La Francia non è famosa solo per avere grandiose cattedrali gotiche medievali. Essa vanta anche alcuni gruppi che traevano da quei dimenticati splendori architettonici e dall’immaginario al quale appartenevano le influenze più dirette per la loro musica. Uno di questi risponde al nome di Opera Multi Steel. Un vero e proprio culto per gli amanti del genere, e non solo.
Attivi dal lontano 1983, hanno visto nascere e perire la scena new wave inglese, mentre senza accorgersene hanno contribuito a costruire dalle fondamenta quella francese. Una scena, quella francese, tra le più varie ed eterogenee, per certi versi molto simile a quella italiana: senza un suono specifico che accomunasse tutti gli esponenti. Ma per gli Opera Multi Steel il discorso è ancora più specifico. Si tratta di suoni e atmosfere ancora più stranianti, che anziché essere rivolti al futuro, come nella gran parte del movimento new wave, fanno riferimento a epoche passate, in particolare alla sacralità medievale – motivo per cui sono spesso (forse ingiustamente) associati al genere dark e gothic.
Franck Lopez fonda nel 1979 gli Avaric, gruppo che proponeva un folk arcaico impegnato a riproporre antiche arie musicali con strumenti perlopiù classici, poi, finita l’esperienza nel 1983, chiamò a raccolta suo fratello Patrick L. Robin e Catherine Marie: così nacquero gli Opera Multi Steel. La nuova onda sintetica era troppo travolgente per non essere cavalcata. Gli strumenti elettronici potevano assecondare ogni loro inclinazione, anche senza essere dotati di chissà quale tecnica. Un EP, qualche concerto e poi Cathédrale, il loro primo vero album, un capolavoro dal sapore pastorale, tra new wave, pop e liriche che fanno viaggiare lontano. Il resto è caratterizzato da tanti altri album memorabili, fino ad arrivare al 2023, anno in cui i nostri tornano con ben due album, Les Passions Tristes e Elégies Mémorielles.
Inizierei col chiedervi subito come è nata la vostra passione per la storia…
Franck Lopez: È ovvio che il nostro gusto per la storia ha molto a che fare con la città in cui siamo cresciuti. Un’antica città medievale il cui centro storico conserva ancora molte tracce del passato: case a graticcio in particolare, ma soprattutto splendidi monumenti come la cattedrale di St. Etienne, ovviamente, da tempo inserita nel patrimonio mondiale dell’UNESCO, ma anche il palazzo Jacques Coeur, costruito nel XV secolo dal tesoriere di re Carlo VII, l’Hôtel Lallemant e numerose chiese di varie epoche. Per alcuni di noi, la Storia è stata la materia preferita fin dalle scuole elementari, anche se non tutti hanno approfondito l’argomento durante gli studi superiori. Alcuni dei nostri insegnanti sono stati in grado di farcela assaporare e il fatto di essere nati in una città ricca di storia non poteva che portarci a questa inclinazione, consciamente o inconsciamente…
Perché vi soffermate soprattutto sull’immaginario del Medioevo?
Franck Lopez: Come dicevo, probabilmente a causa del passato medievale della nostra città natale, ma anche a causa dei libri di storia della nostra infanzia in cui questa medioevo era spesso rappresentato in forma idealizzata, probabilmente senza un’esatta relazione con la realtà di quel tempo, ma che da qualche parte ci faceva sognare: castelli, cattedrali, cavalieri, tornei, amori cortesi, chissà…? Questa inclinazione per questi tempi lontani un po’ fantasticati si percepisce sia nei nostri lavori (Histoires de France, Les Douleurs de l’Ennui, ecc.) sia nell’uso occasionale di strumenti antichi come il dulcimer, il salterio, il crumhorn, la mandola, ma soprattutto il flauto dolce, che è sempre stato parte integrante del nostro sound.
Potreste citare qualche libro di storia che vi appassionò particolarmente?
Franck Lopez: Potrei citare una delle opere di Eugène Viollet-le-Duc (1814-1879) che non era uno storico in senso stretto, ma piuttosto un architetto che ha fatto molto per la riscoperta del Medioevo e in particolare dell’architettura medievale. A lui dobbiamo il restauro di Notre-Dame de Paris, dei bastioni di Carcassonne, della basilica di Vezelay, del castello di Pierrefonds e di molti altri monumenti francesi. Un suo libro, in particolare, che si chiama Enciclopedia dell’Arte Medievale. Abbiamo utilizzato alcune delle incisioni presenti per illustrare la copertina interna de Les Douleurs de l’Ennui. Oltre a quest’opera speciale, credo che quando eravamo molto giovani, Patrick e io, siamo stati segnati dalle incisioni presenti nei numerosi volumi della Storia di Francia di Henri Martin (1810-1883) che nostro padre aveva comprato a un’asta e che noi sfogliavamo da bambini, regolarmente nei giorni di pioggia. All’epoca non c’era Internet!!!
Quali erano le cose che vi appassionavano di più quando vi siete incontrati e avete deciso di formare gli Opera Multi Steel?
Catherine Marie: Prima di fondare gli Opera Multi Steel, solo Franck aveva avuto un’esperienza musicale seria con un gruppo folk chiamato Avaric, con cui aveva registrato quattro album. Da questa prima esperienza rimane negli OMS l’uso di strumenti antichi e di melodie talvolta ispirate a canti religiosi. Detto questo, anche gli altri due membri della band erano appassionati di musica. Fu la fine degli Avaric e l’emergere della new wave inglese che all’epoca non si chiamava ancora Post-Punk (New Wave, Cold Wave, Synth Pop…) e la passione che avevamo per gruppi come The Cure, Ultravox, Orchestral Manoeuvres in the Dark…. che fu all’origine della nostra band e che ci diede la voglia di lanciarci tutti e tre nell’avventura. Avevamo anche un gusto smodato per le tecnologie elettroniche, che allora cominciavano a diventare molto più accessibili, e avevamo un enorme desiderio di usare le drum machine. Oltre alla musica, abbiamo avuto molto presto il desiderio di condividere attraverso i nostri album il nostro gusto per la lingua francese e l’arte nelle sue varie forme (pittura, architettura, poesia, ecc.), nonché una certa forma di misticismo distanziato dovuto alla nostra educazione giudaico-cristiana. Tutto questo era in realtà abbastanza inconsapevole, senza dubbio un po’ confuso, ma con il senno di poi possiamo analizzarlo così.
Le nostre passioni individuali hanno dato vita a una passione comune che continua tuttora su basi quasi simili.
Ascoltavate la musica italiana negli anni ’80? C’erano grandi gruppi come Litfiba e Diaframma, tanto per citare i più famosi.
Catherine Marie: Dobbiamo ammettere che ascoltavamo soprattutto musica anglosassone e che la new wave italiana, con alcune eccezioni, ci era piuttosto estranea, come del resto quella di altri paesi europei. Come già detto, Internet non esisteva all’epoca e pochissimi media nazionali (radio, televisione, ecc.) non si occupavano di movimenti che non sembravano loro sufficientemente “mainstream”, a maggior ragione se provenivano da altri paesi. Bisognava essere molto curiosi o molto ostinati per scoprire musica originale o gruppi un po’ fuori dal comune. Questo è ciò che cercavamo di fare ed è probabilmente ciò che rifletteva il nostro stile un po’ indefinito di allora: il desiderio di fare qualcosa di diverso traendo ispirazione dalle nostre influenze più importanti. I Litfiba sono una delle poche band italiane di cui conoscevamo il nome senza aver mai approfondito il loro lavoro… Recentemente abbiamo avuto modo di ascoltare una compilation di gruppi elettronici e new wave italiani intitolata Mutazione e prodotta dall’etichetta inglese Strut. Ascoltandola, ci si rende conto che anche il movimento new wave italiano era molto ricco e vario nelle sue forme…
A questo punto allora parlerei proprio del movimento new wave in Francia…
Catherine Marie: Quando abbiamo iniziato, non ci sentivamo di far parte di un movimento, in senso stretto, e la scena indipendente francese era per lo più occupata da gruppi punk-rock (cantante-basso-chitarra-batteria) con i quali sentivamo di non avere tanti punti in comune… molto lontani dal nostro minimalismo elettro-acustico e dalle nostre aspirazioni grafiche!!! Tra i tanti, possiamo citare gruppi come Ludwig Von 88, Parabellum, Black Maria…
Non sapevamo che oltre a questa scena un po’ onnipresente nei media paralleli dell’epoca, esisteva anche quella che fu poi chiamata la new wave francese (coldwave) e che scoprimmo gradualmente per apprendere infine, dopo diversi decenni, che ne avevamo fatto parte quando all’epoca ci sentivamo molto isolati! Di questa scena cold wave francese fanno parte Guerre Froide, Trisomie 21, Norma Loy, Clair Obscur, Pavillon 7b e molti altri…
Alcuni di loro sono ancora attivi come noi dopo tutti questi anni.
Perché avete deciso di esprimervi attraverso un linguaggio musicale d’avanguardia, come quello sintetico della new wave, per richiamare mondi lontani e ormai perduti? Perché non la musica classica o folk, come alcuni di voi hanno fatto ad esempio negli Avaric?
Franck Lopez: Avaric non era propriamente un gruppo di musica “classica” nel senso che di solito diamo a questa parola. Era piuttosto una formazione in cui riprendevamo le arie della musica antica o tradizionale o in cui componevamo alcune canzoni con questo stesso spirito, utilizzando testi di autori antichi che prendevamo da vecchi libri consultati nelle biblioteche di Bourges. Non abbiamo le competenze necessarie o sufficienti per decifrare le partiture o interpretare le complesse opere dei compositori cosiddetti “classici”. Inoltre, lavoriamo solo a orecchio e suoniamo quasi solo le canzoni che componiamo. All’epoca era quindi molto più facile e attraente per noi immergerci nelle possibilità quasi infinite che ci offrivano le drum machine e i sintetizzatori polifonici. All’epoca non avevamo la sensazione di far parte di un movimento d’avanguardia, anche se nel nostro quartiere eravamo gli unici a fare la musica che facevamo (una sorta di electro folk pop minimale…) I veri pionieri erano per noi sicuramente i gruppi e gli artisti inglesi, di cui abbiamo fatto qualche nome prima e il cui elenco sarebbe troppo lungo da fare qui. All’epoca non sapevamo che molti anni dopo saremmo stati considerati tra i pionieri del Post-Punk francese, soprattutto perché il nostro stile un po’ eterogeneo non ci permetteva di collegarci a un movimento preciso. Il nostro amore per i “tempi andati” e per la Storia, nel corso degli anni, non si è quindi rivelato così incompatibile con una certa idea di quella che è stata definita la New Wave!
Credo infatti che ci sia molta confusione all’interno del genere coldwave. Qualsiasi band che presenti linee un po’ cupe e temi non allegri viene automaticamente inserita nel movimento “dark”. Mentre invece credo che la vostra musica e ciò che esprimete sia molto particolare, non così facile da definire. A voi, ad esempio, dà fastidio essere associati a band EBM concettualmente molto più primitive? Come vivete questa situazione?
Franck Lopez: Dato che il nostro stile è definito molto spesso “indefinibile”, per noi è stato per molto tempo difficile collegarci a un movimento particolare. Cold wave è un termine generico e non ci dispiace essere paragonati ad altre band che non hanno necessariamente la nostra stessa estetica. L’EBM mi sembra un genere a sé stante, anche se spesso viene assimilato alla cosiddetta musica dark. La gente ha bisogno di etichette per classificare i generi musicali. È chiaro che negli Opera Multi Steel ci avviciniamo e mescoliamo un po’ di molti stili: folk, medievale, synth pop, minimal wave, cold wave, electro-pop… il che non facilita la nostra classificazione… e soprattutto facciamo canzoni che esprimono il nostro stato d’animo e i nostri gusti del momento senza preoccuparci troppo di rientrare in una scatola particolare o di obbedire a un dogma stilistico ben definito. Quindi non siamo proprio un gruppo dark, ma alcune delle nostre canzoni lo sono. Anche se questo termine non è sufficiente per dire cosa sono gli Opera Multi Steel, dobbiamo sottoscriverlo di default. Siamo anche definiti come una band “Post Punk”, ma questa denominazione comprende così tanti generi diversi che non aiuta a identificarci!!! Questo termine definisce più un contesto che uno stile musicale vero e proprio.
Credo che la Francia degli anni Ottanta abbia contribuito molto alla codificazione di un suono pop raffinato e particolare. Band come Indochine, Baroque Bordello e tante altre facevano cose molto strane pur riuscendo ad avere un suono pop. Come avete vissuto questa esperienza in Francia in quegli anni? Quali sono le band francesi che avete apprezzato di più in quel periodo?
Catherine Marie: In effetti, per gli Indochine bisognerebbe fare un discorso a parte. È l’unico gruppo “new wave” francese ad aver raggiunto le classifiche e una grande notorietà perché i media nazionali si sono appropriati molto rapidamente delle loro canzoni. Agli esordi utilizzavano gli strumenti e i codici della new wave per comporre brani che potessero piacere al maggior numero di persone. Gli Indochine sono stati rapidamente considerati in modo dispreggiativo come un gruppo di “pop variety” nei circoli indie. Anche se oggi questo gruppo non è ovviamente più lo stesso degli anni Ottanta, riesce ancora a riempire interi stadi in Francia. Al contrario, i Baroque Bordello sono un gruppo che ha avuto una carriera più riservata, anch’essa più breve ma più originale e personale, come altri gruppi francesi un po’ più noti come Marc Seberg, Tanit o Kas Product, che abbiamo ascoltato all’epoca.
Il vostro immaginario si concentra su epoche lontane, ma i bellissimi testi delle vostre canzoni non fanno quasi mai riferimento a eventi cronologicamente precisi. (Almeno da quello che ho notato).
Perché questa scelta?
Patrick L. Robin: Per quanto mi riguarda, è ovvio che tra tutti i testi che ho scritto ci sono molti legami con i primi e i precedenti ascolti, con i ricordi personali di tutti i dischi che ho ascoltato e con le immagini animate che guardavo sugli schermi della TV o del teatro! Ma non solo! Anche molti cartoni animati della Disney, più che film in effetti! È una sorta di terapia ricordare l’atmosfera fantastica che ho condiviso, che ho sentito! Questo mondo artificiale addolciva la mia sofferenza e la mia tristezza infantile! Né il papà né il nonno erano ancora vivi in questo periodo della mia vita. Che peccato!
Quanto il cinema ha influenzato la vostra musica? Probabilmente non c’entra nulla, ma uno dei vostri brani si chiama “Paulette à la plage”. Un film di Rohmer di sei anni prima si chiama Pauline à la plage…
Patrick L. Robin: Faccio riferimento a molti film e quando guardi e ascolti le colonne sonore di ognuno di essi, ritrovi quell’aspetto impressionante che diedero al tuo cervello. Per esempio, Blow up di Antonioni. Inizia con una fotografia in un giardino pubblico e, a causa di un corpo (morto) visto su una parte dell’immagine, inizia un’indagine condotta dal fotografo (Jane Birkin aveva un ruolo molto importante e vorrei rendere omaggio a questa persona franco-inglese che è morta di recente…) Ho amato questo ambiente verde e britannico del parco.
Lo stesso vale per Pauline (Paulette) à la plage diretto da Rohmer, un’atmosfera fresca e innocente sulla spiaggia… e così via… è una proiezione!
A questo punto allora vorrei sapere che tipo di cinema vi piace e quali autori.
Patrick L. Robin: Oltre a quelli di Rohmer, amo tutti i film di David Lynch, Jacques Demy (Peau d’Ane), Marcel Carné (Les Visiteurs du Soir), Andrej Zulawski (Possession, L’important c’est d’aimer) David Cronenberg (tutta l’opera), Luis Bunuel (Le charme discret de la bourgeoisie, Cet obscur objet du désir), Bergman (Le septième sceau) e prima di tutti mr. Jean-Luc Godard, il quale ha dichiarato: “La fotografia è la verità ma il cinema è la verità 24 volte al secondo”.
In “En très Haut Lieu” sembra si parli di un’elevazione divina o di un declassamento umano. Quanto è interessato il soggetto contemporaneo a temi come la spiritualità. Che rapporto ha questo soggetto con il sacro?
Patrick L. Robin: Dio può essere buono e importante per una persona, ma non per l’intera parte degli esseri umani! Si può arrivare al punto di rottura cercando i propri bisogni spirituali e il proprio senso di spiritualità, ma tutte le azioni che si producono per questa ricerca possono essere sia razionali che morali. Questo non è proprio binario, alla fine. Nessuno è Bene o Male, ma entrambi allo stesso tempo. Il grigio è fatto di bianco e nero. La libertà inizia quando si riesce a migliorare il proprio senso della ricerca di Dio! Dopo aver contemplato il divino, si può subire una trasformazione spirituale e diventare davvero una persona nuova, completamente rinnovata o distrutta! È come volete voi. È di questo che parla “En très Haut Lieu”. È un mix di entrambe le cose. Ma terrificante e ipnotica, questa ricerca può essere descritta come un’opera divina, una Divina Commedia come quella esplorata da Dante. Gli aspetti sacri della vita mi sembrano importanti quanto l’acqua e la pioggia, il mare e le lacrime, il sole e il fuoco, la terra e il cuore… soffiare, riscaldare, bruciare allo stesso tempo!
Il sacro è costruito da certe entità (sacerdoti, streghe, papi, sciamani, profeti…), è una sorta di rispetto che porta all’idolatria, alla predicazione, alla lode e all’elaborazione di Templi, chiese, ben decorate con statue, dipinti, vetrate e musiche e canti ispirati. Il sacro è un rito pieno di ricerca estetica… I momenti che viviamo ora potrebbero essere gli ultimi e ricorderò sempre le parole che un parroco disse alle persone che assistevano a una festa al cimitero: “Non dimenticate che presto, quello sarà un biglietto singolo per ognuno di voi!”. L’amicizia è un modo per condividere il sacro in rapporti familiari, per dimenticare l’evidenza di lasciare la terra un giorno! Anche se è triste considerare che alcune persone pensano che tu sia morto dal momento che non cercano di tenersi in contatto!
Nel brano “Vers l’Ethernel”, si parla invece di eternità. Come considerato questa dimensione in un mondo sempre più istantaneo?
Patrick L. Robin: In base a ciò che può accadere alla nostra mente dopo la morte, farei meglio a dire che questo mondo (il nostro) sembra muoversi velocemente. In effetti, quello fisico naturale si muove al suo ritmo. Pensiamo che ci sia la possibilità di andare più veloci della Creazione Divina. È vero che i tempi vanno sempre più veloci, ma noi contribuiamo ad accelerarli e a portarci all’accelerazione (solo umana).
Mi sembra che il lavoro degli Opera Multi Steel si sforzi proprio di conservare le tracce del passato per attualizzarle attraverso la vostra sensibilità.
Patrick L.Robin: Questo non significa che l’eternità sia solo un concetto umano! È una via di mezzo. Finché il corpo può essere mantenuto in vita, l’anima rimarrà al di sopra o al suo interno? Se accettate finalmente la morte come una realtà, non proverete o esprimerete paura di morire. Attraverso la moralità relativa e la spiritualità deicida si può essere potenti… sperando di conservare le tracce del passato o, meglio, le impronte del futuro. Un futuro presto, molto presto imminente!
Le tracce del passato mi hanno dato un’intensa attivazione dell’immaginazione ed è per questo che hanno influenzato molto il mio modo di pensare e di comporre le mie liriche; attraverso un mondo nostalgico molto speciale (personale?) che mi porta a un sentimento protettivo vissuto dai miei vent’anni di esistenza e quaranta di senescenza e spero fino al mio ultimo giorno, finché sentirò qualcosa con la mente cosciente… Ho sempre mantenuto questa sensibilità (romantica?) di fronte all’aspetto duro della realtà, da cui sono finalmente fuggito, rifiutandola, negandola… Comunque, e per concludere, tutte le mie liriche possono essere lette come piccoli, brevi story-board intimi. Penso davvero che la vita sia un gioco, un sogno o un incubo. Come un protagonista, creo un personaggio che adatto a determinate situazioni. La sinossi qui viene dopo l’atto ma prima delle scene. Direi che questa progressione inversa potrebbe essere la spiegazione, la ricetta di questa strana costruzione (elaborazione)…
“Questo ti renderà in grado di capire ciò che non spiego veramente?”.
Aspetta e vedrai!
Riccardo Papacci è co-fondatore e CEO di Droga. Ha scritto un libro (Elettronica Hi-Tech. Introduzione alla musica del futuro) e ne ha in cantiere un altro. Collabora con diverse riviste, tra cui Not, Il Tascabile, Esquire Italia, Noisey, L’Indiscreto, Dude Mag.