Primàdopo.

A Novembre sono nato. Novembre è un mese che ti imparanoia una cifra: c’è il giorno dei morti, piove spesso, un tempo faceva freddo ora un po’ di meno, ma la luce se ne va sempre alle 17 e quindi ti sale la scimmia. Quando ero piccolo però la cosa che mi faceva scapocciare era andare a scuola a Novembre: alzarsi con quella luce bigia era una specie di odissea in un monoscopio. Facevo colazione con un prodotto che mi dava un certo sollievo, lo ammetto: era il Nesquik. Oggi non lo darebbero forse neanche a una vipera in cattività, all’ epoca  – ignari dei magheggi della Nestlè – i miei me lo facevano bere senza problemi. Cacao solubile nel latte, che poi però  – passati i primi benefici del gusto artificiale –  ti risaliva tipo bad trip mentre tuo padre ti accompagnava in macchina (che poi capirai la scuola era a tre metri, meglio andarci a fette) . Quando eri in classe la panza cominciava a dare di matto, ti sentivi rincoglionito: la maestra arrivava e se era la giornata in cui si interrogava in matematica la sciorta era assicurata. Una volta durante una di queste lezioni ho scoreggiato; quello dietro di me ha fatto la spia. Lo stesso che un giorno durante il compito di matematica fece il delatore perché nel compito in classe facevo i calcoli con un orologio Casio da polso, uno di quelli che negli ottanta andavano forte, regalo della comunione. Vabbè poi siamo diventati grandi amici, ma quello dopo. In classe eravamo ventitré e a dire il vero avrei preferito il più delle volte stare sotto le coperte o a guardare i cartoni animati che ritrovarmi li a guardare le finestre bagnate dal vento e dalle nuvole, mentre sulla lavagna la luce finta del lampadario gracchiava come il gesso mentre segnava grossi numeri bianchi.

Adesso a Novembre che faccio? In un periodo pandemico, post pandemico, endemico, non si capisce più che cazzo è, me ne vado a fette a bere una birra – anzi più birre – in un beer shop in cui una volta eravamo tantissimi, mo effettivamente forse ventitré si contano sul palmo di dieci dita. Gli esercenti oggi sono piuttosto severi, come insegnanti dell’alcool: e ci tengono ai calcoli… una volta non gliene fregava mezzo cazzo, dentro era una bolgia ma adesso invece hanno chiaramente un po’ più di problemi. Nonostante questo rimane un posto storico e del cuore: vero è che a volte preferisco andare più vicino casa per vari motivi logistici, uno su tutti quando voglio stare per cazzi miei. Mi infilo quindi in quest’altro beer shop più spazioso e guardo fuori mentre piove. In entrambi i posti ci sono lavagne con prezzi e altre cose: diciamolo , andare in questi posti è come tornare a scuola solo che stavolta non vedo l’ ora di andarci per sbronzarmi. Ma c’è un altro fatto che mi fa pensare che sia come tornare a scuola: anche in questo caso infatti scoreggio dopo aver bevuto le IPA di cui sono un consumatore quasi autistico oramai. Stavolta però nessuno fa la spia perché, bene o male, scoreggiano tutti. E il bello che le IPA sono artigianali, altro che Nesquik: forse è solo che le cose buone, a volte, fanno venire da cagare. Ah e manco fanno la spia se ti dimentichi di pagare, tanto sbagliare i calcoli quando sei fracico non è solo tollerabile, ma  – diciamolo – doveroso. È così che poi nascono le grandi amicizie, no?




Demented Burrocacao è co-fondatore e CEO di Droga. Conduce Italian Folgorati per Vice, ha pubblicato, tra gli altri, l’album psichedelico Shell a nome Trapcoustic. Il suo libro Si trasforma in un razzo missile è recentemente uscito per Rizzoli Lizard.