Talitha Qumi.

Sono steso sul letto, fa un caldo pazzesco e io sono dentro al secondo giorno consecutivo di hangover. Dopo la seconda sera consecutiva di inciclonamento, la seconda mattina di anticiclone è una replica della prima ma elevata a potenza. La prima mattina, cioè ieri mattina, peraltro era stata già abbastanza difficile di per sé. Infatti sono rimasto a letto a sudare e a pensare alle ingiustizie della vita fino circa alle sei di sera quando è calato un po’ il caldo. Quindi mi sono alzato e sono tornato a bere con Lorenzo nel posto dove eravamo la sera prima, cioè abbiamo ripreso il lavoro da dove l’avevamo lasciato.

Non so Lorenzo di questa seconda mattina cosa ne pensa, ma lui risente meno degli effetti del ciclone e quindi, per la legge di Erofeev, patisce anche meno i relativi anticicloni. Io invece no, sono ipersensibile, io risento molto di tutti e due, la sera ballo e canto e la mattina piango. In particolare questa mattina qui, la seconda, in cui la prima si moltiplica per se stessa, io resto di nuovo a letto e sudo freddo, e ripenso a tutte le ingiustizie della vita e finalmente mi sembra di riuscire a scoprire il colpevole di ognuna di esse, cioè di tutte, visto che il colpevole, pensa e ripensa, mi convinco sempre di più che è uno solo: io.

Con Lorenzo dovremmo partire per la vacanza questo pomeriggio sul presto, ma io sto ancora a letto nel caldo pazzesco e sudo freddo e sono pronto a confessare davanti al tribunale della Vita che il colpevole di tutte le ingiustizie sono io. Sono già pronto anche ad affrontare una condanna a morte, che mi sembra il minimo che posso meritare, e quindi venire ucciso sulla pubblica piazza, o anche in uno scantinato per quello che me ne frega, così in mutande come sono e non se ne parli più. La valigia per partire comunque non è pronta, l’auto non mi ricordo dove l’ho parcheggiata, le gambe non riesco tanto a muoverle e neanche le idee. Allora io vorrei telefonare a Lorenzo e dirgli che non se ne fa niente, che è impossibile. Lo so Lorenzo cosa direbbe, sento già la sua voce dentro il telefono che mi parla placida, perché Lorenzo è sempre placido, tanto più placido quanto più io sono agitato.

Dice: Paolo, ma come? Come, Lorenzo… così: è impossibile, non ce la faccio. Ma Paolo… e la nostra vacanza? Lo so Lorenzo, ti sto dicendo che mi dispiace, ma il fatto è che non riesco a muovermi. Ma come Paolo, stai male, hai battuto la testa, vengo e ti porto all’ospedale? No caro Lorenzo niente dottori, niente ospedali, il fatto è che ho i nervi a pezzi… tutto qui. In che senso Paolo i nervi? Sì, i nervi Lorenzo, tu come stai messo a nervi? Non so Paolo, io ho solo un filo di mal di testa ma adesso bevo un po’ d’acqua e mi passa. Io, Lorenzo, che ho i nervi a pezzi vuol dire che mi sento le mani molli, sono solo e in mutande e le mutande sono anche un po’ pisciate, non mi ricordo come si chiamavano i miei compagni delle elementari e ho anche appena scoperto di essere il colpevole di tutte le ingiustizie della vita.

Allora penso che in effetti non posso chiamare Lorenzo e dirgli questo, va a finire che viene qui a casa e mi fa lui la valigia e mi fa anche la ramanzina e io poi vedo quanto poco gli fa il ciclone a questo ragazzo e quanto invece mi distrugge a me e sicuro che alla fine mi viene da piangere e gli chiedo scusa. Scusa che sono io il colpevole di tutte le ingiustizie della vita e che, per giunta, fino a oggi non me n’ero mai neanche reso conto. Eppure era tanto evidente. Concludo che forse di partire per la vacanza tutto sommato non riuscirò a evitarmelo e che, però, fra un certo numero di ore le cose potrebbero anche prendere una piega quasi accettabile. Penso che intanto, invece che telefonargli, a Lorenzo potrei scrivergli, per cercare di metterlo in un’ottica, seppur ancora di vacanza, quanto meno di ritardo della partenza.

Sul telefono che ho in mano fin da quando mi sono svegliato, anche perché è il telefono in qualche modo l’epicentro del mio anticiclone e io ho paura ad allontanarmelo, apro un messaggio e scrivo: “Dispiace tanto anche a me, anche io ti voglio bene”. Dopo che lo mando, quasi immediatamente, il telefono inizia a vibrare. Io penso che non ho la forza di rispondere, però poi non ho neanche la forza di non rispondere, allora rispondo. Accenno un po’ in generale all’anticiclone, ma è una cosa da vergognarsi mentre la dico e allora non calco troppo la mano, non è neanche Lorenzo al telefono quindi non mi sembra il caso di lamentarsi per niente, allora dico che nel pomeriggio dovrei partire per la vacanza e poi, proprio con le parole che mi rotolano giù dalla lingua da sole, se vogliamo vederci a pranzo da me.

Da mangiare in casa non ho quasi niente e comunque faccio una fatica incredibile, che è incredibile già che ce la sto facendo, a mettere insieme un’insalata. Lei arriva, ci sediamo, mangiamo, a me ben presto viene da piangere perché sarà più di un mese che non ci vediamo, un mese in cui è sempre stato così evidente che ero io il colpevole di tutte le ingiustizie della vita. Ora vedo anche che lei già lo sapeva, e anche meglio di me, ma non diceva niente e aspettava solo che me ne accorgessi io. Allora, un po’ girandoci intorno, cerco di farle capire che sì, me ne sono accorto anche io alla fine. Cioè non proprio una confessione aperta perché, effettivamente, cosa vuoi dire? Con quali parole si può dire una cosa del genere? Insomma, finisce che sono in piedi in cucina con gli occhi pieni di lacrime che cerco di dirle questa cosa ma senza usare le parole e lei, che forse mi ha capito lo stesso anche senza usare le parole, si alza dalla sedia e poi si spoglia.

Ed eccomi di nuovo a letto, con un anticiclone di due giorni e sudato fradicio per il caldo e per aver fatto l’amore con la donna che ho appena incominciato ad amare con tutta la tragedia possibile per uno che ha scoperto di essere lui il colpevole di tutte le storture della vita e forse a breve verrà giustiziato in una cantina senza neanche più addosso le mutande. Mi viene in mente quindi che adesso forse si è fatto tardi e che alla fine dovrò proprio partire per la vacanza, e che anche lei peraltro domani parte per la sua vacanza, e penso che queste vacanze proprio non ci volevano, proprio adesso… ma anche di questo è colpa mia, in fondo, come di tutto il resto. Improvvisamente in vena di prendermi le mie responsabilità scrivo a Lorenzo che partiamo in ritardo ma partiamo, di portare pazienza, e lui dopo mezzora mi risponde che non c’è problema perché tanto si era addormentato per il caldo e che non ha ancora fatto la valigia.

In sostanza lei è andata a fare la doccia e Lorenzo non sta venendo qui a farmi la ramanzina, allora io resto sdraiato e penso a Venedikt Vasil’evič Erofeev e a un’altra cosa che ha detto, cioè che la vita forse vuol dire essere sempre e perennemente sbronzi solo che ognuno a modo suo: a chi gli prende più pesante, a chi più leggera; chi è come fosse all’inizio ed è tutto pimpante, chi è ormai marcio e piange o, peggio, riesce solo a vomitare. A qualcun altro, invece, è sempre come se gli fosse appena passata e praticamente vive tutta la vita in un lungo deprimentissimo anticiclone. Finisco di pensare questo che lei torna e si mette davanti a me in piedi tutta nuda e mi guarda.

Io penso che vorrei fare l’amore con lei un’altra volta e poi magari piangere ma, siccome sono dentro fin qui nell’anticiclone, molto difficile che ce la faccio. Penso che mi toccherà a questo punto alzarmi, sudato fradicio, rimettermi le mutande pisciate, fare la valigia, cercare nel caldo pazzesco l’auto parcheggiata chissà dove, andare a prendere Lorenzo e partire per le vacanze, così, senza nemmeno essere stato giustiziato. La guardo mentre cerca in giro i suoi vestiti e se li rimette e penso che queste vacanze, anche se il resto magari no, queste vacanze sono proprio tutta colpa mia. Forse l’ultima ingiustizia che ho inflitto alla vita, e che vorrei, adesso che lo so che il colpevole di tutto sono io, se non mi giustiziano prima, avere ancora almeno il tempo di ravvedermi e farmi perdonare se ci riesco. Inizio quindi a essere contento, tutto sommato, di non venire giustiziato subito e riprendo tono e spero, insomma, di riuscire anche questa volta a cavarmela, in qualche modo. La saluto, quando esce, e lei mi dice “allora, buone vacanze”, e io sento come un morso alla bocca dello stomaco, una paura che si insinua, che non siano proprio queste vacanze cioè, alla fine, a giustiziarmi.

                                                                      


Paolo Sus vive e lavora a Milano, dove è nato. Con l’artista Thomas Raimondi, ha realizzato il libro-zine Filosofia Barbara (2019), che contiene nove racconti brevi; per Sartoria Utopia ha pubblicato il romanzo breve Pacifico Antico (2021). Appare con racconti e articoli su Bomarscé, Il Foglio Clandestino, Fumettologica, Rakuten Kobo e FV magazine.