Wrong Ninna Nanna – Intervista a Franco ‘Bifo’ Berardi e Marco Bertoni.

La vigilia della proclamazione del nuovo presidente americano può essere interpretata come un nitido segno di quella che è la situazione nel mondo più in generale. Da una parte c’è la violenza brutale e senza fronzoli del machismo bianco occidentale di Trump, che mentre assiste all’attualizzarsi della sua impotenza diventa sempre più feroce, dall’altra c’è una politica a basso profilo che compie più o meno le stesse violenze, ma che è più garbata e meno strafottente, che si incarna oggi nel democratico Joe Biden, ieri in Hillary Clinton. Se l’epoca Obama aveva almeno dato un’illusione di cambiamento (un’illusione da intendere nel vero senso dell’espressione) verso quel progressismo minimo che ci si aspetterebbe dagli esseri umani che popolano la Terra nel XXI secolo, le opposizioni di oggi ai sovranismi sono così silenti e inefficaci da risultare quasi impercettibili.
Del resto la situazione nelle altri parti del mondo non cambia di molto, se non in peggio. Quella che è considerata come la culla della civilizzazione, la cara vecchia Europa, è ancora indifferente alle tante morti a cui assistiamo ogni mese sul Mediterraneo. Auschwitz on the Beach è il modo in cui Bifo ha chiamato questa situazione.
Il disagio di scenari del genere sono proprio quelli che hanno ispirato Wrong Ninna Nanna, il prezioso disco composto dalle liriche di Bifo cantate da Bobby Gillespie e da Lydia Lunch. L’album è messo in musica da Marco Bertoni, compositore che ha attraversato diverse fasi nel suo percorso e che ha musicato i malatissimi Ottanta italiani con i suoi Confusional Quartet. Wrong Ninna Nanna è un viaggio onirico, che prende spesso le sembianze dell’incubo quasi lynchiano. Viene in mente un disco che è caratterizzato dagli stessi strazianti stati d’animo, seppur legati a contesti diversi: sto parlando di Landfall, il disco di Laurie Anderson e Kronos Quartet del 2018. La musicista americana aveva scritto il disco dopo aver passato un periodo di profonda sconsolazione dovuta alla perdita della sua casa e di tutti i suoi ricordi materiali per via del devastante uragano Sandy. Wrong Ninna Nanna è invece un poema noise, che si serve della muzak della nostra attualità, nel quale non si parla direttamente dei disastri ambientali, per quanto questo sia un problema che fa un po’ da sostrato al pessimistico discorso generale di Bifo. Tutto ciò è valorizzato dalla voce arida e minacciosa di una diva della No wave come Lydia Lunch e da quella appena più accomodante di Gillespie – ma stiamo pur sempre parlando di uno che tempo fa fece un disco intitolato Chaosmosis.
Curiosi di saperne di più abbiamo fatto qualche domanda proprio a Bifo e a Marco Bertoni.

Marco Bertoni.

L’album è un viaggio ambient che spazia tra toni oscuri a altri più stranianti. Hai optato per questo genere per un motivo in particolare?

Dopo che Bifo ha completato le liriche, sentivo che questi suoni, così amalgamati, rendevano a pieno il clima raccontato dalle parole. Avevo già in mente di utilizzare suoni naturali e sono andato in un bosco a registrare legni, sassi, uccelli, pioggia, foglie per poi usarli e processarli elettronicamente, ma ho voluto assemblare e suonare le musiche solo dopo aver avuto le parole dei testi.

Alcune parti dell’album sfociano in brevi silenzi che creano dei momenti di sospensione che sembrano preparare all’attesa di qualcosa di imponente che sta per arrivare. A cosa pensavi mentre componevi?

L’atto del comporre, in una produzione come questa è stato spontaneamente suddiviso in una sorta di anticamera dove ho raccolto le idee per le azioni da fare, come andare a fare le registrazioni, preparare determinati dispositivi nel computer, preparare pianoforte, registrare le parti del coro. Tutto ciò per potermi poi permettere di non pensare a nulla mentre suonavo o assemblavo, o processavo al computer. Tutto è frutto di una sorta di “buona la prima”,  anche il mix. I momenti di silenzio sono casuali.

I brani dell’album derivano da materiale che avevi in cantiere da tempo o sei stato ispirato dagli scritti di Bifo?

Il risultato finale è ispirato dagli scritti e dalle lunghe chiacchierate fatte con Bifo. Comunque, a parte le registrazioni effettuate nella natura, dal cassetto ho tirato fuori le audio cassette che registravo da adolescente in frenetiche e deliranti serate nella mia camera. In una di queste cassette c’era un brano di pianoforte che a Bifo è piaciuto molto, così mi ha chiesto di mettere altre parti di pianoforte; cosa che ho fatto, ad esempio per ultimare il brano “The imminent stampede”. 

L’album è pieno di atmosfere cinematografiche. Quanto ha influito il cinema nel riuscire a musicare i testi apocalittici di Bifo?

Le atmosfere cinematografiche più che una causa sono un effetto. Io ho cercato di fare delle musiche che avessero lo stesso clima dei testi scritti. Non sono partito cercando un accompagnamento o un commento musicale.  Può essere che le atmosfere cinematografiche che indichi siano proprio questo risultato dove le voci e la musica sono un tutt’uno a livello emozionale. Lydia Lunch e Bobby Gillespie hanno registrato le loro parti esattamente dove le sentite nel disco. Non vi è stata alcuna opera di post produzione o di montaggio. Eccetto nel brano “Just Dogs”, dove ho tolto la base rumoristica che ha usato Lydia Lunch per la sua registrazione e dove invece ho suonato un pianoforte che dà alla sua parte un’atmosfera languida e sensuale, creando un contrasto ironico con il testo che sta recitando.

Tutto è nato da una telefonata che hai avuto con Bifo: puoi raccontarci che rapporto avete e in che modo è nato e si è sviluppato il progetto?

 Ammiro e conosco Bifo come suo lettore da anni, e volevo proporgli di realizzare qualcosa insieme. Senz’altro un’opera di parole e musica, ma non sapevo proprio cosa precisamente. La telefonata è stata la richiesta del permesso di poterlo andare a trovare. A casa sua abbiamo iniziato a discorrere come se ci conoscessimo già bene. Spesso annoto dei titoli di pezzi che mi piacerebbe fare ed è venuto fuori il titolo Wrong Ninna Nanna. Da lì è partito tutto, da lì è partita una visione, una possibilità che Bifo ha riempito di storie, di significati e di immagini che hanno portato e condizionato poi la composizione delle musiche. E via via la crescita e l’ultimazione del lavoro. Vorrei anche ricordare che esiste una parte video di Wrong Ninna Nanna realizzata dagli artisti Cuoghi Corsello insieme a me e mio figlio Filippo Janez. E aggiungo un ringraziamento alla etichetta 42records, che ha creduto e amato e pubblicato il progetto.

Suoni nei Confusional Quartet, che è un gruppo no wave sperimentale di musica strumentale, poi hai fatto dischi con il tuo collega Enrico Serotti in cui campionavate voci, ora invece hai musicato un disco con pezzi scritti da Bifo ma cantati da Lidya Lunch e Bobby Gillespie. Cosa rappresenta per te la voce?

Fino ad ora per me la voce rappresentava il suono dell’uomo, un affascinante mistero che mi aveva sempre interessato esplorare con la tecnologia negli aspetti oltre il linguaggio e la parola. Per me Wrong Ninna Nanna è stata finalmente l’occasione, collaborando con Bifo, di avere qualcosa da dire. Finalmente la possibilità di creare musiche per parole e in Wrong Ninna Nanna ci sono parole politiche e poetiche che condivido profondamente.

Come siete arrivati a coinvolgere Gillespie e Lunch?

Conosco Lydia dal 1980 quando con i Confusional Quartet abbiamo fatto un tour insieme ai suoi ‘8 eyed spy’. Bifo conosce Bobby dopo aver partecipato insieme a lui a degli eventi qualche anno fa. Quindi in prima battuta ci sono venuti in mente i nostri amici che ci parevano i più adatti per il featuring. Lydia oltre ad essere una sublime performer,  anche per le sue posizioni contro la maternità e il prolificare ci è sembrata la mamma perfetta per recitare una wrong ninna nanna, d’altro canto l’approccio leggero e quasi angelico di Bobby ha creato un contrasto molto bello. Dopo avere avuto i testi e le musiche pronti, abbiamo proposto a loro due di completare la parte vocale del lavoro. Lydia ha registrato a New York e Bobby a Londra, l’unica direttiva produttiva che ho dato loro è stata:  questi sono i testi e vari segmenti sonori, fate quello che volete dove volete. 

Franco “Bifo” Berardi.

Perché hai deciso di fare un disco, anziché scrivere un libro o semplici poesie?

Veramente non ho deciso alcunché. Non sono un tipo molto decisionista. Le cose mi capitano, me le lascio capitare. Mi è capitato che Marco Bertoni mi ha suggerito uno spunto, una scena: la scena di una giovane madre che canta una ninna nanna al suo bambino. Una giovane madre nigeriana rinchiusa in un campo di concentramento libico, o turco, di quelli che proliferano tutt’attorno al mediterraneo, o alla frontiera messicana. E allora ho scritto dei testi su cui Marco ha lavorato con le sue arti musicali, con la sua sensibilità di musicista.

Ti occupavi di musica un tempo, scrivendo su Musica 80. Che rapporto hai oggi con la musica.
Di conseguenza, una domanda che volevo farti da un po’: che musica ascolti? So che ami molto David Bowie perché lo hai citato diverse volte nelle tue conferenze, ma non so molto altro.

Devi sapere una cosa: sono quasi sordo, abbastanza sordo. L’orecchio sinistro non sente un cavolo, il destro continua a decifrare le onde sonore, ma un po’ malamente. Per ascoltare musica mi metto le cuffie e generalmente riascolto musica che già conosco, non le novità della produzione musicale. Riascolto Keith Jarret del Concerto di Colonia, Philip Glass di Einstein on the beach, Johan Sebastian Bach dei Brandeburgen Konzerte. Quando voglio commuovermi ascolto Lou Reed di Transformer, oppure ascolto “fammi quello che vuoi Indifferentemente tanto io già lo so per te non sono niente. Ma damme stu veleno, nun aspetta dimane, anche se tu m’accidi io nun te dico gnieeee-nte”. Cantato da Mina nel fantastico disco Napoli.
Ah… dimenticavo i Talking Heads. More songs about buildings and food.
E i Tuxedo Moon, Desire. Primi anni Ottanta. Io sono rimasto ai primi anni Ottanta. Quello che è successo dopo, rap, world, fusion, non l’ho proprio sentito, per colpa della membrana e del martelletto del mio orecchio sinistro che han reso la stereofonia un miraggio impossibile.

Nel brano “Just Dogs” dici che bisogna sorridere perché non c’è alternativa. Il cinismo mi sembra sia uno dei tratti fondamentali del tuo modo di argomentare. Ma c’è di più, mi sembra sia un vero caposaldo del tuo pensiero. Potresti dirmi qualcosa su questo?

Credo che non hai capito bene cosa vuol dire cinismo, oppure che non mi sono spiegato bene.
Il cinismo è il mio nemico mortale, è il nemico mortale dell’ironia. Il cinismo è adesione all’inevitabile, ossequio al potere. L’ironia è la consapevolezza che nessun potere può nulla, e che solo il linguaggio può tutto. Cinismo e ironia hanno certo qualcosa in comune: non hanno alcuna fede, non credono, sanno che quel che è non è vero. Conoscono entrambi l’infondatezza dei giochi di linguaggio. Ma il cinismo si piega al potere sia pur senza riconoscerne la verità.
L’ironia danza con leggerezza sull’assenza di fondamento.
Se dico che bisogna sorridere perché non c’è alternativa non invito nessuno a sorridere, ma suggerisco che occorre digrignare i denti anche se non c’è alternativa. Basta sentire con che tono di voce Lydia dice quelle parole. L’ironia dice per l’appunto il contrario di quello che dicono le parole ironiche.

Credi che l’arte possa avere ancora la valenza politica che aveva qualche decennio fa? Secondo te, la musica può ancora portare un individuo a riflettere su cose che prima non aveva considerato?

Naturalmente sì. Cosa ci resta d’altronde se non la forza di evocazione delle parole, delle immagini, delle vibrazioni sonore? Lo so che la tempesta di merda del mediascape contemporaneo ha invaso ogni frammento di tempo mentale. Ma penso che ci sia una minoranza non tanto esigua di persone sensibili e intelligenti che sanno distinguere i segnali che arrivano dai punti avanzati della ricerca, della sensibilità, della premonizione.

In “The end of cool” fai una breve resoconto di quanto accaduto negli ultimi quaranta/trenta anni, mentre in “Why did I call you out” dici che una vita migliore non c’è da nessuna parte. Siamo arrivati al capolinea?

Quaranta anni di dittatura nazi-liberista hanno distrutto le condizioni stesse per un’evoluzione felice del genere umano. Dobbiamo uscire dai limiti dell’umano, dobbiamo sintonizzarci con quelli che Haraway chiama critters. E prima di tutto dobbiamo capire che siamo entrati nell’orizzonte dell’estinzione. Il che non vuol dire che non potremo sfuggire all’estinzione. Potremo sfuggirle solo se ci rilassiamo, se accettiamo l’inevitabile e se ci facciamo portatori dell’imprevedibile.
E potremo sfuggirle solo se interrompiamo la tendenza demografica espansiva, se fuggiamo la procreazione, se evitiamo di convocare innocenti anime che stanno tranquille nel loro nulla, per incastrarle nell’inferno contemporaneo che non siamo riusciti a trasformare, né ad abbandonare.

In “The End of Propechy pt.1” dici che la democrazia liberale non tornerà mai più. Ne sei sicuro?

La democrazia liberale non c’è mai stata, perché la libertà dei lupi non può convivere con la democrazia degli agnelli. E’ stata una favola, una narrazione strumentale allo sfruttamento di individui liberi di lavorare o di morire di fame. Come può tornare una favola che non è mai stata vera?
Forse Trump perderà le elezioni, ma quella di Biden e dei democratici ultra-liberali ultra-imperialisti sarà un ritorno alla democrazia liberale o sarà un salto nella guerra civile globale?

“L’inevitabile non accade mai, sempre l’inatteso” è il tuo motto. Però stavolta stanno accadendo tutte cose che erano abbastanza prevedibili: i virus sono sempre esistiti e il fatto che questo sistema economico fosse assolutamente inaffidabile era scontato.

Sì questa volta sono d’accordo con te. Era del tutto prevedibile che il dominio tecno-finanziario portasse al collasso della civiltà umana.
Quanto ai virus sono sempre esistiti, però eravamo convinti che la tecnica fosse in grado di conoscere controllare prevedere. Invece la tecnica non ha conosciuto, controllato né previsto.
E poi quella frase non è mia, sembra che l’abbia detta John Maynard Keynes da qualche parte.

Sì, questo lo sapevo, lo dici anche in Fenomenologia della fine…

Infatti. Però devo dire che non l’ho trovata scritta da nessuna parte. Non so da dove mi è venuta questa informazione che l’ha detto Keynes. Un amico un giorno mi ha detto: lo sai che Keynes disse che l’inevitabile non accade perché sempre accade l’imprevedibile?
Mi piacque, e da allora la ripeto in continuazione, e per darmi autorevolezza l’attribuisco a Keynes.

James Bridle parlava di “nuova era oscura”, tu in questo disco parli di “Age of cool”. Puoi spiegare di cosa di tratta?

Nel linguaggio di Adbusters (la rivista di Vancouver che tutti dovrebbero conoscere, è appena uscito un libretto edito da Meltemi curato da me e Lorenza Pignatti che parla di questa rivista) Age of cool è l’epoca neoliberal-pubblicitaria che sta alle nostre spalle. L’age of cool is over.
Siamo entrati nella age della impotent rage.
Poi vedremo.


Riccardo Papacci è co-fondatore e CEO di Droga. Ha scritto un libro (Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro) e ne ha in cantiere un altro. Collabora con diverse riviste, tra cui Not, Il Tascabile, Esquire Italia, Noisey, L’Indiscreto, Dude Mag.