Le patatine fritte di Friedrich Nietzsche

Un cane è un lupo che ha fame. Come Friedrich Nietzsche scrive ne Il Crepuscolo degli Idoli, è anche grazie alla fame che la bestia “viene infiacchita, resa meno nociva” e allora diventa “una bestia malaticcia”. La fame non è più il segno della volontà di potenza ma della mitezza dell’animale. Le zanne non masticano più niente tranne la farina lavorata che è già polvere ancora prima di essere addentata.
Il gusto croccante del cibo per cani è il simulacro della forza che il lupo ha perso da quando le sue zanne sono non più che denti bianchi e piccoli, proprio come quelli del suo padrone.

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Durante il diciannovesimo secolo, la patata fritta fu introdotta in Germania. Da allora, la Germania sogna patate fritte e birra. Come il filosofo tedesco scrive ne La Gaia Scienza, una dieta a base di patate spinge all’uso di alcolici; dall’acquavite per una patata lessa, fino alla birra per una patata fritta. Spinge anche alla narcotizzazione della cultura in generale. Scrive ne Il Crepuscolo degli Idoli: “Quanta birra c’è nell’intelligenza tedesca!” Tanta più birra da bere, tante più patate fritte da mangiare.
Le patate fritte per come noi le conosciamo, furono inventate in Belgio all’inizio del diciannovesimo secolo. I belgi friggevano pesci di piccola taglia nel grasso e, al di fuori della stagione della pesca, avevano iniziato a usare patate tagliate per la lunghezza e cotte nell’olio bollente. Le patate fritte sono, in principio, la volontà di un’altra pietanza. Sono un cibo povero perché sono il segno stesso di un’assenza.
La cattiva dieta, per il filosofo tedesco, è quella secondo cui “le vivande sono preparate in vista dell’effetto e non dell’efficacia”. Il gusto croccante non è più la stimolazione, ma la simulazione della potenza. Il piacere del gusto croccante è tutto nel suono di un oggetto che distruggiamo. Il piacere per il gusto croccante significa distruggere sempre più di quello che possiamo mangiare. È il suono iperbolico della distruzione.
La fame è la digestione della volontà di potenza. Per usare le parole di Friedrich Nietzsche, “fame è già un’interpretazione”. Infatti, la parola “‘fame’ è una forma specifica e tarda dell’istinto, un’espressione della divisione del lavoro, al servizio di un superiore istinto dominante”. Ma la fame che è soltanto inanizione, la fame che è l’abnegazione dell’istinto, non è la negazione della potenza: al contrario, è ciò che ne fortifica l’essere. In quanto contrapposizione dell’istinto, “è il grande stimulans della vita”. È la volontà del nulla piuttosto che il nulla della volontà. E così, “la sfera di dominio cresce ininterrottamente oppure diminuisce e aumenta periodicamente; oppure per le circostanze favorevoli o sfavorevoli (del nutrimento —)”. Per parafrasare Jean Baudrillard, la quantità di cibo ingeribile è sempre limitata, come pure il sistema digerente, ma la riproduzione di segni è senza fine. È la fame per un segno, il quale rappresenta la fine della volontà di potenza. E soprattutto quando siamo affamati, sempre già consumiamo.

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Al suono del campanello, il cane inizia a salivare. In contrasto con la fame da lupi, la fame da cani non è altro che la fame per un segno. È la fame per la fame stessa. Il consumatore è sempre più simile a un cane che a un lupo.
Non è per sazietà che mangiamo una patata fritta, ma per dar sfogo alla volontà di distruzione. Invece che grugnire, il cane mette un’altra crocchetta sotto ai denti. Il suono di un croccantino è il simulacro della distruzione. È la simulazione stessa della potenza, una zanna iniettata di olio.

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Nel 1971, il chimico organico americano Fredric John Baur registrò il brevetto per un nuovo metodo di confezionamento in grado di conservare la croccantezza delle patatine del marchio Pringles. La croccantezza è preservata a discapito della patata, la cui percentuale è minore del 50%. Il gusto croccante delle chips marca Pringles è la dissimulazione della patata in quanto tale: il nichilismo della fame. È il simulacro di secondo ordine della croccantezza. Il baffo della mascotte delle Pringles, Julius Pringles, è la parodia del baffo di Friedrich Nietzsche. Sono le patatine fritte dell’ultimo uomo.

Fame: l’editoriale
Charta Sporca, 22 Febbraio 2024

La fame è un oggetto elusivo, crocevia di diversi nodi problematici della nostra attualità. Motore oscuro di dinamiche corporee, simboliche e sociali che interessano la reciproca compenetrazione degli organismi viventi, la fame è un istinto che orienta i nostri corpi; la miccia biologica di pulsioni erotiche plastiche e imprevedibili; un fenomeno alla base di migrazioni e sconvolgimenti geopolitici; una brutta e troppo frequentata metafora per le più tossiche forme di ambizione e auto-imprenditorialità.
Spostando appena lo sguardo dai rapporti tra persone a quelli globali, possiamo invece veder emergere il tema della fame nei contrasti e negli interessi che orientano l’economia mondiale e le sue ingiustificabili diseguaglianze; nelle guerre, che si fanno sempre meno a causa della fame, ma tendono piuttosto a crearla dove prima non c’era (come a Gaza); nei mutamenti tecnologici e ambientali che, insieme alle guerre, scatenano la migrazione di miriadi di persone che sfuggono alla fame, che sono fame.

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Le bocche e gli stomaci, i denti e le ambizioni, i morsi e le cucine. C’è qualcosa di rivoluzionario e conturbante nell’osservare il mondo attraverso la lente della fame. Una zoomata di microscopio che si schiude su un mondo brulicante, nel quale si tesse la trama impercettibile di innumerevoli tensioni e resistenze attivo-passive, tra fantasmi masochisti di divorazione, assimilazione, assorbimento, e inverse tensioni sadico-aggressive a inglobare e incorporare l’altro da sé, ad accrescerci a spese altrui.
Fame come volontà di potenza che, al proprio limite estremo, tende oscuramente a rovesciarsi in forme di auto-annientamento e auto-consumazione, come capita a molti di coloro che cadono vittime dell’ideologia (auto)imprenditoriale del soggetto-impresa. Il famoso e grottesco “stay hungry, stay foolish” di Steve Jobs rimane per molti, ancora oggi, anche se forse sempre meno, il triste astro in fondo al pozzo attorno a cui gravitano vite sfregiate da falsi bisogni e ambizioni irraggiungibili.
La fame e il suo codazzo di spettri (anche clinicamente declinati, come anoressia e bulimia) ci aprono uno scorcio sulla psicopatologia del quotidiano e sulle forme particolari della nostra soddisfazione individuale: il mangiarsi le unghie, le pellicine, il piacere senza tempo della suzione, del mordersi, della masticazione. Una “fame senza fame” il cui simbolo non è più la pancia che si riempie, ma la bocca e i denti che lavorano — e divorano — se stessi in un godimento di sé circolare e potenzialmente senza fondo.

Bibliografia
Baudrillard, J. (2010). La Società dei Consumi: I Suoi Miti e le Sue Strutture (Trad. Gustavo Gozzi e Piero Stefani). Bologna: Il Mulino.
Nietzsche, F. (1964). Aurora e Frammenti Postumi (1879–1881) (Trad. Giorgio Colli). Milano: Adelphi.
Nietzsche, F. (1970). Il Crepuscolo degli Idoli: Ovvero Come si Filosofa col Martello (Trad. Ferruccio Masini). In F. Masini e R. Calasso (Ed.). Il Caso Wagner — Crepuscolo degli Idoli — L’Anticristo — Ecce Homo — Nietzsche Contra Wagner (pp. 51–164). Milano: Adelphi.
Nietzsche, F. (1996). La Gaia Scienza (Trad. Francesca Ricci). Roma: Newton Compton Editori.
Nietzsche, F. (2018). La Volontà di Potenza: Scritti Postumi per un Progetto (Trad. Giulio Raio). Roma: Newton Compton Editori.

Questo testo è un estratto dall’ultimo numero di Charta Sporca (#36, Fame), distribuito da Le Lettere Scarlatte Edizioni, seguito dalla prima metà dell’editoriale scritto dalla redazione di Charta Sporca.


Alessandro Sbordoni è nato a Cagliari nel 1995. È l’autore di Semiotics of the End: On Capitalism and the Apocalypse (Institute of Network Cultures, 2023) e The Shadow of Being: Symbolic / Diabolic (2a edizione, Miskatonic Virtual University Press, 2023). Alessandro collabora con la rivista inglese Blue Labyrinths e la rivista italiana Charta Sporca. Vive a Londra e lavora per la rivista scientifica Frontiers.