avevamo. Quando un treno passa un leggero overspray da tappo originale neanche lo vedi, era vedere i treni passare in banchina che ci diceva che non era così importante il tappo, poi certo dipingere con tappi e spray buoni piace a tutti è più facile e veloce ma all’epoca era anche difficile procurarli, non puoi non andare a dipingere perché non hai lo strumento giusto, ti adatti e fai il massimo.
E sul muro avresti preferito un altro approccio?
Non sono la persona giusta a cui fare questa domanda, nel senso che ho smesso di farmi i muri legali, se quello intendevi, nel ’95. Diciamo però che l’approccio è lo stesso quando sei abituato a fare solo treni.
Quindi la metro ha caratterizzato lo stile del TRV?
Si, tantissimo secondo me. Proprio farti la metro ti porta a dipingere in un certo modo, il pezzo devi avercelo in testa. Poi questa cosa mi riguarda relativamente, io da un certo punto ho iniziato a fare solo throwup, ho avuto un approccio anche diverso dagli altri, loro hanno continuato a fare la roba colorata, io magari facevo il throwup top to bottom. Mi piaceva un altro tipo di roba, non mi divertivo a fare il pannello, li ho fatti ma non mi piaceva. Anche le murate non mi interessano, nemmeno adesso, mi annoio. Io sono diventato un bomber. Ho capito che quella era la cosa che piaceva a me, Fare il pannello dopo un po’ di volte ho capito che mi annoiava, mi rompeva le palle. Quando invece facevo i tag e i throwup godevo. Andavo pure di meno in metro rispetto a loro, andavo più per strada. Se stavo con loro in metro magari facevo un end to end di throw up, mi facevo i finestrini e tanti tag. Poi i throwup se li facevano più o meno tutti ma dopo aver fatto il pannello.
La velocità, uno stile quasi punk nell’approccio però se io penso al tag tuo era arrivato ad uno stile “bello”.
A me è sempre piaciuto scrivere in generale, anche da piccolo ci tenevo a scrivere bene. Negli anni ’90 avevo il marker in tasca tutti i giorni, non uscivo di casa senza. Taggavo tantissimo e in tante situazioni diverse. A forza di farlo farlo farlo evolvi il tuo stile. Anche uno che non sa scrivere può arrivare a fare il tag fico, la ripetizione costante ti fa evolvere per forza, nei graffiti non devi avere il talento di Michelangelo, i graffiti so’ una cosa semplice, prendi il marker e fai il tag. Poi più ne fai e più cresci e capisci. Poi a me piaceva la calligrafia classica e la mettevo un po’ nel tag, specialmente prima, ora molto meno. Adesso raramente faccio i tag, faccio quasi esclusivamente throwup. E’ una cosa che facevo prima e adesso non faccio anche se a volte mi capita, ma non ho più l’attitudine di uscire col marker tutti i giorni. Quando ho gli spray mi piace farmi il throwup più che farmi i tag, mi piace molto di più, mi diverte di più. È anche una questione di sicurezza, il flop non è riconoscibile. Uno come Geco ad esempio, leggibile da tutti, è più facile arrivare a lui. Un throwup come il mio è molto meno comprensibile dalle autorità e dalla gente comune, è difficile che mi vengano a rompere i coglioni se non capiscono cosa c’è scritto. Poi lo faccio per me e per chi li può capire, degli altri non mi interessa.
Per esempio, non per creare un parallelo, anche Masito mi diceva del tag, quasi un’ossessione, ci teneva e non più di notte e velocemente.
Beh forse io non ho avuto il suo stesso approccio. Lui è stato uno che ci si è messo e che ci teneva di più, io potevo pure fare il tag fatto male non me ne fregava, certe volte neanche guardavo dove lo stavo facendo perché dovevo fare più attenzione a non farmi vedere. Ma se dovevo bombare lo facevo pure senza guardare e se il tag era tutto storto non mi fregava niente, l’obiettivo era fare il tag e dove volevo io. Poi se avevo la possibilità di fare il tag rilassato allora lo facevo nel modo migliore.
Quindi 1995 svolta, padroni di quello che facevate, qual’era la relazione del TRV con il Rome Zoo?
Io non ti so dire neanche chi l’ha tirato fuori il nome il Rome Zoo, non me lo ricordo, la relazione era che ci conoscevamo tutti già da tempo: tutti quelli che facevano rap, i Dj’s, gli Urban Force che ballavano e ovviamente tutti noi graffitari, ci beccavamo tutti a Trastevere o a Campo de’ Fiori o al box di Stile.
E questo famoso box di cui mi ha parlato Stile.
Sì, certo, ci andavo spesso, a farmi le canne e a giocare alla play. Loro magari ci andavano anche per altri motivi, musica ecc… a me che ci capivo poco del rap in generale, quell’aspetto lì mi interessava poco, mi interessava stare lì con gli amici miei, ci facevamo le canne, disegnavamo e stavamo insieme, quindi sì, ci andavamo spesso. Uno dei primi loghi del box l’ho fatto io, era in calligrafia, fatto a mano, e poi un altro paio del Rome Zoo che ancora girano.
Tu hai vissuto anche il passaggio di luoghi da Piazzale Flaminio al momento Trastevere.
Flaminio non lo frequentavamo tutti, lo frequentavo soprattutto io, un po’ Masito, Tim degli Urban Force, ogni tanto Stand veniva, ma gli altri non tanto, loro stavano altrove. Magari io la sera mi beccavo con loro a Trastevere o a Campo de’ Fiori e si andava a dipingere o stavamo in giro.
Su Trastevere ti volevo chiedere del Garage.
Il periodo del garage sarà stato il ’95 ‘96, stavamo lì spesso, era un posto tranquillo per fumare e disegnare, ci vedevamo spesso a Trastevere anche perché noi venivamo tutti da quartieri diversi a parte Tuff che abitava a via della Scala, Stand da San Giovanni, io da San Lorenzo, Pane da Casalotti, Joe dal Tufello e Nico da Val Melaina, venivamo da zone diverse e ci serviva un posto dove vedersi, abbiamo scelto Trastevere, perché si stava bene, stavamo la sera al San Callisto, i pomeriggi stavamo tutti a Piazza Sonnino dove una volta c’era il capolinea dell’autobus e quindi quel periodo andavamo pure al Garage. Stavamo al chiuso, tranquilli… In quel periodo non frequentavo più quella scena [punk hardcore] sentivo quella musica ma non andavo più nei centri sociali, non era più come prima che andavo ad ogni concerto, fare i graffiti in un certo modo ti toglie un bel po’ di tempo ed è difficile fare pure altre cose.
E la casa che si erano presi Tuff e Grandi Numeri?
In quel periodo loro avevano preso questa casa a vicolo Moroni dietro piazza Trilussa, qualche anno prima per un periodo breve stavamo pure in un’altra casa loro dietro piazza Navona. Mi ricordo tante canne e che si ascoltava a ruota il disco dei Sangue Misto che era uscito da poco. Poi questa casa a vicolo Moroni, un monolocale abbastanza grande al piano terra e spesso stavamo là. Era comodo avere uno spazio tranquillo, noi eravamo ancora pischelli, nessuno abitava da solo.
Stando tutti lì magari per quello è stato un luogo fondamentale del Rome Zoo.
Non è stato solo quello perché non potevamo stare in cinquanta persone dentro al monolocale, i fissi erano: i padroni di casa ovviamente, Quik E, Masito, Baro, Cina e Sugo e gli altri più o meno giravano.
Alla Snia prima dell’occupazione c’era una murata fatta da voi.
Li ho portati io a dipingere alla Snia, sono entrato per primo anni prima insieme a Wisk. Era uno schifo al tempo, c’erano pure un paio di barboni che ci dormivano. La sala quella grande l’abbiamo trasformata nell’Hall of Fame nostra: andavamo lì, stavamo tranquilli, potevamo fare casino con la musica, dipingere in tranquillità, e ci sta ancora roba mia di quel periodo. Ci so un paio di tetti dove nessuno è più arrivato a dipingere, c’è un KO che sta lì dal ‘93.
Forse anche al Breakout?
Sì, noi il giro dei centri sociali ce li facevamo tutti, magari c’era un concerto di qua e uno di là e ci faceva piacere frequentarli per il discorso della tranquillità, per non stare per strada a farsi fermare dalle guardie, perché fumavamo. Oppure andavamo i pomeriggi a Villa Pamphili, cercavamo sempre posti tranquilli, poi magari la sera andavamo al San Callisto.
Nel 98-99 i graffiti a Roma arrivano alla vetta qualitativa.
Per come la vedo io, sicuramente. Anche 2000, 2001 fino al 2003. Nel 2000 c’è stato il mega buff della metro B, quindi da lì è un po’ ripartito tutto da zero… In quel periodo non si poteva dipingere benissimo la metro B perché era super controllata, quindi tutti glii ZTK, YESS, NSA si sono dirottati sulla Metro A e lì pure è stata fatta roba super fica, però il periodo in cui c’è stata tanta gente brava tutta insieme è stato dal ‘97 al ‘99, quasi ogni giorno usciva roba nuova potentissima, c’era tanta gente che dipingeva, ci si copriva tanto di più rispetto a prima perché lo spazio era finito da tempo, la roba di Jon e Gast di quel periodo è inarrivabile. Ci sono stati tanti scontri con altre crew, era inevitabile perché dal nostro punto di vista, lo facevamo da prima e lo facevamo meglio, ci sentivamo un po’ i padroni del terreno di gioco e quindi non permettevamo agli altri di coprirci. Noi TRV abbiamo avuto molti meno scazzi negli anni rispetto agli ZTK, loro nel ‘95 hanno iniziato a fare la metro, hanno avuto molti più problemi di noi con gli altri che dipingevano a Roma, erano tanti e dipingevano tanto, lo spazio era poco e quindi gli scontri con altri erano molto frequenti. Io mi trovavo bene con loro a dipingere, c’era una bella sintonia che dura ancora oggi. Mi sono ritrovato anche in qualche rissa con gente che non conoscevo perché stavo con loro.
Voi scrivevate Rome Zoo in un vostro pezzo?
Io scrivevo soprattutto RZ, Rome Zoo poco. Lo abbiamo scritto tutti ma non era abituale. C’era il senso di appartenenza ma ovviamente meno forte rispetto a quello per il crew vero e proprio.
Negli ultimi anni hai notato un principio di omologazione o un abbassamento del livello?
Internet ha creato questo livellamento verso il basso. Ovviamente hai così tanti input che ti metti a fare le cose che fanno gli altri e neanche te ne accorgi, è normale. Poi il fatto dell’omologazione ancora di più: in tutto il mondo fanno tutti le stesse cose, tu vedi quello, vai a fare quello. Una volta era diverso perché non vedevi quasi niente e quindi dovevi improvvisare e tirare fuori te stesso. I graffiti di adesso non mi piacciono perché sono tutti uguali, mi piacciono di più i tag dei toy, ci trovo spunti più interessanti rispetto alle murate di chi dipinge da 15 anni. Il toy non sa quello che fa e quindi ogni tanto ci trovo delle cose assurde ma che mi colpiscono. La maggior parte di quelli che si fanno la metro oggi credo lo facciano con l’approccio sbagliato, con l’intenzione di farsi la foto e metterla su instagram. Quando facevamo la metro il nostro obiettivo era rivedere il treno, era vedere il treno arrivare sulla banchina e sbam! Gli end to end non se li fanno, uno va su un vagone, uno su un altro. Mai uno sfondo insieme… che invece è una cosa fica da fare e riveder passare. Hanno proprio una visione diversa. Forse si è anche perso la questione delle crew, però certo i tempi sono cambiati a da un certo punto di vista è normale e non è che gliene faccio una colpa. Quando ci parlo loro sono sempre rispettosi e interessati a quello che ho da dire. Cerco di spiegare come l’ho vissuta e la vivo ancora oggi, di guardare questo e non quello ma non è facile, è un’altra generazione. Sono trent’anni che lo faccio è ovvio che la mentalità sia diversa così come il modo di vedere le cose. Ma ho anche dipinto con ragazzi di vent’anni e mi sono trovato bene, la cosa fica dei graffiti è che non è un problema la differenza di età, così come l’estrazione sociale se l’obiettivo è lo stesso.
Ivan Lepri è nato a Roma nel 1988. Ha studiato filosofia e il mondo antico all’ università. Dal 2017 è parte del duo Jumgal Fever, djset dedicato alla musica Funk, Soul, Jazz e Hip Hop. Ha scritto un articolo sulla black music a Roma negli anni ’80, Nella metropoli selvaggia, per Musica Stampata. Ivan vive e mette i dischi, di tanto in tanto, a Roma.