Flavio Scutti intervista Giuseppe Esposito, fondatore dell’etichetta discografica Archivio Diafònico. Un dialogo tra musica sperimentale e ricerca sonora, tra mondo e provincia.
Giuseppe Esposito, per i social _italianoccultprovincia, è un protagonista del panorama musicale, di quello colto per capirci. Le sue attività sono tra le più articolate, spaziano dalla scoperta e pubblicazione di luoghi curiosi, naturali ed antropizzati, chi con una storia da conoscere, chi con una intensità di significanti che girano grossomodo intorno all’espansione della provincia che ingloba la città. Solitamente accade il contrario, ma nel tuo caso diventa una proiezione abbastanza unica che delinea tutto il resto. Cosa ti affascina di questo che è diventato l’immaginario con cui ti presenti?
Innanzitutto ti ringrazio per il “protagonista del panorama musicale”, anche se non è del tutto vero : D. Essendo nato e cresciuto in provincia, o più precisamente dove la periferia inizia a diventare provincia, ho sempre avuto un forte legame con i luoghi residuali, desueti, al limite anche nascosti o abbandonati. Negli ultimi anni mi sono spostato in vari posti, restando però sempre legato all’idea della provincia come margine esterno, non solo geografico ma anche politico: nei luoghi e nelle situazioni ai margini mi sono sempre trovato bene, o meglio ho sempre sentito una certa distanza dai contesti (anche musicali) che percepisco a volte come più accentratori. In definitiva, ho sempre percepito la provincia e in generale i luoghi lontani – o fuori da una specifica idea di “centro” – come uno spazio di libertà, e di conseguenza come uno spazio in cui la ricerca è meno legata ad una pretesa di centralità, in un certo senso svincolata da logiche di “visibilità”. Credo che questo abbia orientato decisamente i miei interessi e il mio immaginario: nei luoghi e nei contesti “nascosti” ho sempre percepito una realtà più originale, disincantata e disillusa, e credo che questo abbia influenzato molto i miei gusti e le mie motivazioni nel fare o proporre musica. Col tempo questa percezione è sicuramente cambiata, ho conosciuto altre realtà ed è chiaro che le varie realtà si compenetrano e si influenzano a vicenda.
Produci contenuti per radio e sei spesso ospite in eventi. Nelle tue selezioni, o meglio ricerche, si ascoltano musiche e percorsi di non facile accesso, maturati da una scoperta molto personale. Siamo abituati a playlist su playlist di riciclo di una serie di motivetti presi senza alcun criterio dalle riviste, ma tu segui il tuo gusto e i tuoi interessi, sembra, non dando peso alla risposta di pubblico o critica. C’è chi ti segue per questo rigore nella proposta con molta stima. Sarebbe bello se raccontassi una storia o più storie legate ai tuoi percorsi musicali.
Ho sempre vissuto la musica come una questione profondamente personale, quindi i vari percorsi che ho intrapreso sono sempre stati intimamente connessi ai miei interessi, alle mie amicizie migliori, al mio tempo libero. Le cose che ho prodotto e proposto sono sempre state orientate dalla ricerca personale e in questo senso ho sempre avuto un rapporto organico con le mie passioni, al punto da lasciare che mi definissero. Questo divagare mi ha naturalmente portato su sponde musicali poco o per niente in luce. Mi affascina molto l’idea dell’esplorazione e della scoperta, al limite anche della ri-scoperta. Con Abidjan Centrale, ad esempio, la musica che proponiamo ha avuto molto spesso sviluppi intrecciati alle vicende storiche dei paesi che “studiamo”. Ultimamente abbiamo avuto anche qualche riscontro positivo dagli Istituti di Cultura dei paesi di cui proponiamo la musica, in particolare la Somalia. Credo che la ricerca musicale non possa prescindere da un contenuto storiografico e anche politico, e quindi mi risulta naturale non provare particolare interesse per artisti o generi evidentemente più orientati al mercato, al successo o allo “stare sul pezzo” della roba che “gira”. Spesso ci sono dischi nuovi che mi vengono proposti, a volte cedo ai consigli di amici e conoscenti appunto per non sembrare troppo passatista o presuntuoso, ma altrettanto spesso mi trovo ad ascoltare musica confezionata e “ad una dimensione”, che non riesce ad intrigarmi. Poi l’età ha fatto la sua parte, regalandomi un sano (ed equilibrato) disinteresse verso ciò che è di moda. Forse questo è anche uno dei motivi per cui non ho mai immaginato di poter vivere di musica, anche un po’ un alibi all’anticarrierismo : D
Tra tutte queste vette che tocchi c’è una montagna che si chiama Archivio Diafònico: la tua etichetta discografica, con cui pubblichi musicassette dal duemilatrecidi. Nel catalogo troviamo artisti celebri della scena sperimentale napoletana: SEC_ aka Mimmo Napolitano, Mario Gabola, 70fps aka Andrea Saggiomo ed altri, ma non solo perché contiene personalità internazionali. Potremmo considerarla un’apertura di Napoli a Napoli?
Come dicevo, le cose che cerco e propongo sono sempre legate alla mia esperienza personale. Quasi tutto il catalogo di Archivio Diafònico è costituito da persone che ho conosciuto personalmente, con cui ho stabilito un legame personale. Quindi, naturalmente, le persone che hanno animato e animano l’underground della mia città hanno un ruolo importante nel catalogo dell’etichetta, persone che ho sempre percepito come facenti parte di una stessa famiglia allargata, cui sono legato tacitamente da una sorta di obiettivo comune. In questo senso le moltissime esperienze organizzative maturate con le persone che hai citato (con Mimmo suoniamo insieme dai tempi del liceo, vedi i gruppi Weltraum ed Endorgan) ma anche con altri come Francesco Tignola di Joy de Vivre (compagno di tour estensivi con i Matar Dolores ), con i Ne Travaillez Jamais (che esistono dal 2007 e con cui di recente abbiamo realizzato nuovi pezzi e un video), con gli Ultimo Giro e la scena punk napoletana, o con realtà non prettamente musicali, sono parte organica della mia storia e del mio sviluppo personale. Cercare di portare queste pratiche e queste esperienze un minimo alla luce attraverso una release o un concerto è sempre stato uno sforzo spontaneo e che mi rappresenta. Stesso discorso vale anche per quasi tutti gli artisti internazionali: sono persone che ho avuto la fortuna di incontrare e con cui ho percepito una sorta di comune indirizzo culturale, artistico, persino politico in un certo senso.
James Senese ha dichiarato anni fa ad un’intervista che i napoletani non fanno altro che copiare, copiarlo e guardare tutto quello che gli viene proposto dall’esterno come migliore del proprio, che se ci fosse più collaborazione si otterrebbero migliori risultati e si sarebbe più originali. Secondo lui insomma si perdono molti talenti dietro alle mode e all’inseguimento del successo anche nelle piccole nicchie. Potremmo dire che nella tua realtà accade forse tutto l’opposto e anche se con Senese, gli Osanna e un po’ tutta quella scena musicalmente avete poco da dialogare, a tutti gli effetti la tua etichetta propone la reale continuazione di un certo tipo di approccio alla sperimentazione. Probabilmente non tutti se ne accorgono. Ascoltando cose particolari è tutto sperimentale allo stesso modo ovunque, però ci sono dei caratteri peculiari della musica napoletana, delle atmosfere, delle soluzioni estetiche, che si inseriscono e modellano anche le produzioni più astratte. Che opinione ti sei fatto a riguardo?
Io credo che James Senese, nella sua grande saggezza, con il suo modo di proporsi e con i suoi progetti abbia sempre rappresentato allo stesso tempo un agente provocatore e una fedele incarnazione della “napoletanità”, se mi concedete il termine. Da un lato è vero che a Napoli si è sempre copiato molto, fino a farne addirittura un’arte; dall’altro credo che sia parte dei caratteri peculiari di questa città il fatto di cercare sempre di riadattare, in certa misura di personalizzare ciò che si copiava, passandolo attraverso il prisma di una forte personalità, che si riferisce appunto a quei caratteri peculiari di cui parli. Ma non si tratta di una cosa nuova, e anzi la critica musicale e non solo hanno spesso peccato di un certo “orientalismo” nei confronti di Napoli: ricordo che anni fa, quando iniziavamo a suonare in giro o ad organizzare concerti con i Weltraum, con gli ASpirale, i One Starving Day oppure i Ne Travaillez Jamais, la critica musicale si affacciava a Napoli utilizzando una semantica un po’ fastidiosa, insistendo su caratteri quasi macchiettistici della città. Anche da prima, con esperienze musicali come Fabio Orsi o (etre), si è sempre sottolineata la provenienza di questi artisti anche quando non aveva alcun significato per descrivere la loro musica. é un vizio diffuso, Napoli “vende” e sono sempre gli stessi elementi ad essere venduti (vedi Vogue etc). Lo sforzo che ho visto da più lati negli ultimi anni è appunto quello di sottrarre all’indicazione geografica pratiche e prodotti spontanei e che non necessariamente riflettevano sulla propria provenienza, anzi a volte la ignoravano volontariamente. Detto questo, è chiaro che il posto dove cresci lascia delle tracce, e Napoli è probabilmente uno dei posti che lascia tracce più profonde nella formazione di chi la vive.
Adesso ci devi raccontare quando ordini una pizza a cosa pensi mentre aspetti di poterla mangiare, se i ragionamenti cambiano in base ai condimenti e se questi sono scelti con un criterio legato alla musica.
G – : ) Se mangi una pizza (o qualsiasi cosa) in Campania, vai più o meno sul sicuro, quindi c’è poco da ragionare. Sono un po’ provinciale anche sui gusti gastronomici, ho 3/4 tipi di pizza che ordino a rotazione, quindi in quel caso per me è pienamente comfort food. A Roma ho scoperto la Pizza “Fiori e Alici”!
Selezione brani tratti dal catalogo di Archivio Diafònico (aδ)
A∂2 – Blood Feud – AM Fields (2014)
A∂3 – Torba – Fjárn (2015)
A∂4 – Tourette – Cendrier du Voyage (2015)
A∂5 – SEC_ – Stalattite (2015)
A∂9 – Ivory Trade – Transposition of Identity (2016)
A∂11 – Forest Management – Porter Creek (2016)
A∂14 – Шуга – Adrift(2016)
A∂15 – False Moniker – Amidst The Statues (2019)
A∂18 – Eks – Echo Courts (2021)
WordPress
[mixcloud https://www.mixcloud.com/Flavio_Scutti/archivio-diafonico-flavio-scutti-intervista-giuseppe-esposito/ width=100% height=120 hide_cover=1 light=1]
Observantiae
http://www.flavioscutti.caster.fm/
https://www.instagram.com/observantiae/
https://www.facebook.com/Observantiae-1425779804398515/
Archivio Diafònico (aδ)
http://www.archiviodiafonico.org/
https://www.instagram.com/archivio_diafonico/
https://soundcloud.com/archiviod
https://archiviodiafonico.bandcamp.com/music
Abidjan Centrale
https://www.instagram.com/abidjancentrale/
https://www.facebook.com/abidjancentrale/
Giuseppe Esposito
https://www.instagram.com/_italianoccultprovincia/
Flavio Scutti è appassionato da sempre di computer grafica. Dal 1995 conduce ricerche sui linguaggi audiovisivi attraverso lo studio dei sistemi elettronici. Con il conseguimento degli studi presso l’Accademia di Belle Arti la sua attività artistica si concentra nella produzione di contenuti multimediali per l’arte contemporanea. I suoi progetti artistici sono innumerevoli e spaziano dalla poesia alla computer grafica, dalla musica alla fotografia e all’arte visiva.