Nascita di un capolavoro.

Per quanto si fosse costruito una certa fama essenzialmente con opere astratte e concettuali, Vadim Novak non disdegnava affatto cimentarsi di quando in quando nella cosiddetta arte figurativa. Anzi, la sua esperienza in materia era tutto fuorché marginale.

Accadde un giorno che una ricca signora che aveva sentito parlare di lui come di un grande talento gli commissionò il proprio ritratto: un busto in marmo destinato a decorare il suo elegantissimo appartamento romano.

Vadim si mise all’opera con un profondo senso del dovere, non contemplando nemmeno l’idea che il suo lavoro non potesse riuscire bene. È bene puntualizzare che non gli era mai capitato un lavoro prestigioso come quello affidatogli da quella vecchia parruccona, che da parte sua aveva un concetto molto convenzionale e superato di arte.

Rimasi colpito nel vedere Vadim, vale a dire il mio coinquilino, trasportato nel lavorarci sopra da un invasamento formidabile. Non che di solito fosse uno tranquillo, ma in quell’uomo poco più grande di me, ansante ed ebbro della propria passione, osservai come mai prima quella che avevo sempre creduto la specificità dell’attività dell’artista: essere attraverso la propria opera al contempo se stesso e un altro, cioè un sé più autentico e parallelamente un altro individuo, incarnazione ideale di ciò che si vuole essere, utopistico approdo di un percorso intellettuale e di un alacre sforzo manuale.

Nel suo atelier, parte integrante del nostro appartamento, Vadim riceveva di continuo visite. Tanti ammirarono il work in progress e riempirono il suo autore di apprezzamenti sinceri. Fra gli elogiatori c’ero anch’io, e Vadim ascoltava con attenzione, ancor più che con curiosità, i giudizi che gli estrinsecavo.

«Vi si intravede già» osai dirgli «la sua futura perfezione.»

Per quel che se ne poteva intuire, il ritratto aveva in effetti un’aria così vera che non esitai a scorgervi tracce della figura che aveva funto da modello, quella stessa signora di cui avevo fatto la conoscenza quando, perché l’artista ne facesse degli schizzi, era venuta a casa nostra.

«Non intendo realizzare un’opera dozzinale» mi confidò Novak. «Al contrario se ne dovrà desumere un’arte nuova, forte di tutte le esperienze delle ultime decadi. Si dovranno intuire le forme stesse della giovinezza sotto la scorza d’anzianità dell’originale. Dirò di più, caro Giorgio: lo scopo, nello scolpire questo busto, coinciderà con il fine stesso della mia intera arte: far emergere la giovinezza che è dentro ogni cosa o persona vissuta – lo spirito giovane che è il misterioso demone che si cela in tutto e che è preciso compito dell’artista, com’io lo intendo, portare allo scoperto.»

Ascoltarlo mi esaltava. In quanto al vederlo all’opera, non fu meno entusiasmante. Per ficcanasare mi sono spostato così tante volte da camera mia al suo atelier, che posso asserire che non esiste un singolo aspetto della sua tecnica che conservi per me segreti. Eppure sarebbe stato velleitario provare a lumeggiare donde trovasse la maestria per realizzare qualsivoglia effetto atteso. L’assenza di colore sulla superficie della pietra era un dettaglio ben trascurabile, poiché compensata dal realismo delle linee e dalla levigatezza delle forme, via via sempre più definite, che la rendevano quasi carne viva.

Muovendosi intorno al suo blocco di marmo per dare di scalpello prima da una parte e indi dall’altra, Vadim viveva un autentico rapimento. A un esame più accurato, mi avvidi che l’opera era diventata superiore in bellezza all’originale, tanto che solo a stento vi si sarebbe potuta discernere la fisionomia della donna. C’era di che rimanerne incantati.

Un giorno Vadim mi annunciò di aver terminato.

«È splendido! Trasuda semplicità e grandezza.»

Mentre restavo in contemplazione senza potermene saziare e così esprimevo il mio giudizio, lui mulinava intorno alla sua creatura rifinendola. Dava le ultime limate qua e là e, soffiando via il marmo polverizzato, sollevava nell’aria maestose e subitanee nuvole di candore. Come ebbe portato a compimento quest’ultima operazione vi passai la mano sopra, allo scopo di precisare l’indefinibile, di completare con il tatto le sensazioni esperite attraverso la vista.

«Questi contorni, questi lineamenti… Sono così realistici. E i capelli… Il naso! Sta respirando, ora: ne sono certo!»

Vadim scoppiò a ridere.

«In accademia» rispose «ho studiato tutti gli effetti che si possono riprodurre nel marmo.»

Quindi, tornando a guardare la statua dritto negli occhi come per cogliervi una scintilla di vita, ripresi: «Mi guarda e pare stia per parlare. Questa pietra così liscia… Per me sono carni: carni che palpitano. Sei una sorpresa continua, Vadim».

Nelle forme più armoniose, che sembrano delimitare l’anima, si agita una quiete imperturbabile. Vi si respira l’inaudito. Accade talora che con la bellezza esibita dai prodotti artistici, che è sempre il risultato di un’ansia creatrice, si instauri una sorta di comunicazione, un’intimità spirituale, che è anche un’intimità con se stessi. L’opera d’arte, per lo meno quella più felice, è qualcosa che emerge dal fondo oscuro dell’immensità del possibile. È come una creatura mai vista che appaia d’improvviso nel cupo inchiostro degli abissi marini.

Ora, in quell’opera le ruvidezze proprie del modello non erano che un lontano ricordo, e quando infine la signora volle vedere la scultura finita restò ammutolita. Vadim comprese subito che la transazione non sarebbe filata liscia. Altro che buttarsi ai suoi piedi per adorarlo in ginocchio, come iperbolicamente assicuravano certi amici di Vadim che come me avevano avuto il privilegio di ammirare e toccare la scultura… La donna squadrò prima il suo ritrattista, poi si voltò dalla mia parte. Poiché ero là: per niente al mondo mi sarei perso quel momento.

«Lei, mi dica» mi chiese con voce nasale: «vede qualcosa qui che si possa anche lontanamente definire un ritratto somigliante?»

«Certo» risposi, «lei no?»

«Per nulla.»

Un’ombra di inquietudine coprì il volto del mio amico. Nel suo animo si agitava una burrasca che gli era impossibile non esternare.

«Non sborserò un centesimo per un ritratto che non mi somiglia» proclamò la donna.

«Ho sfacchinato per giorni su questo busto e lei me lo affossa così?»

«Lei non ha rispettato i patti. Non ho la più pallida idea di chi sia la donna stilizzata che ha scolpito. Dovevo informarmi meglio sul suo conto, poiché è davvero un ritrattista mediocre…»

«Mediocre? Come si permette, vecchia babbiona! Deve sborsare la somma che mi ha promesso quando abbiamo preso accordi: alla svelta, anche.»

«Sa cosa ci faccio con la sua opera d’arte?» ribatté quella; e prendendo lo slancio spinse il busto facendolo piombare a terra. Quindi girò i tacchi e borbottando uscì dall’appartamento.

Ero scioccato. Quanto a Vadim, affondò le mani fra i capelli. Non poteva crederci. Esaminò la scultura: nell’urto con il pavimento il volto era rimasto sfigurato; il marmo si era spezzato in diversi punti, tanto da rendere irriconoscibile la figura rappresentata.

«Vecchia stronza» ripeteva, avvilito.

Poco mancò che non scoppiasse a piangere. Aveva i capelli scarmigliati, il volto stravolto dalla collera, gli occhi roridi di costernazione.

Sprofondai in una poltrona e mi guardai attorno, osservando le molte opere che costellavano lo studio. A un tratto, Vadim ebbe l’illuminazione.

Qualche settimana dopo, nelle discussioni fra gli esperti del settore non si parlava d’altro che dell’ultimo provocatorio lavoro di Novak, un’opera molto originale scolpita nel marmo bianco, la quale mescolava una componente figurativa ben intuibile nell’impostazione tradizionale del busto e un’altra contemporanea, modernamente astratta, che ne permeava la figura come se l’avvento del caos fosse piombato a scuotere, e in parte a demolire, l’ordine classicheggiante che vi soggiaceva.

Aveva intitolato la scultura Autoritratto e l’aveva venduta, secondo le indiscrezioni, a un prezzo considerevole. Nessun’altra opera, fino a quel momento, gli aveva mai fatto guadagnare tanto.


Andrea Bricchi è insegnante di lettere e vive a Roma. Autore di una raccolta di poesie in prosa, Il cofanetto orientale (Zona), ha pubblicato racconti su diverse riviste on-line e scrive per ILDA – I libri degli altri. Sta terminando la stesura del suo primo romanzo.