Rome Zoo Chronicles: Intervista a Dj Stile.

5:30 è una rubrica che tratterà di Writing, Rap, Djing, Breakdance, insomma: Hip Hop. Arrivato nel ’96 nel mio nuovo quartiere, l’ho trovato pieno di pezzi incredibili. Quattro anni dopo ricevevo le preziosissime cassettine copiate dai miei nuovi compagni di merenda. È la mia occasione per scoprire quello che non riuscivo a sapere nel 2000, quando a 12 anni mi sono innamorato di tutto questo, un mondo intero.
Questo è l’approccio.
Inauguro con una serie di episodi, Rome Zoo Chronicles, che non potevano che iniziare con Dj Stile. A lui la mia gratitudine per la disponibilità e la generosità con cui ha risposto alla mia chiamata.


Partiamo dagli anni 80. Se capisco bene tu come altri, ad esempio Ice One, non venite da quello che è stato l’ambiente degli spazi occupati ma dalla discoteca, dal dj set.

Sebi sì, io da casa mia direttamente e poi conosco Sebi! Io vengo dal primo circuito delle gare di Mc’s e del Rap, erano legate. In periodo se facevi un certo tipo di routine avevi parecchi dischi Hip Hop a casa e quello rifacevi, oppure avevi l’Electro ma sempre nell’Hip Hop ricadevi perché si trattava dell’Electro/ Hip Hop degli anni ‘80. Le figure di riferimento che incontrai erano quelle dei Dj romani che facevano capo alle discoteche in cui lavoravano, necessariamente fuori dai centri sociali e quei circuiti lì.

Le gare di Mc’s si svolgevano in discoteca?

Sì erano promosse da Disco In di Rimini, che è un negozio di dischi storico ed è stato un punto di riferimento in Italia per tutti i locali del Nord Italia e del centro.

A scuola avevi già l’impressione che certi suoni tramite la TV iniziassero a circolare?

Si, io stavo a scuola con 2 Daze e quando ci siamo incontrati lui stava già un bel pezzo avanti perché l’anno prima nella stessa scuola c’era Crash Kid. Io ho rincontrato Crash Kid al di fuori perché ci furono i primi concerti a Roma, venne Ice T, Afrika Bambaata, Richie Rich e si vedevano i primi B Boy romani e iniziavi a vedere flyer di locali e discoteche, magari c’era Ice One e io gli facevo stalking in quel periodo! Lui già lavorava e lavorava bene, stava nel giro di Full Beat, di Faber Cucchetti e aveva già fatto due dischi nel 1988. In effetti io sono della generazione di mezzo fra Ice One e quello che è stato il Rome Zoo. Siamo due di quel periodo: io e Stand del TRV. Daze e Napal sono un po’ prima, io sono la generazione di mezzo.

Tutto il giro di Trani e dei fratelli Micione, siamo in pieni anni ’80, quando venne pure Afrika Bambaata a Roma.

Mi pare che sia stato nell’ ’88 alla Casa del Passeggero a Termini, che aveva un giardino all’aperto, e proprio a quella festa ci invitò Ice One che già avevamo incontrato. A ottobre di quell’anno o forse dell’89 vengono Run DMC, Public Enemy e Eric B al Tenda a Strisce. Quell’inverno tornò Bambaata e poi Ice T, Richie Rich e Cash Money all’Executive, Cutmaster Swift al Piper, tutta una serie di serate che richiamavano anche i Dj del circuito delle gare, cioè Zappalà, Prezioso, Piangerelli, anche loro della generazione fra me e Sebi ed erano i primi romani che ho visto sui piatti e che avevano un approccio hardcore che solo gli americani avevano, gli europei non erano coatti come loro. Avendo come riferimento gli americani e vedendo questi dj romani, ho capito che pure a Roma, allora, si può essere così incazzati. A quel punto ho iniziato a seguirli e a sviluppare quell’attitudine che ho preso da BobCat, il vero Dj di LL Cool J del secondo disco.

Inoltre in un contesto in cui quello che era arrivato tramite la tv erano suoni americani però dati in pasto al grande pubblico come dei fenomeni:

Beh se parliamo di 1 2 3 Jovanotti e quella roba lì un po’ sì, ma pure poco dopo con la trasmissione di Massarini, Tam Tam Village. C’erano grandi ospiti ma c’erano anche Dj resident nel primo pomeriggio del sabato come Zappalà, Piangerelli, Mauro Tannino, Prezioso, che facevano le loro routine. Certo facevano anche i fenomeni perché era il periodo dei body tricks, quindi saltavano sulle consolle, mettevano i piedi sui piatti, quindi l’idea del “fenomeno” dentro questo mondo c’era ma anche perché a metà degli anni ’80 ci fu il boom della breakdance e quello era il fenomeno anche molto da baraccone, almeno te la mettevano così. Anche perché erano gli anni 80!

Il fatto che voi vi iniziate a muovere in un punto di roma come il Flaminio che ha vicino Goody music mi porta a chiederti se fra anni ‘80 e ‘90 qualcuno aveva già capito che si poteva costruire un’impresa dagli Stati Uniti.

Guarda sono due momenti diversi, anche rispetto al Flaminio. Negli anni di cui parlavamo il tutto era più slegato e chi faceva già cose era legato all’industria perché era l’unica cosa che poteva andre. Sebi si muoveva nei locali, mi si portava dietro e queste cose avvenivano dietro canali ufficiali a cui ti appoggiavi (queste cose dalla TV diventavano anche cultura contemporanea). Al primo Flaminio noi ci vedevamo Crash Kid, Sebi qualche volta, Shark. L’idea di fare impresa viene negli anni ‘90, pensando di farla noi magari, perché ci vedevamo in giro, ci guardavamo intorno. Iniziavano pure a uscire delle imprese. Gli OTR, ad esempio, quando sono usciti erano una specie di Wu Tang e si sono messi insieme per fare fanzine, mixtape, vendita di merchandise, sono stati un grandissimo esempio anche se nessuno lo ricollega a loro. Oltretutto era un’impresa fuori dai centri sociali anche se erano indipendenti. Poi da indipendenti ci troveremo a contatto con loro per forza di cose. Ci finivi [nei centri sociali] perché era un circuito libero ed eravamo pure ben felici di capitarci in qualche modo. Il Rome Zoo nasce pure da una cosa: io avevo due studi sotto casa in cui avevo fatto lo studiolo per non rompere ai miei perché stavo sempre con lo stereo acceso. Io ho iniziato la carriera molto rapidamente, a diciassette anni già facevo i concerti con Sebi e il tournista con Frankie Hi Energy. Già avevo la mentalità del dj che stava in tour e lavorava più che “avere il gruppo e venire dalla strada”, come da idea classica e romantica dell’Hip Hop. Avevo tutti amici in giro per Roma, ci beccavamo per strada per farci le canne mille ore al giorno, ogni tanto qualcuno mi passava a trovare al box e lo dissi a Baro, a Phella, Pitone. Loro tre si sono presi il box accanto, hanno iniziato a portarci i piatti, il Phella ha portato il primo computer suo con cui iniziare a fare le cose. Il discorso era “regà invece di farsi solo le bombe io sto a fa sta cosa, ci sto a campa’ e pure molto bene ma perché, visto che state a rota di sta cosa, non state là, studiate, stiamo insieme e se cresce?”. Il tutto nasce con questa forma qui, poi si sono aggiunte persone e gli si è dato un nome. Era una comitiva di persone che stavano dentro uno studio e volevano fare cose insieme oltre a farsi solo le bombe. In quel box noi abbiamo convinto Amir a fare Rap, il primo pezzo l’ho registrato io. Gufo e Cina si formano là dentro per un fatto di comitiva, eravamo quelli. Per quello eravamo una cosa chiusa e non entrava mai nessuno nel Rome Zoo. Se eri uno che te se trovava a frequenta’ il box per qualsiasi motivo eri del Rome Zoo, ma se non ce stavi non potevi esserlo, per noi era come se una comitiva se dà il nome.

Questa ultima definitizione del Rome Zoo è utilissima perché alla mia domanda “chi fa parte del RZ e con quale criterio” la risposta è “boh che ne so” [ridiamo]:

La definizione è questa: nel Rome Zoo c’era un amico nostro, detto er Frasca, che si presentava tutti i giorni e se metteva davanti al televisore con la Playstation. Lui e er Koma si sfondavano a Tekken tutto il giorno. Il Frasca è del Rome Zoo perché faceva parte di quella comitiva. Poi ha assunto anche il significato artistico che si è sviluppato come tale perché eravamo tutte persone che facevano quelle cose e ci si spingeva tutti a vicenda: io ho pompato sempre e comunque i primi dischi dei Colle, Amir, Gufo e tutto quello che girava intorno a noi. Eravamo un collettivo reale e abbiamo fatto pure poco per quanto ci siamo visti!

Tornando agli anni ‘80 e al circuito ufficiale non ancora legato ai centri sociali, stavo pensando anche al circuito dell’editoria come Colasanti e Goody Music:

Si, gli unici interessati all’Hip Hop in quel momento erano solo quel mondo lì. Nei centri sociali, finché non è arrivato il Rap in italiano e la Pantera, al massimo ascoltavano i Public Enemy, come noi, ma al di là di quello non è che succedesse altro. Molti di loro erano legati alla scena Punk Rock e Hardcore ma perché quella musica era vecchia già degli anni ‘80 e addirittura tutta la musica indipendente che viene poi negli anni ’90, incluso il Rap, si è trovata una cosa che era già in piedi: il circuito dei centri sociali, con chi potevi stampare, era un network già attivo negli anni ‘80. I primi concerti Rap in italiano li abbiamo fatti tutti nei centri sociali, prima si faceva Rap in inglese e si faceva nei locali. Io stavo nel primo gruppo di Ice One e facevamo, infatti, Rap in inglese. Il giorno di svolta di Sebi nel Rap italiano, oltre alla crescita naturale, è stato a un concerto al Villaggio Globale in cui c’erano i Power Mc’s con me ai piatti. Vennero le 00199 e ci fu una polemica: loro ci accusarono di fare Rap in americano e di scimmiottare quella cultura. Sebi allora fece un freestyle in italiano, cosa che non aveva mai fatto, e le ha sdraiate. Ci fu una risposta immediata, si rese conto che erano cambiati i tempi “e mo so cazzi vostri”. Sebi era molto incazzato nei primi dischi perché lui veniva da quella cultura là. Rispetto a quelli dei centri sociali noi avevamo delle immagini anche più fresche e “salutari”, positive, perché il Rap di fine anni ‘80 era Rap conscious ma super pulito, non dovevi essere per forza “riot”. Noi ascoltavamo i Public Enemy ma non  andavamo in giro a fare i Public Enemy, tutto al più cadevi nella moda del momento che erano gli NWA, che era un’altra cosa ancora che quelli dei centri sociali non avevano capito ancora.

Quindi anche la fase stava cambiando? Cioè passiamo da una dimensione fatta di Goody Music e Babilonia ad un box-auto sotto casa:

L’approccio del Babilonia era dove andavo pure io a conoscere Crash Kid che ci passava tutti i giorni davanti, andavamo là in pellegrinaggio per rubare chissà quale notizia o novità perché loro erano gli unici che sapevano le cose, non c’era internet o altro di specializzato. Quello è il primo impatto e le prime comitive che si formavano erano quelle con Crash Kid, Shark e Sebi. Quella è un’altra generazione cui noi ci approcciavamo. Non c’è un vero e proprio periodo di mezzo, tutti noi passiamo vuoi o non vuoi dai centri sociali perché iniziano a diventare attivi e sono catalizzatori e sì forse in quel periodo c’è anche il Flaminio. Il Flaminio stava al centro e venendo da parti di Roma diverse ci vedevamo là. Un altro periodo parallelo al Flaminio, però, è Galleria Cola di Rienzo dove andavano a ballare i Breaker e forse è là che ho conosciuto Amir. Là si passavano bei pomeriggi, quella è un’altra palestra dove si è formato un embrione di Rome Zoo. C’era Amir, Crash Kid, Stand  ci andava a disegnare, Baro, Spike andavano a ballare. Io devo dire che già lavorando e facendo i tour non è che frequentassi molto né la galleria né il Flaminio. La galleria comunque forse arriva poco prima del Flaminio.

Molti, circa il periodo di mezzo, citano i ragazzi provenienti dal Congo belga, che Ice One conosceva, e stavano molto avanti:

C’erano i francesi e questa cosa la spingeva molto pure Sebi. Noi venivamo dal Rap in inglese e a Sebi interessava quella cosa così come fare la produzione a persone che rappavano bene e portavano cose in aggiunta. Ognuno era un piccolo YouTube che portava informazioni e materiali, come un piccolo Internet, motivo per cui eravamo molto connessi. Si tratta del periodo ancora legato ai locali, tipo La Vetrina o Il Soul 2 Soul che erano i posti che frequentava Giancarlino che si portava Baro e Spike come ballerini. Quello per esempio era il periodo del freestyle nel ballo. Loro si sono mossi molto nei locali come Ice One pure aveva fatto. Ad esempio si esibivano all’Alien, all’Executive, che erano posti che Sebi frequentava come lavoratore. Anche loro quindi hanno avuto la stessa esperienza. Si tratta del periodo De La Soul, ’89-’92, e anche qui ci si beccava con chiunque perché erano i primi posti dove si metteva musica Black, dai Soul 2 Soul al Rap del momento, tutto in chiave molto party, era come una serata in discoteca però fica! C’era gente assurda e incontravi chiunque in quelle serate.  In quei luoghi si muoveva gente più grande di noi però il luogo era usato da noi, ci andavamo per ballare e divertirci. Tra l’altro era il periodo dei locali pomeridiani, dei club.

In effetti gli ingredienti che tu metti fanno pensare ad una comitiva che però avevano cognizione di ciò di cui erano appassionati e quindi chi era del Rome Zoo e chi no?

La definizione centrale rimane quella della comitiva di pischelli che giocavano a Tekken insieme al box. Gente che si incontrava tutti i giorni. Poi si tratta anche di fasi diverse che hanno a che fare con i momenti dell’Hip Hop. Rispetto al momento di condivisione che coinvolgeva chiunque da ogni parte della città, in questa nuova fase degli anni ’90 le Crew sono quelle di quartiere, si inizia a parlare del suono di Brooklyn, suono del Bronx, cosa che si faceva già negli ’80 ma negli anni ’90 diventa un lessico anche nostro, talmente nostro da fare delle differenze di stili.

E in questa fase qui arrivate anche un suono più vostro?

Il suono veniva dai dischi di quel periodo, cercavamo le realtà indipendenti, persone del quartiere, ci riconoscevamo nel loro approccio perché era anche il nostro. La scelta, quindi, ricadeva sui gruppi indipendenti, c’erano mille etichette indipendenti, ma anche quello che usciva su major era fico e molto credibile. Noi eravamo in linea con quello che usciva in quel momento in America, nel Mixtape del Rome Zoo, infatti, ci sono tutti pezzi americani insieme ai nostri. Io poi ho anche un approccio più leggero rispetto ad altri. Io le cazzate le ho sempre messe nelle registrazioni per farmi una risata, venendo dagli anni ’80 ho sempre guardato a tutti i periodi dell’Hip Hop con un occhio esterno. Sto ancora a rota col Rap anni ’80, un immaginario più variopinto, più vivo, anche se poi gli anni ’90 portano un discorso diverso che porto con me e col quale sono cresciuto. Io sono cresciuto e mi sono formato negli anni ’90, appunto. Negli anni del Rome Zoo ho fatto i tour con gli AK 47, ero il dj di Frankie Hi Energy. Vedevo quello che mi girava intorno, stavo sempre a Bologna con Deda e Papa Ricki, vedevo persone che avevano cose da dire ed erano molto serie e che rientravano in quel discorso di verità che facevamo pure noi. Non era più un discorso solo di musica, ma un discorso per cui c’avevi un approccio totale a quello che facevi, era lì che poi vivevi il lato Hip Hop della faccenda. Era un approccio che prescindeva dalla musica. Vivere il quotidiano e mettere quello nelle canzoni. Questo rende più vera la musica che fai e il discorso è rendere forte la musica che fai per spacca’ il culo agli altri e lì l’idea e l’approccio ridiventano Hip Hop un’altra volta.

Se questo al livello di contenuto, al livello formale hai l’impressione che con Phella, Baro, Pitone, stavate per andare verso un suono che vi accomunava?

Noi nasciamo spontaneamente al box: ognuno coi suoi dischi, ognuno sentiva la musica portata dall’altro e musicalmente avevamo gli stessi riferimenti, quindi è inevitabile avere un suono e un’ottica comune. Si tratta di un fatto di condivisione e crescita insieme, è lo stesso spirito con cui ho detto “rega’ prendetevi il box e venite”. Già lo facevamo, magari, a casa di Giorgio dei Cor Veleno, anzi se non ci fosse stato il box noi saremmo stati altri dieci anni a casa loro come in uno squat. Abbiamo passato una vita nella casa a Vicolo del Cinque con Tuff, Giorgio dei Cor Veleno… e forse quello è stato il vero embrione e il momento di passaggio dove le cose sono iniziate a diventare serie per tutti. Se prima si stava nelle piazze, fuori, all’esterno, in posti centrali, figli dei ritrovi degli anni ’80 che ti portavano a vivere la cosa in una certa maniera, ora il fatto di stare chiusi in una casa, anche se a Trastevere, era molto più ghetto. Non ti facevi vedere, non ti fregava più di farti vedere in giro con le collanone, ora stai dentro casa a maledire il mondo che è una merda e ti sfondi di canne. Cambia proprio la mentalità. Sono questi i passaggi che portano a chiedersi: perché cambiano le cose? Perché iniziamo proprio a fare una vita diversa, cambiano i luoghi e cambia l’approccio. In più arrivano i Mixtape americani con tutto l’Hip Hop del primo Biggie, i primi Mobb Deep, si sentiva solo quella roba a casa di Giorgio ed eravamo tutti felici. Era tornata ad essere una cosa di quartiere, geolocalizzata. Invece di stare in una città e viverla dal centro per andarsela a conquistare, a quel punto non ci fregava più niente di conquistare la città alla luce del sole, piuttosto eravamo come il criminale che sta in casa a fare il piano per poi arrivare dritto alla meta. Se prima era qualcosa di più estetico, legato al farsi vedere e stare nella città, a quel punto diventa un’altra cosa: diventa operiamo affinché qualcosa accada, cioè facciamo un gruppo, facciamo musica, sfondiamo le metro e facciamoci vedere solo sulle metro ma non in faccia. Facciamoci vedere attraverso quello che facciamo, non ci facciamo vedere noi. È questo l’approccio che cambia, non ti frega più niente di vestirti in una certa maniera, sei vestito in una certa maniera ma per renderti invisibile. Prima eri appariscente, ora cambia tutto.

In effetti a metà anni ’90 nei vostri suoni lo scratch, da un lato, è figlio della vostra maestria, dall’altro però è qualcosa che rende tutto meno accomodante.

Questo era molto l’approccio mio e quello cercavo di trasmettere. Alle volte ero accusato pure di essere troppo Hardcore perché, invece, in quel momento andavano molto gli scratch di Premier che erano molto più tranquilli. Ci sono state pure lunghe discussioni su queste cose qua perché erano due linguaggi musicalmente diversi, anche se poi quello che facevo io era quello che facevano gli altri che però non lo capivano e mi volevano ingentilire. Da lì nasce l’esigenza di fare il Crew fra Dj, perché quello che puoi fare fra Dj non lo puoi fare con gli Mc’s.

La dimensione delle feste del Rome Zoo mi porta a pensare che la vostra presenza rendesse quei party adatti a un pubblico di sole persone addomesticate a certi suoni.

Infatti! In quel periodo c’è una netta divisione fra quello che è l’Hip Hop dei club e quello che è l’Hip Hop per noi. Noi non frequentavamo i club e, anzi, noi Dj eravamo pure parecchio snob, perché noi eravamo super tecnici, vivevamo la cultura vera, e invece quelli si stavano a divertire. Erano due approcci e non ci riconoscevamo l’un l’altro. Il party alla B.I.G. noi l’abbiamo digerito cinque anni dopo, anche se quella dimensione di party non era stata mai realizzata fino in fondo in Italia. Ormai il Rap era qualcosa di radicato con una sua personalità e aveva poco a che fare col Rap americano che era più vario, più di larghe vedute, aveva più declinazioni. Il rap italiano era una cosa sola fondamentalmente ed era solo Hardcore.

L’approccio vostro lo era particolarmente, il Rome Zoo come dimensione “qua non passi” è rimasta. Il fatto di aver avuto meno presenze di americani, pensi abbia reso Roma più personale nell’approccio?

A Roma certi personaggi sarebbero stati smitizzati, è insito nella nostra cultura, sarebbero durati due giorni. Noi avevamo l’approccio del disintegrare l’estetica dell’Hip Hop e riportarla sul piano della sola attitudine.

Al livello discografico non c’è stata un’azione comune con il Rome Zoo:

No perché quando si è formato il Rome Zoo il primo disco del Colle già esisteva e faceva le prime uscite, stavano un pezzo avanti rispetto agli altri. Gufo ha avuto vari percorsi e il disco lo ha fatto da solitario prima di incontrarsi con Cina e fare il gruppo. Se non avevi il gruppo affianco e non ti inventavi i mostri non c’avevi possibilità troppo di crescere, né sul mercato né nella città. Ecco il Rome Zoo come ritrovo anche di molti solitari. Baro, ad esempio, in quel periodo aveva smesso di ballare, non sapeva cosa fare ma pensava di voler fare il Dj e io stesso gli ho dato la spinta e promesso che tutto quello che sapevo glielo avrei detto. Così come Gufo stava sempre con Masito. Alcune persone sono cresciute dentro il Rome Zoo e se non erano ancora mature per il mercato si sono comunque sviluppate dopo. È stata un’officina, non solo una serie di teste indipendenti, ma un laboratorio per tanta gente, ripeto: Amir ha iniziato a Rappare dentro al box, i primi provini ce li ho io su cassetta, idem il Phella.

Alcuni di voi pensano che non sia emerso molto al livello discografico perché la vera anima erano le feste:

L’anima era il fancazzismo! [Ridiamo] Poi l’apice sono state le feste perché era il momento in cui tutti lavoravamo attivamente allo stesso progetto e quindi era la cosa che sublimava di più il fatto di essere una Crew.

Pensando all’immagine del Rome Zoo come fucina viene in mente il periodo successivo allo scioglimento. Avete generato dei prodotti artisticamente molto credibili, siete riuscire a creare e a rimanere ad un livello altissimo:

Johnny Juice (che è il vero Dj che stava in studio con i Public Enemy nei primi due dischi, non è Terminator X che ha fatto gli scratch, li ha fatti tutti Johnny Juice) [beccateve sta perla!] dice: io e te possiamo avere gli stessi dischi ma la copia di quello stesso disco in mano a me suona Hip Hop, in mano a te no. Perché? Perché dietro c’è un vissuto e una pratica – non solo quella sui giradischi – che ha a che fare con il viverla questa esperienza. Chi ha dato tanto della credibilità e ci ha fatto capire tanto al livello di credibilità a noi del mondo della musica, almeno come l’ho recepita io, sono stati proprio i writers perché erano quelli che rischiavano più di tutti e non guadagnavano niente. L’ispirazione spesso sono stati loro e rendevano credibile questa cosa in una maniera sola: facendo il delirio. Non c’era neanche più il concetto di graffito, era bombing, si trattava di spaccare Roma con stile e con stili assurdi. Se penso al Nico o al Joe, facevano cose assurde: ispirati agli anni ’80 ma con un senso di polemica tipica degli anni ’90, con riferimenti locali ma anche al resto del mondo. Un discorso completo, lucido, politico. Io stesso lavorando con gli AK 47, essendo il Dj di Frankie Hi Energy, non potevo permettermi di non essere io stesso una persona di quel peso specifico perché dietro quei suoni ci deve essere un mondo, altrimenti quei suoni sono fini a se stessi e non avranno mai la loro intensità. Non è un discorso puramente estetico, è l’etica che ci metti dietro che costruisce il suono che fai. I writers erano più avanti di noi perché avevano a che fare con un linguaggio visivo più immediato e, vuoi o non vuoi, anche con una storia più lunga, più coerente, e benché internazionali comunque in un circuito molto connesso, perché il paragone è diretto, ancora più diretto che nel Rap. Se noi dovevamo rifuggire con uno stile nostro e dovevamo maturare nel nostro acquario, loro già si confrontavano col resto del mondo. Questo ha portato a maturare in loro certi discorsi prima di altri e li ha portati ad essere molto più lucidi. Da parte mia una cosa simile l’ho vissuta con i Dj. Io usavo i dischi americani e non guardavo i Dj italiani se non nella misura in cui “se questo fa quella cosa lì, io la devo saper fare a occhi chiusi”. Quando vedevo le videocassette del DMC nel’ 88 stai sicuro che io dopo sei mesi facevo tutta la routine identica, con gli stessi scratch uguali, non mi perdevo una nota, del campione in carica. L’avevo presa proprio di punta questa cosa e io dopo qualche mese le cose che faceva il campione le rifacevo, tutte. Avevo lo stesso tipo di confronto, fare la stessa identica cosa da un punto di vista tecnico però anche riempire il tutto, poi, culturalmente. Quando a sedici anni facevo le cose di Cash Money e mi dicevano che facevo le cose del campione mondiale io dicevo che sì, ma non avevo quel flow, quello stile. Devo diventare un assassino per avere quel suono? Per fortuna ci sono stati gli X Men, gli Invisible Scratch Pickles… dei quali però, per dire, a Q-Bert ancora manca quella cattiveria, nonostante tecnicamente sia un dio. Lui parte dall’estetica, da uno studio nerd, è molto musicista. I musicisti che piacciono a me, però sono BB King, i Meters, non sono quelli che tecnicamente fanno i mostri, sono quelli che c’hanno un suono che te danno ‘na manata e te rimandano a casa. Noi viviamo in una fase storica di contestazione. Ora pensi prima a camparci con le cose e non a cambiare le cose. Venivamo dagli anni ’80 dove era imperante il mondo dell’estetica e noi volevamo tirare giù quel mondo lì. Negli anni i due estremi si sono, però, sempre più assottigliati, perché l’esperienza e la crescita ti porta a dire “ok è un mondo in cui ci sono entrambe le cose, intanto campiamo e poi vediamo che si può fare, il mondo non lo ha mai cambiato nessuno ma cerchiamo di dare una dignità a quello che facciamo”. Manca quella voglia, quell’estetica rivoluzionaria che viene da quell’approccio anni ’90. Non esiste un’estetica senza contenuto, che poi è il tema di cui stiamo parlando, però oggi siamo più rilassati da quel punto di vista e pensiamo che i problemi sono altri, in certi casi si fa prima  a raccontare una storia più vicina a noi che non avere un approccio totale alle cose. C’è anche più cultura, però: vedi più cose e capisci pure che c’è meno che puoi fare.

Come è stata l’esperienza con U.Net? Il vostro lavoro ha anche anticipato la voglia di ricerca delle origini che è arrivata da poco:

Beh se consideri il passaggio ai primi anni 2000 con l’attacco alle Torri Gemelle e la comprensione del fatto che la rivoluzione non si fa in piazza ma avvengono direttamente delle guerre e che quindi la situazione è molto più grave e più grande di noi, siamo tutti un po’ spiazzati e andiamo a cercare le nostre origini. In quegli anni là c’è il boom della Stones Throw, etichetta che ritira fuori tutto il mondo delle origini delle Hip Hop, così come i Dilated Peoples, i Jurassic 5, tutte persone che si rifanno ad un Hip Hop con una forma chiara, una definizione chiara ma in chiave di riappropriazione dell’Hip Hop. Perché? Perché negli stessi anni c’è anche il boom dell’Hip Hop dei club e l’Hip Hop vero non viene quasi più fatto. Bustha Rhymes fa i pezzi per i club così come Fat Joe. Chi poi cerca l’Hip Hop e le sue radici torna direttamente ad esse o comunque se le abbraccia cercando di non essere strappato via in un mondo che non gli piace tanto. Inoltre, con i nostri dieci anni di esperienza nei primi 2000 non potevo più raccontarla, quella storia, solamente coi dischi. Per quanto mi riguarda tornare a mettere un certo tipo di roba, quella delle radici, mi interessava per il grado di approfondimento. Crescendo hai bisogno di approfondire una serie di questioni. Raccontarlo è stato anche un po’ riviverlo e mettere a frutto tutto quello che ho avuto.



Ivan Lepri è nato a Roma nel 1988. Ha studiato filosofia e il mondo antico all’ università. Dal 2017 è parte del duo Jumgal Fever, djset dedicato alla musica Funk, Soul, Jazz e Hip Hop. Ha scritto un articolo sulla black music a Roma negli anni ’80, Nella metropoli selvaggia, per Musica Stampata. Ivan vive e mette i dischi, di tanto in tanto, a Roma.