Sesso e Covid-19 – Intervista al sessuologo François Chiquebelle.

François Chiquebelle, docente in sessuologia all’università di Parigi, si è intrattenuto con noi a proposito del suo libro «Sex et Covid : une coexistence heureuse» (Sesso e Covid: una coesistenza felice), uscito in Francia lo scorso 14 settembre. Il dottor Chiquebelle, già noto nel mondo accademico francese per i suoi numerosi studi sul cambiamento delle abitudini sessuali di fronte alle prove della contemporaneità, è ormai un punto di riferimento nel dibattito sull’eros nel ventunesimo secolo. Nel suo studio di Parigi, ci intratteniamo con lui a proposito dell’eros ai tempi del Covid 19.

Professore, il suo libro si è abbattuto nel dibattito pubblico francese come una meteora. «Sex et Covid: une coexistence heureuse» ha richiamato l’attenzione su uno dei campi tra i più toccati dall’emergenza sanitaria: l’eros. Ci spiega perché nell’introduzione lei parla di questa crisi dai tratti inediti e certamente drammatici come di «un’occasione irripetibile per una nuova sessualità»?

Nella nostra epoca la sfera della sessualità necessita di un cambiamento radicale, di un processo di sana modernizzazione. Per sua natura una pandemia coinvolge gran parte della popolazione globale, e rappresenta un’occasione irripetibile per introdurre nuove abitudini che spianeranno la strada a una nuova sessualità, scevra da soluzioni stantie e inutilmente rischiose come la penetrazione o l’approccio orale. In queste pratiche, che definisco “assemblanti e invasive”, i due soggetti asintomatici (perché non possiamo più permetterci la leggerezza di parlare di soggetti sani) si costringono a una vicinanza troppo rischiosa. Si tratta di comportamenti ormai demodés, che nel contesto di una crisi sanitaria diventano assolutamente irresponsabili. Dobbiamo abbattere il rischio, e non solo quello…

Sesso-responsabilità-fantasia.

Lei ha a lungo insistito – in Francia è stato tra i primi – sulla necessità di modificare la visione comune che abbiamo della mascherina. Nel suo saggio ha parlato di “quel velo sottile che è promessa d’eros”. Non più una barriera ma al contrario un elemento che ci avvicina?

Vediamola come una garanzia che ha dalla sua l’appoggio della scienza. Mi spiego meglio: la mascherina è un elemento in grado di eliminare importanti barriere psicologiche causate da un’insicurezza espressiva che può ripercuotersi negativamente su quella che ormai viene definita “performance arcaica”. Non sono rari i casi di pazienti maschi tormentati dal pensiero delle espressioni che assumono o potrebbero assumere durante l’atto. E allora perché non rimuovere totalmente queste espressioni? Posso assicurarle che la mascherina è stata in grado di fornire un aiuto notevole nella stabilizzazione psicologica dei soggetti a rischio (principalmente maschili, ma non solo), consentendogli di distaccarsi dall’onere del contatto oro-espressivo con il partner, a sua volta inaspettatamente stuzzicato da un improvviso ed eccitante vedo non vedo. Insomma, indossare la mascherina sta diventando una sana abitudine anche nei contesti in cui non sarebbe per decreto strettamente obbligatoria. Secondo una serie di sondaggi di cui mi sono occupato personalmente, nell’immaginario erotico comune la mascherina si sta sostituendo alle calze a rete, al velo di raso, al sigaro di Clint Eastwood, alle Gitanes di Alain Delon. Insomma, si tratta di un dispositivo che da temporaneo sta diventando stabile e iconico, di un vero e proprio trigger che può fungere da forte stimolo per il desiderio in questi tempi di rinunce.

Veniamo alla comunicazione. Ormai non esiste cittadino europeo che non abbia sperimentato le calls: tele-lavoro, zoom-aperitivi e, ovviamente, il sesso digitale… Nel suo articolo “Zoom sulla libido” lei ha risposto con fermezza ai detrattori della sessualità telematica. Nelle ultime settimane l’Autorità per la privacy digitale francese ha richiesto alla piattaforma americana Zoom di sopprimere il limite dei 40 minuti in accesso libero per le calls, in quanto «questa barriera innaturale e ansiogena» costringerebbe l’eros «nel recinto di un conto alla rovescia digitale». Lei pensa al contrario che sia il sesso a doversi adattare a queste nuove forme offerte dalla contemporaneità. Ci spiega?

Credo che i nuovi mezzi della contemporaneità non vadano messi in discussione. La rivoluzione di questi ultimi mesi – la nuova “esistenza domestica” sperimentata durante il lockdown – che nel mio libro definisco “nascondino digitale”, è l’occasione per sbarazzarci di due tra gli idoli più ingombranti del nostro passato: la libertà è il sudore.

Scusi?

Sono convinto che un adeguamento del sesso ai limiti fisici e digitali sia un processo necessario e che l’accettazione di tale metamorfosi rappresenti un segno di maturità. Il sesso è un bisogno ed è comprensibile che in un’ottica di privazione delle libertà (per il bene di tutti) anche i bisogni si adeguino alle nuove norme. In questo senso il “conto alla rovescia” può aiutarci a vivere un nuovo tipo di sessualità sottoposta a limiti che possono solo giovarle, liberandola da una eccessiva (quanto rischiosa) fisicità. Grazie a questi limiti potremo finalmente imparare a valorizzare la qualità del tempo a discapito della banale quantità, ancorata a un passato troppo rischioso a livello sanitario. L’eccessiva vicinanza dei corpi, oltre a costituire una minaccia, porta spesso alla noia e il rapporto ne risente. Il necessario distanziamento (tanto più se sottoposto a un limite temporale) circoscrive (ma non rimuove) l’eventualità di un rapporto fisico in un futuro perennemente posposto e proprio per questo tiene vivo il desiderio. Dobbiamo rinunciare a un’egoistica e sterile concezione di futuro per lasciare spazio a una nuova cultura della sanità. D’altronde quando c’è la salute…

Ma qual è il rapporto tra libertà e sudore?

Per decenni si è detto che la libertà si conquista “con il sudore della fronte”, che si “sudano sette camicie” e via dicendo. Abbiamo dunque associato la libertà al sudore, alla fatica.
Il mito di Stachanov le dirà pure qualcosa… Con il tempo anche il sesso ne ha risentito e siamo arrivati a una forma di “stachanovismo sessuale” che segue la logica seguente: “faccio sesso, dunque sudo, dunque sono libero”. Si rende conto dell’aberrazione? Ci pensi bene: se eliminiamo il contatto fisico, azzeriamo la fatica, quindi il sudore. Sepolto finalmente Stachanov, la libertà torna ad essere libera, “asciutta”. Su Zoom, può anche evitare di cambiarsi la camicia, capisce cosa intendo?

Militanti della Famiglia dei Valori.

Chiarissimo, professore. Proseguiamo. Nel capitolo «L’occhio discreto», prende la difesa di quei cittadini che durante il lockdown si appostavano al balcone e chiamavano le forze dell’ordine non appena scovavano dei contravventori alle restrizioni: adolescenti che sgattaiolavano di casa nottetempo, padroni di cani che uscivano troppo spesso, eccessive sortite per andare a gettare l’immondizia. Secondo lei non si tratta di delazione, ma di «una nuova forma di voyeurismo che non va represso in alcun modo ma che al contrario dovrebbe essere incoraggiato»…

Non solo incoraggiato, direi coltivato. I fenomeni di voyeurismo che ha menzionato non sono altro che segni propizi di un conflitto in atto: stiamo passando da un primato del corpo a un primato della vista, e questo non può che giovarci. Quanto sarebbe stato più rischioso, nei casi che ha elencato, arrivare a un contatto fisico, e quanta ansia eccessiva avrebbe prodotto? Grazie alla permanenza nell’appartamento, che paragono all’“utero materno”, i soggetti possono iniziare a coltivare una nuova concezione della vista, che può diventare immediatamente azione. Dalla loro posizione “arroccata” proteggono sé stessi e gli altri, traendo da questa azione passiva un beneficio mentale provocato dal pieno rispetto delle regole e dalla consapevolezza di essere dei cittadini modello, e possono comodamente (e senza rischio!) contattare le forze dell’ordine. Diciamolo ancora una volta: la distanza deve essere il nuovo standard. Protegge noi, protegge gli altri, e ci consente di agire in tutta sicurezza. Non posso che spendere parole di sdegno per quei cittadini che hanno messo al primo posto l’esercizio di libertà assolutamente non necessarie come i vari tipi di “fuitine” che lei ha menzionato.

Un esempio di civismo.

Nel capitolo “La rivincita del naso” ha scritto: “Considerando gli effetti di appagamento pieno e immediato provocati da numerosi pazienti in seguito alla somministrazione del tampone CRI, è giunto finalmente il tempo di annoverare il naso tra le zone erogene più sensibili del corpo umano.” Questa sua posizione ha suscitato scalpore. Corriamo il rischio secondo lei di una dipendenza da tampone? Cosa pensa di quelle file chilometriche nei drive-in?

In effetti quest’ultimo è un rischio da non sottovalutare. Se la scoperta di questo nuovo punto G nasale è senz’altro rivoluzionaria, il governo italiano dovrebbe fare attenzione affinché la situazione non vada fuori controllo. Pochi giorni fa, a Nancy, un signore ha avuto un rino-orgasmo mentre si soffiava il naso in autobus. Interrogato dall’autista che ha dovuto far scendere tutti i passeggeri dal veicolo, costui ha ammesso che era gli era già successo due volte nell’arco della mattinata. Certo, si trattava di un soggetto particolarmente sensibile, ma, lo sappiamo, il piacere provoca vere e proprie dipendenze. Pensiamo veramente che tutti coloro che fanno la fila ai drive-in sono lì per sapere se hanno contratto il virus? L’agenzia europea EuroKren stima che tra il 53% dei pazienti fuori dagli ambulatori siano effettivamente in cerca di piacere. Il tampone tocca sensibilità nervose che non si possono raggiungere con il dito… Mi spiego? Cosa crede che cerchino tutti coloro che dormono in macchina nell’attesa del tampone?

Il kit impermeabile che potrebbe beneficiare del bonus.

Certo. Veniamo alla politica. Secondo uno studio del Times, in questa fase, i leaders che assumono posizioni ferme nella lotta contro l’epidemia, godono di un importante riconoscimento in termini di popolarità e un appeal elettorale proporzionato alla rigidità delle loro decisioni. Il giornale inglese Times li saluta come i “preservativi della nazione”. Il premier italiano Conte non ha apprezzato ma in un fuori onda ormai notorio ha commentato con sarcasmo che il prossimo DPCM (Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri) lo firmerà in impermeabile…

Che presidente simpatico che avete in Italia! Prendere spunto dall’associazione al preservativo per presentarsi in impermeabile! Questo sì che è un leader vincente. Il presidente Conte avrà certamente riflettuto sul fatto che la differenza tra un preservativo e un impermeabile non è poi così marcata dato che i due oggetti condividono la stessa funzione protettiva. Secondo alcune indiscrezioni l’impermeabile con cui firmerà il decreto comprenderà dei dispositivi di protezione individuale cuciti all’indumento stesso. Mi sembra un buon modo per sensibilizzare sull’importanza di isolarsi dalle condizioni atmosferiche (l’inverno si avvicina e porterà con sé un aumento dei contagi) senza rinunciare alla prevenzione. È il momento di introdurre un bonus impermeabile? Probabilmente sì. E perché non un bonus per degli impermeabili muniti di un sensore che suona non appena ci si avvicina troppo ad un altro individuo? Ci pensi, durante l’inverno, gli Italiani avrebbero a disposizione un capo onnipreservante come quello che indosserà il presidente. Non sarebbe meraviglioso? Mi auguro che in questa eventualità i cittadini saranno pronti a segnalare coloro che contravverranno all’utilizzo di un dispositivo di protezione cosi all’avanguardia.

Il sociologo sloveno-canadese Ghîvto Huntracing.

Se per il mondo dell’informazione nel suo complesso il riferimento al preservativo è sinonimo di prevenzione e sicurezza, e quindi perfettamente adatto a definire il senso di responsabilità dei nostri capi di governo, tuttavia, in Italia, due prese di posizione dissonanti hanno spezzato l’unanimità. Una nota analista politica ha utilizzato il termine di man-raincoat – coniato dal sociologo sloveno-canadese Ghîvto Huntracing – per «condannare l’ennesima prova dell’impermeabilità del potere nei confronti del problema della parità di genere». La critica si fonda sul fatto che l’espressione del Times escluderebbe d’un sol colpo la cancelliera tedesca così come tutte le altre prime ministre di sesso femminile, «anch’esse in prima linea nella lotta contro l’epidemia». Dal fronte opposto, in una nota, il portavoce de La Famiglia dei Valori disapprova il riferimento a un’accezione positiva del condom. C’è confusione, professore…

Eccome! Queste barricate puzzano di Novecento: un secolo di polarizzazioni e disgrazie. Oggi abbiamo bisogno di unità, di un unico coro che dai balconi come dai letti esprima un sostegno chiaro ai nostri “preservativi nazionali”. Siamo con loro, punto: quando cantiamo dalle terrazze così come quando ci accoppiamo. Le faccio un esempio: il ministro della salute uzbeko ha proposto al suo governo di accordare un incentivo a quello famiglie che chiameranno il proprio figlio “Speranza” (in uzbeko “Umid”) in onore di quel vostro ministro della Salute che tanto ha fatto per lottare contro questa piaga mondiale. Questo è lo spirito giusto!

Il ministro Speranza.

Un’ultima domanda per concludere, Professore : sessualmente parlando, “andrà tutto bene”?

Non vorrei lanciare un messaggio troppo ottimistico che rischierebbe di causare più danni che benefici, ma sono certo che se seguiremo le regole con tanta buona volontà andrà tutto benissimo. Come abbiamo avuto modo di vedere, i cittadini sono più sensibili ora di quanto non lo fossero nella fase iniziale della pandemia e questa rinnovata attenzione si è trasformata in voglia di sperimentare tante nuove possibilità nella sfera intima. Certo, per molti detrattori non si tratta di un’opportunità bensì di un’imposizione, ma sappiamo che nei periodi caratterizzati da grandi mutamenti c’è sempre qualcuno che si àncora al passato per difendersi da un presente che lo spaventa. Ma possiamo concederci questo lusso in un momento del genere? Possiamo permetterci di sacrificare la prevenzione sull’altare di una sessualità ormai inapplicabile al contesto pandemico? La risposta è no. Abbiamo scoperto i numerosi benefici che i dispositivi di protezione individuale sono in grado di apportare alla sfera sessuale e di conseguenza il mio invito è quello di effettuare una sperimentazione costante di questi strumenti protettivi finché la prevenzione assoluta non diventerà una conditio sine qua non per il raggiungimento di un amplesso non più privato ma collettivo, di un piacere altruista che possa esprimersi in un vero e proprio orgasmo della morale, figlio del rispetto delle regole anche nella sfera intima. Melius abundare quam deficere! Sono certo che i benefici saranno duraturi e ci traghetteranno verso una nuova sessualità, così ricca di sfumature e di possibilità da non farci rimpiangere in alcun modo il passato.


Pino Formoso è il nostro inviato a Parigi. Laureato in Economia & Management alla triennale alla LUISS, ha proseguito la specialistica in Management alla Boston University. Ha lavorato in giro per il mondo per diversi anni, diventando “madrelingua”, oltre che di italiano, anche di inglese e portoghese.