Gli Oscar sono il Sanremo del cinema. Questo è risaputo. Però, ogni anno, è interessato osservare fin dove si spinge la mano invisibile (neanche troppo) della propaganda. Anche perché questa è stata probabilmente una delle edizioni più politiche di sempre.
Analizziamo velocemente la serata di ieri sera.
Miglior film ovviamente a Oppenheimer. Ovvio, come sarebbe potuto andare diversamente? Un film costato tantissimo, per tre ore di discorsi e fastidiosi giochi audiofili. Bellissimo il contesto della guerra fredda, l’unica motivazione per cui non esci dalla sala e inizi a minacciare il cassiere per farti ridare i soldi del biglietto. Ma questo non basta. Tre ore di puro nulla. Tre ore di Oppenheimer che si chiede “forse ho fatto qualcosa di sbagliato…”. Forse gli yankee stanno ancora elaborando una giustificazione sensata per il fatto di aver sganciato due belle atomiche sui civili, con la scusa di salvare il mondo, certo. Unico paese al mondo ad averlo fatto. Il loro personale olocausto, oggi possiamo dirlo, col senno di poi. Roba che se fosse successo in Russia, in qualsiasi paese dell’allora terzo mondo o se lo avessero fatto i palestinesi… vabbè, lasciamo stare.
Miglior film straniero a La zona d’interesse. Un capolavoro, sul serio. C’è poco da aggiungere. Un grandissimo film. Certo, questo premio, con quello che sta succedendo a Gaza, assume delle sembianze tutte politiche – e non sto dicendo che Ceccherini ha ragione… Comunque Glazer, dopo essere stato premiato, per conto suo ha detto che questo è un film sul presente, menzionando il 7 ottobre così come l’orrore degli attacchi israeliani. Una botta al cerchio e una alla botte.
Non avrebbe potuto vincere quello di Garrone, perché al momento per gli USA è più importante giustificare l’appoggio al primo ministro di Israele, Benjamin Netanyahu, piuttosto che lanciare un messaggio retorico sui migranti. Comunque mettendolo nella cinquina il messaggio è arrivato comunque. Grazie zio Sam.
Una manciata di statuette anche per Povere creature. OVVIAMENTE. Uno dei film più brutti dell’anno. Un film di una banalità senza eguali, noiosissimo, visivamente brutto e che definirei anche moralmente pericoloso, ha vinto 4,5 premi, neanche mi ricordo quanti. Ma è ovvio che sia così. La moda è questa e non poteva andare diversamente.
E poi il fiore all’occhiello di questa rassegna:
Miglior documentario a 20 Days in Mariupol. Una scelta così… sicuramente non ideologica. Coloro che hanno assegnato questo premio hanno visionato i tantissimi documentari belli e importanti usciti quest’anno e hanno scelto, tra tutti proprio questo. Così, in maniera disinteressata. Lo hanno scelto perché porta avanti un’idea di cinema innovativa e parla di cose sconosciute che è giusto far conoscere a un grande pubblico………
Miglior canzone originale a Barbie. Eh beh… una canzone che Johann Sebastian Bach scansati. Però ti pare che non diamo una statuetta a una delle icone americane per eccellenza, poi c’è pure tutto il discorso woke, ecc… Tra le cose più scontate questa.
Miglior sceneggiatura non originale a American Fiction. Ci stavamo dimenticato… fermate tutto! Ma allora Black Lives Matter? Un bel film su come viene trattata la letteratura black dall’editoria, immediatamente. Non scherziamo.
Uniche cose carine:
Miglior sceneggiatura originale a Anatomia di una caduta. Uno dei capolavori di quest’anno. Un grandissimo film, senza nulla da aggiungere.
Miglior attrice non protagonista a Da’Vine Joy Randolph. La cucciolissima attrice di The Holdovers, contento che abbia vinto l’Oscar.
Riccardo Papacci è co-fondatore e CEO di Droga. Ha scritto un libro (Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro) e ne ha in cantiere un altro. Collabora con diverse riviste, tra cui Not, Il Tascabile, Esquire Italia, Noisey, L’Indiscreto, Dude Mag.