Russell Westbrook 0 – Hungry Black Jaguar Panther

Agendo per tramite dei suoi procuratori, Russ aveva conquistato nella stagione precedente il controllo dei tre più grossi allevamenti di cani della costa orientale guadagnando in tal modo praticamente anche il controllo, e la responsabilità, della Mostra Canina tenuta quell’anno al vecchio e caro Staples Center. Il suo principale gérant, o uomo di paglia, in quell’operazione, era stato un certo señor LBJ, un messicano grande e grosso che da un pezzo era noto nell’ambiente dei cinofili come allevatore di chihuahua nastro-azzurro.

Con l’appoggio di Russ, e nel breve spazio di sei mesi, LBJ era divenuto famosissimo come proprietario di uno dei migliori allevamenti del mondo, noto non più soltanto per i suoi chihuahua, ma anche per i suoi pechinesi, i volpini di Pomerania e molte rare ed esotiche razze d’Oriente.

Sin dall’inizio s’era capito che la mostra di quell’anno a L.A. sarebbe stata un avvenimento di enorme importanza: i premi in palio erano stati sensibilmente aumentati e la competizione, di conseguenza, sarebbe stata più accesa che mai. 

Brillanti giovanotti e ricche vedove avevano iscritto i loro migliori e più nobili beniamini. Lo stesso LBJ aveva scelto di entrare in gara con un prezioso campione di razza sceltissima. Un settimanale di diffusione nazionale aveva dedicato all’avvenimento la copertina di uno degli ultimi numeri e un lunghissimo articolo di elogi al gran cuore dell’America, amante degli animali, “in evidente e sostanziale contrasto,” diceva l’articolo, “con certe selvagge manifestazioni tipo le corride di Spagna.”

In tal modo il giorno stabilito tutto lasciava supporre che le cose si sarebbero svolte secondo le lecite aspettative. Lo “Staples” era festosamente addobbato, gli spettatori vestiti a festa. Le grosse lampade gettavano luce a profusione, le grosse cineprese ronzavano e i partecipanti erano vestiti come per un’udienza dal papa – tuttavia in maniera un tantino ambivalente, desiderosi come erano da un lato di apparire ricercati, perfettamente in ordine e dall’altro di coccolare e tenersi in braccio, ove era il caso, le loro bestie.

A questo punto LBJ s’era fatto vivo; aveva raggiunto la fila di cani e i padroni radunati al centro dell’arena. All’altro capo del suo guinzaglio v’era un esemplare eccezionale di cane. Nero lucido, e quasi delle dimensioni d’un grosso danese, aveva un manto straordinariamente bello ed un portamento mai visto fin ora. In testa portava un copricapo che ricordava quello dei cagnolini da circo: gli copriva mezza faccia.

E mentre spingeva avanti la bestiola stizzita, che abbaiava e ringhiava, pronta a saltare addosso a chiunque, era successo qualcosa di straordinario – perché infatti Russ e LBJ, per motivi sfuggiti a ogni indagine svolta in seguito dalla stampa, avevano cospirato per far partecipare alla Mostra Canina della Crypto.com arena di quella stagione non un cane, ma addirittura una specie di terribile pantera nera camuffata, o forse un giaguaro affamato, che prima della fine della mostra non solo aveva portato il caos nello svolgimento della gara, ma in realtà aveva quasi divorato la metà dei “migliori esemplari” in gara.

Sulle prime, per rispetto alla posizione da lui occupata in quell’ambiente, LBJ era stato tenuto fuori da ogni critica e rimprovero e l’incidente considerato una vera e propria disgrazia dovuta, naturalmente, alla più nera sfortuna.

I partecipanti padroni di cane, gente influente, avevano prontamente insistito perché venisse aperta un’inchiesta, ma ogni testimone rintracciato prima di arrivare a deporre era stato tempestivamente corrotto. Alla fin fine nulla era saltato fuori – anche se, la vicenda era costata a Russ un bel po’.

Frank Vogel era come impietrito da questa strana realtà perché, pur essendo sicuro dell’evidenza del fatto, continuava a sembrargli tutto molto assurdo, dati l’atmosfera e il luogo. Quel tizio non poteva certo essere un professionista, e baro per giunta, inoltre tutti gli altri presenti lo conoscevano bene, era ovviamente loro amico e, in ogni caso, nessun professionista si sarebbe comportato in modo così pacchiano. C’è un’arte propria dei giocatori professionisti, che avendola acquisita con anni di allenamento, non abbandonano mai, neppure volendolo. Tirare i dadi in un certo modo fa parte del loro mestiere, non è un semplice trucchetto applicato a un paio di dadi.

Vogel era assorto in questi pensieri quando sentì il tizio che ridendo annunciava di lasciare tutto in gioco indicando con un gesto della mano i trentamila dollari sul tappeto verde. Ma il giovane vecchio scorgendo l’espressione perplessa di Frank Vogel, agì in modo rapido: afferrò i bigliettoni con la mano che teneva i dadi, li infilò nella tasca già gonfia e, con lo stesso rapido movimento, tolse la mano dalla tasca e rigettò i dadi sul tavolo.

– Be’, passo i dadi – disse buttandoli verso Vogel. – Spero infatti, che avrete la mia stessa fortuna, caro signore.

– Non è fortuna – disse Vogel con voce calma. – I dadi sono truccati.

– Che? – il viso del giocatore si fece scuro. – Non è uno scherzo di buon gusto, signore.

Frank Vogel disse che non lo era affatto. Chiese quindi che l’uomo gli facesse vedere i dadi che aveva usato.

– Quelli che avete in tasca, intendo. Li avete scambiati con questi qui, sul tavolo, mentre vi mettevate il denaro in tasca. Avete vinto quel denaro con dadi truccati.

– Davvero? Qualcuno condivide l’idea del signore?

Nessuno si dichiarò d’accordo con l’accusatore e tutti si affrettarono a chiarirlo. Sembrò che, tutti solidali con l’uomo giovane, ma vecchio, si fossero ravvicinati a lui e fissassero con ostilità Vogel.

– I dadi sono sul tavolo controllateli pure se volete. – Fece l’uomo.

– Intendo sempre quelli che sono nella vostra tasca. O me li fate vedere o mi restituite il denaro che mi avete sottratto barando.

Nello stesso momento una mano d’acciaio strinse il braccio di Frank Vogel e lo costrinse a girarsi.

Era il tipo che li aveva accolti all’ingresso del club. Il direttore di sala o il capo dei camerieri forse…

– Non siete ben accetto qui, signor Vogel. Vi consiglio di andarvene immediatamente.

– Un momento! Ma che razza di posto è mai questo? Vengo truffato di tremila dollari e voi… Ma chi diavolo siete per permettervi di intimarmi in questo modo di andarmene?

– Nessuno l’avrebbe fatto, signor Vogel, se non fosse stato per colpa vostra, credetemi.

– Vedremo cos’ha da dire il direttore! E ora vi prego di dirmi il vostro nome

– Certo – disse l’uomo, acconsentendo col capo. – Mi chiamo Kareem Abdul-Jabbar. 

[…] Infine stiamo attenti al suo linguaggio pastoso e lievitante sempre di significati nuovi. Il suo “stagno” è la posizione che ognuno deve crearsi per cui vedersi chiaramente con le cose circostanti; la sua L.A. non è quella geografia ma è un mondo nettamente diverso se non opposto a quello della “Contea”; il suo “Ponte di Sydney” non è quello reale ma lo stato di immobilità e di freddezza che alcune volte lo raggela; le sue varie “Copenaghen”, “Pechino”, “Senigallia”, “Johannesburg”, “Pescara” ecc. assurgono a simboli di modi di amare. Questo, s’intende, non era meccanicamente studiato, anzi l’incontrollato lirismo di Russ è spesso causa di deficienza di un affinamento estetico della sua opera.

Adesso si trovavano in un altro corridoio, più corto del precedente. Sul fondo, una scala di legno scuro  lucido saliva al piano superiore. Alla loro destra c’era una porta scorrevole a due battenti di foggia piuttosto antiquata, che al momento era chiusa.

Carmelo lanciò un’occhiata interrogativa al suo compagno, poi inserì le mani nelle scanalature della porta e l’aprì.

Lo sconosciuto potrebbe essere ancora qui, in questa casa. Spegni la luce e non fare il minimo rumore, disse a Trevor. Iniziò ad attraversare la stanza e a metà strada si fermò, allungò il braccio dietro di se e fece capire al suo compagno che doveva restare immobile.

Dall’oscurità si udì: – Fermo dove sei, amico! – gridò una voce roca.

La finestra si disintegrò in uno schianto di vetri che quasi coprì il rumore della detonazione esplosa all’esterno.

Sulle scale, attraverso il fumo dello sparo, si vedevano due gambe immobili. Un piede era posato su un gradino, l’altro su quello superiore. Una mano impugnava una pistola ancora fumante e sembrava mirare verso di loro.

La rivoltella esplose ancora due volte; dalla finestra già abbastanza danneggiata si staccarono altri pezzi di vetro, e una scarpa cadde per terra a pochi centimetri dal piede di Trevor Ariza.

– Questo povero diavolo è morto – disse Carmelo, alzandosi da terra ed abbassando lo sguardo verso Russ.

Squaderna. Gennaio 2022.


(G) Squaderna è una porta, (R) un pomello o un vicolo. (I) Viaggiatore del tempo e blah blah blah (P) – binocolo, lente, (C) telescopio che osserva la spocchia da realtà aumentata corrente e diffusa. (ASINO)