Primàdopo III.

Riparte Primàdopo dopo un periodo di pausa che non ho capito neanche io perché c’è stata (io l’ autore, ovviamente). Probabilmente perché ogni volta che dovevo mettermi a preparare il prossimo episodio era sera tardi, mi stappavo una boccia di vino mi preparavo la cena e quando mi dicevo “ecco ora sono pronto” era già momento di estrema cecagna. Ridendo e scherzando sono passati tre mesi, quindi ora vorrei fare una puntata minimale dedicata al principale ostacolo alle mie attività che però ne è anche il motore immobile: sto parlando del vino. Il mio rapporto col vino è sempre stato di curiosità, ma devo dire che in generale non sono stato mai un grande appassionato di uva. Da piccolo mi piaceva più che altro a livello estetico, quella bianca e quella rossa del piccolo vitigno dei miei nonni era come un piccolo pezzo di un puzzle che alleggeriva il cuore, quello di un mondo che ancora aveva delle radici legate alla terra e che , da contadino che era e quindi duro e con pochi scherzi, stava ammorbidendosi piano piano. La storia in pratica dell’ Italia fine anni settanta, che poi a forza di ammorbidirsi invece del vino tra un po’ si beveva gli ammorbidenti, ma questa è un’ altra storia. La cosa però chiara era che i miei parenti amavano sia l’ uva sia il suo prodotto, appunto il  vino: e devo dire che nei pranzi domenicali se lo scolavano che era un piacere, poi non so se lo facessero anche in altri momenti quando non li vedeva nessuno. Comunque a me il vino non mi diceva un cazzo, mi faceva cacare: ricordo però che una volta, se non ricordo male, ci fecero schiacciare l’ uva coi piedi e lì mi divertii ma sono ricordi abbastanza fumosi, potrebbe essere anche che mi sto inventando un dato biografico ma così è se vi pare. Insomma per me esisteva l’ uva in quanto tale, carina, interessante ma anche sticazzi.

Ma ecco la svolta, negli anni dello sviluppo:  i fatidici nove/ dieci anni nei quali probabilmente si concentra un po’ l’autocoscienza di tutti che fa finalmente capolino. Non è  chiaramente un caso che in quel periodo si faccia catechismo per fare la comunione, di solito vista non tanto come una assoluta abnegazione nei confronti del padreterno ma più che altro come rito di passaggio. Ovviamente nascendo in un paese cattolico difficile poter fare un rito di passaggio che so…. Swahili: chiaro che dobbiamo accontentarci. Di buono c’è che nella cerimonia c’è appunto un protagonista speciale, che è appunto il vino. Tralasciando il classico lavaggio del cervello che la catechesi tenta sempre di appioppare ai giovani virgulti mettendogli paranoie da inferno e peccati di qualsiasi tipo finanche quelli di respirare senza permesso, il vino ha un ruolo importantissimo perché in effetti far bere un pischello di nove anni a stomaco vuoto è un lasciapassare per fargli vedere non solo gesu’ cristo ma anche l’apocalisse di san giovanni, con uno schiocco di dita. Ovvio che non ti servivano bicchieri da 75 cl ma l’effetto era sicuramente efficace: ricordo appunto la prima volta che bevvi seriamente il vino e accadde nelle “esercitazioni per la comunione” ( volendo dare un significato alle azioni dei futuri soldatini di cristo) , servito nella famosa coppa d’oro che viene innalzata al cielo mentre il prete “gira il culo a dio nel momento più sacro”, come scriveva Francesco Messina. Ecco, probabilmente era un vino fragolino, sicuramente novello e mi diede una sensazione di …assorbimento, per citare una famosa pubblicità. Capii che era una strada verso il misticismo, che ti innalzava dalle mere carni mettendoti addosso una voglia di infinito: da quel momento ebbi grandissimo rispetto per il vino. Ma se devo ricordarmi invece quando ho iniziato a bere con una certa costanza, mi risulta piuttosto difficile ricordarlo.  Quella costanza che ci portava da giovinastri ad acquistare dei vinacci tipo gotto d’oro per passare le serate a fare indianate al metanolo e il giorno dopo stavamo una merda. Solo più tardi capimmo che non era un effetto telefonato del consumo di vino, ma solo che bevevamo dei vini fatti con gli stronzi di cane. 

Poi uno cresce, va avanti, capisce che esiste la qualità ma l’ hangover è dietro l’angolo perché quando qualità e quantità vanno a braccetto…eh, signori miei, il vizio ha sempre un prezzone da pagare. Ma nulla potrà cancellare quel capodanno del 1993, quando in una casetta periferica di Roma organizzammo questo festino e mio padre mi diede da portare una bottiglia di barolo alta più di me che ci scolammo tutti noi ragazzi di oggi noi. E il giorno dopo, a pranzo dai nonni, ancora inebriato dalla sera prima, misi su i Velvet Underground e chiusi gli occhi: ecco, forse quel giorno per me non è ancora finito. Forse è stata da quella volta che per me l’ uva è diventata una bottiglia.


Demented Burrocacao è co-fondatore e CEO di Droga. Conduce Italian Folgorati per Vice, ha pubblicato, tra gli altri, l’album psichedelico Shell a nome Trapcoustic. Il suo libro Si trasforma in un razzo missile è recentemente uscito per Rizzoli Lizard.