Episodio 1.
Lo ammetto, sono un fan degli ABBA. Un po’ come chiunque non abbia un palo infilato su per il culo, a me piace cantare – male – una o due canzoni degli ABBA al karaoke. Spesso canticchio le loro canzoni sotto la doccia, o le urlo quando ho bevuto un bicchierino in più. Non sono uno di quei mega fan che magari hanno visto 34 adattamenti teatrali del loro film capolavoro – “Mamma Mia” per chi è morto dentro e non ne sia a conoscenza – ma sono certamente, per iscritto e senza ombra di dubbio un fan sopra la media dei maschi eterosessuali. Ho pianto lacrime amare guardando Meryl Streep cantare “The winner takes it all”. Sono ovviamente andato in teatro per l’adattamento del film, un’esperienza esilarante in cui ho pianto vere lacrime di gioia per circa 30’. Ho ascoltato diverse volte a rota ‘Arrival’ su Spotify in cuffia, sempre terrorizzato che i miei colleghi scoprissero che no, non stavo ascoltando Plantasia o un album di musica tradizionale giapponese pubblicato nel 1963, ma piuttosto le canzonette che mamma ascoltava mentre cucinava la parmigiana.
Ma come resistere all’entusiasmo di Agnetha e Anni-Frid – le cantanti del quartetto, per chi ha vissuto la propria esistenza in una fosso senza accesso all’esterno – mentre urlano un travolgente, glorioso “You can dance. You can jive. Having the time of your life”? Chi può resistere? Forse qualcuno con un palo installato chirurgicamente su per l’ano? Di certo non io.
Fù proprio ascoltando gli ABBA su Spotify che notai un pattern interessante: molti dei loro testi potevano essere interpretati in termini religiosi. Si parla di raggi accecanti, luminosi quanto il Sole, di devozione, di divinità che giocano a dadi – voglio dire, c’è un’intera conversazione con un ministro che parla dell’Apocalisse in uno dei testi! Non sto esagerando, leggete il testo di “On and on and on”.
Per me fu una vera e propria epifania. Un po’ come l’epifania di Philip Dick – e guarda caso ritroviamo un’esperienza molto simile in uno dei testi dei nostri.
Ed è così che qualcosa è scattato dentro di me, una forza che mi ha spinto in una direzione che, onestamente, non ha smesso di sorprendermi fino al punto in cui mi trovo oggi – sull’orlo d’un abisso di cui non riesco a vedere il fondo.
Dario Abece è un grandissimo fan della pizza.