TEMA: PARLA DELLA PERSONA CHE PIÙ STIMI. SVOLGIMENTO: MARCO CORONA <3

“Ce l’hai fatta!”

“A fare cosa?”

“Il TUO capolavoro!”

“HAHAHAHAHAHAHAHAHA”

Questa è stata la telefonata che ho fatto a Marco dopo avere letto in anteprima il suo nuovo fumetto.

Se siete tra quelli che non conoscono il lavoro di Marco Corona non preoccupatevi, non siete in pochi, questo perché la vita è profondamente ingiusta.

Marco è il più grande disegnatore che abbiamo in Italia (ma il suo livello sarebbe altissimo anche fuori confine), qualsiasi altro disegnatore (almeno che non sia un narcisista senza senso critico) ne invidia le sue capacità, anche i più famosi, ben voluto da tutti, forse un po’ meno dai vari editor a cui ha lasciato magazzini di invenduti, come lui stesso ha più volte raccontato.

Questo perché?

Perché se ne sbatte il cazzo dei lettori, un po’ come gli Stooges nella musica, Corona è gli Stooges, tutti e quattro.

Ci sono autori abilissimi nel loro mestiere, capaci di guidare il lettore per mano durante tutto il racconto, scaltri nel prevederne le emozioni e pilotarle, questo è avere mestiere, poi c’è Corona, la sua regia è paragonabile a quella di Lynch, non si è mai preoccupato del lettore/spettatore per quello che riguarda la narrazione ma nonostante questo lo ha sempre estasiato con le immagini.

Il suo nuovo libro, Il viaggio, pubblicato per progetto stigma, non ha la classica griglia del fumetto, è molto più simile allo storyboard di un film e le immagini scorrono sotto gli occhi del lettore esattamente come al cinema.

C’è una villa apparentemente disabitata in un luogo sperduto di provincia della pianura padana, un tempo appartenuta al conte Levis ora è la classica villa abbandonata dove i ragazzini di provincia andavano ad avventurarsi negli anni ’80 alla ricerca di avventure in stile Goonies o semplicemente per rompere cose e i tossici si rifugiavano per consumare eroina e farsi divorare dall’aids.

Fin qui nulla di particolare, se non fosse che il conte Levis con tutta la famiglia vive ancora nella villa, questo accade perchè tutto il racconto si svolge su piani temporali e livelli di realtà differenti ma tutti coesistenti, è per questo che il figlio del conte gioca con i bambini che si avventurano nella villa, i tossici socializzano coi bambini, il conte e la moglie discutono per via della sua attitudine di artista egocentrico e poco attento alla famiglia.

Non discutono solo per questo ma anche perché lei accusa le sue modelle di averle rubato la morfina, lui accusa i tossici di un altro piano temporale che si insinua nel racconto di esserne colpevoli, tossici che utilizza come schiavi zombie e ai quali fa trainare la sua carrozza guidata da un cocchiere che per i modi crudeli ci ricorda quello che conduceva i bambini al paese dei balocchi in Pinocchio.

La morfina che più volte torna tra il conte Levis, la moglie, le modelle, i tossici (che sono quelli degli anni ’80 così come li ha visti e ricorda l’autore) non sta lì a rappresentare la droga nel senso di sostanza ricreativa ma sottolinea che tutti in quella storia soffrono, chi per un motivo, chi per un altro, è un balsamo che lenisce i dolori della vita, siano essi mentali o fisici.

Si passa dalle immagini esterne della villa abbandonata, splendidamente e realisticamente ritratta in tutta la sua decadenza tra legni marcescenti, erbacce, giardino lasciato all’abbandono con un pino che ha rami che svettano un po’ ovunque non essendo potato da anni e anni a scenari interni fastosi, opulenti e pieni di oggetti dell’aristocrazia di un tempo, per poi ritrovarsi nell’inquadratura successiva in una cantina distrutta piena di tossici che bivaccano e vivacchiano al buio.

Il salone della villa passa dall’essere perfettamente pronto per un ricevimento tra nobili al divenire lo stesso salone abbandonato da anni e anni, cadente, pieno di scritte sui muri (e a volte cazzi fatti con lo spray).

Il tratto stesso con cui sono disegnati i personaggi passa dall’essere preciso, quasi fotografico, per poi trasformarsi nell’inquadratura successiva in qualcosa di minimale, caricaturale, quasi infantile.

È un po’ come se il lettore fosse immerso dentro la storia, ma prima di entrarci gli sia stata fatta a sua insaputa una inframuscolo di ketamina, sono visioni ipnagogiche (tanto care a Corona) spinte all’ennesima potenza.

Una delle cose più belle di questo libro, per quanto riguarda le immagini, è la capacità che l’autore ha di riassumere con pochi tratti elementi della natura, renderli quasi astratti ma talmente riconoscibili da farci emozionare nel riconoscerli ogni volta: e allora riconosciamo i salici capitozzati lungo le strade di campagna con la loro polvere bianca e asciutta come talco, l’estate padana con il suo sole accecante, ogni erba e essenza che cresce qua e là nei luoghi abbandonati del racconto, il mais che ben conosce chiunque sia stato a rubarne qualche pannocchia da ragazzino per poi grigliarle in riva al fiume, la pioggia che in una scena del libro viene rappresentata in modo talmente perfetto da commuovere.

Il viaggio è una storia che ci parla di ricordi, di come il passato faccia parte del nostro presente, di come tutto non sia nero e bianco (strano a dirsi di un libro in bianco e nero ma non a caso l’autore ha usato un sacco di retini per darci l’idea di come tutto sia sfumato e non sempre netto).

E allora la moglie del conte Levis ha il viso e le fattezze della compagna di Corona, i figli del conte sono una femmina e un maschio, come i figli dell’autore, il conte stesso ha il suo volto e dipinge, ma i figli potrebbero essere anche Corona e sua sorella e questo ci riporta a un altro suo libro (anzi una trilogia) passato “riflessi” nel quale era anche presente un salone da ballo di una villa che ricorda molto il salone di villa Levis in Il viaggio.

Sembra quasi che la villa stessa sia l’inconscio dell’autore e che in questo viaggio lui lo abbia visitato a fondo.

La tecnica è incredibile, utilizza i retini tanto cari al fumetto di un tempo per ragioni tipografiche e andati ormai in disuso, ma invece di portarli nel futuro li porta ancora più nel passato facendone un utilizzo molto più vicino alle incisioni fatte con il bulino a pettine, come nella storia che ci racconta riesce anche tecnicamente a mescolare passato e presente.

Due ultimi pensieri su questo libro: PRIMO, compratelo subito in preorder, avrete un ulteriore volume in più che non sarà venduto successivamente e soprattutto è un edizione fatta con un sistema di pagamento per cui gli autori raccolgono una percentuale molto più alta (ed equa rispetto alle solite percentuali in editoria) sul venduto, ma anche questo avviene solo con il preorder, quindi ordinatelo subito da QUI, SECONDO mi dispiace tanto per quegli editor di cui parlavo sopra che hanno atteso e speso per avere il capolavoro di Corona e lui lo ha sfornato ora mentre loro si ritrovano magazzini di resi (di libri altrettanto belli, ma qui si è raggiunta una vetta incredibile).


Ciro Fanelli è pittore, illustratore, tatuatore e scrittore. I suoi lavori sono apparsi su “La Lettura – Corriere della Sera”, “Vice”, “Esquire” e altre prestigiose riviste europee e giapponesi. Ha pubblicato Pinocchio e Les corbeaux pleurent la merde per Le Dernier Cri (Marsiglia,FR), per Rizzoli Lizard ha pubblicato Nel bosco del nostro splendore.